SEMINARIO SULLA RIFORMA DEL PROCESSO CIVILE
INTRODOTTA CON LEGGE 14 MAGGIO 2005, N. 80
TRANI, 8 LUGLIO 2005
IL NUOVO PROCEDIMENTO CAUTELARE UNIFORME
(l. 14 maggio 2005, n. 80)
Premessa.
Come ormai sappiamo, essendo stati costretti a confrontarci con la nuova disciplina da ormai un anno e mezzo, con il d. leg. 17 gennaio 2003, n. 5, recante Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’art. 12 l. 3 ottobre 2001 n. 366, è stato introdotto un procedimento cautelare speciale avente, caratteri profondamente diversi da quelli a noi noti e sedimentati in anni di applicazione del procedimento cautelare uniforme nelle decisioni della giurisprudenza e nelle riflessioni della dottrina.
Nella mente del legislatore delegato del 2003 – anche se l’intenzione non è esattamente legittima dal punto di vista delle disposizioni costituzionali – il nuovo processo commerciale doveva rappresentare una sperimentazione (1) della riforma del codice di rito civile, agognata, in relazione alla tutela cautelare, sin dal progetto Liebman del 1981 e, come vedremo tra breve, più volte proposta negli ultimi anni della legislatura.
Ciò è in effetti in parte avvenuto con la l. 14 maggio 2005, n. 80, la quale cambia tra l’altro il procedimento cautelare uniforme, fondamentalmente traslando nell’ambito di tale disciplina talune norme del procedimento cautelare commerciale.
Il d.l. 14 marzo 2005 n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, non prevedeva norme che modificassero il codice di rito civile (se non limitatamente a comunicazioni e notificazioni).
Tuttavia, in sede di conversione in legge (14 maggio 2005, n. 80) di tale decreto, è stato presentato un maxi emendamento, il quale, oltre a prevedere deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali, ha integralmente introdotto nell’ambito di tale decreto sulla competitività la somma di tutti i lavori sino a quel momento compiuti dalle commissioni giustizia o presentati da singoli parlamentari, tra l’altro in materia di procedimento cautelare (2).
Come rilevato, i caratteri fondamentali di questo nuovo procedimento cautelare uniforme, che saranno sia pur sommariamente approfonditi nel corso di questa relazione, sono differenti a seconda che ci si occupi dei c.d. provvedimenti a strumentalità attenuata ovvero di ogni genere di provvedimento.
In particolare, in relazione ai primi le novità introdotte dalla l. 80, appaiono immediata conseguenza della principale innovazione apportata, rappresentata dalla attenuazione della strumentalità tra provvedimento cautelare e giudizio di merito: attraverso tale criterio si spiegano la tendenziale definitività del provvedimento cautelare, salva la eventuale modifica o revoca del provvedimento e senza che il provvedimento acquisti autorità di cosa giudicata; la irrilevanza del mancato avvio o della estinzione del processo di merito; ecc.
Relativamente ad ogni tipo di provvedimento, invece, le novità che investono il nuovo procedimento cautelare riguardano prevalentemente il mutamento dei caratteri di modifica, revoca e reclamo e dei rapporti tra gli stessi.
Ambito di applicazione del nuovo procedimento cautelare
L’ambito di applicazione dell’intera disciplina del procedimento cautelare uniforme resta immutato, nei termini in cui esso è delineato dall’art. 669 quaterdecies c.p.c. come interpretato da dottrina e giurisprudenza in più di un decennio di applicazione.
Unico nuovo limite alla estensione dell’intero procedimento è dato dall’applicabilità della disciplina del procedimento cautelare commerciale. E’ evidente, infatti, che tale ultima normativa speciale, applicabile ai provvedimenti cautelari emessi nell’ambito delle controversie rientranti nell’alveo del d. leg. n. 5, non viene in alcun modo scalfita dalla modifica del procedimento cautelare ordinario.
I due ambiti dovrebbero rimanere fondamentalmente separati, risultando applicabile alle controversie rientranti nella previsione di cui all’art. 1 del decreto da ultimo richiamato (3) il rito commerciale ed alle rimanenti quello ordinario.
Gli unici problemi che potranno porsi nel rapporto tra normativa ordinaria e normativa speciale commerciale sono dati dalla estensione di quest’ultima ad altre controversie previste da leggi speciali e dalla connessione tra cause regolate dal rito ordinario e cause commerciali.
In ordine a quest’ultima evenienza, il legislatore del 2003 ha previsto la prevalenza del rito speciale commerciale sul rito ordinario, prevalenza che non escludeva che la efficacia del provvedimento cautelare rimanesse legata al rito originariamente applicabile alla causa di merito cumulata. Tale problema è però oggi definitivamente risolto dalla coincidenza tra efficacia dei provvedimenti cautelari societari e ordinari.
Quanto alla prima questione, occorre considerare che l’art. 23 d.leg. n. 5 rende applicabile la disciplina del procedimento cautelare commerciale alle controversie di cui al presente decreto, cosicché l’applicazione degli artt. 23 e 24 d.leg. n. 5 alle materie regolate dal rito commerciale per disposizione estranea a quest’ultimo decreto non è esente da dubbi.
Ed infatti, laddove il rito commerciale è stato esteso a controversie non contemplate nel decreto da ultimo richiamato, il legislatore ha avuto cura di prevedere espressamente anche la estensione della disciplina cautelare.
Così è avvenuto per le controversie aventi a oggetto «marchi nazionali, internazionali e comunitari, brevetti di invenzione e per nuove varietà vegetali, modelli di utilità, disegni e modelli e diritto d’autore, nonché di fattispecie di concorrenza sleale». Questa materia, non è compresa nel campo di applicazione dell’art. 1 del d. leg. 5/2003, sicché il legislatore, nell’estendere l’applicazione del rito commerciale alla materia della tutela dei marchi e dei brevetti nonché della concorrenza sleale ha espressamente previsto, all’art. 134 del d. leg. 10 febbraio 2005, n. 30, recante Codice della proprietà industriale, a norma dell’articolo 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273, l’applicazione del titolo III – Del procedimento cautelare – del d. leg. n. 5.
Ambito di applicazione delle norme che attenuano la strumentalità tra cautela e merito
Il nuovo 6° comma dell’art. 669 octies individua tale ambito affermando che: «le disposizioni di cui al presente articolo e al primo comma dell’articolo 669-novies non si applicano ai provvedimenti di urgenza emessi ai sensi dell’articolo 700 e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, previsti dal codice civile o da leggi speciali, nonché ai provvedimenti emessi a seguito di denunzia di nuova opera o di danno temuto ai sensi dell’articolo 688».
Andando a verificare singolarmente le ipotesi indicate, il primo riferimento ai provvedimenti di urgenza emessi ai sensi dell’articolo 700 c.p.c. e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, previsti dal codice civile o da leggi speciali, ricalca, limitatamente alla prima parte dell’inciso, la formulazione contenuta nell’art. 23, comma 1°, d. leg. n. 5, ove il legislatore faceva riferimento «ai provvedimenti d’urgenza e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della decisione di merito».
Cosicché in tale occasione, come in altre nel corso di tale relazione, possiamo a ragione richiamare quelle che sono le riflessioni già effettuate dai primi commentatori della riforma (4).
Sulla interpretazione di quest’ultima espressione si erano, infatti, originate opposte correnti dottrinali.
Un primo orientamento ha considerato misure a strumentalità attenuata tutti i provvedimenti cautelari emessi ai sensi dell’art. 700 c.p.c. senza distinzione alcuna in ordine al contenuto della misura disposta.
Una diversa corrente dottrinale ha, invece, ritenuto che nell’espressione utilizzata potessero rientrare esclusivamente i provvedimenti d’urgenza idonei ad anticipare e non soltanto ad assicurare gli effetti della sentenza.
Tale seconda opzione interpretativa solleva il problema di definire il carattere anticipatorio del provvedimento cautelare.
Le difficoltà al riguardo potranno sorgere nella qualificazione di quei provvedimenti che rientrano nella zona grigia tra provvedimenti certamente anticipatori (ad esempio, nella inibitoria emessa nelle controversie tra le associazioni dei consumatori e il professionista o l’associazione dei professionisti ai sensi dell’art. 1469 sexies c.c., nel testo da ultimo modificato dall’art. 6 l. 3 febbraio 2003, n. 14) e certamente conservativi (sequestri).
La dottrina in relazione al rito commerciale si è divisa tra una corrente restrittiva nella valutazione del carattere anticipatorio e un orientamento che ha inteso tale carattere in senso estensivo, sostenendo che anche una misura che non anticipi totalmente o parzialmente la decisione di merito in funzione della quale è stata richiesta potrà essere idonea a fruire del regime di strumentalità attenuata prevista dalla norma in esame, qualora ne garantisca gli effetti, ossia quando generi effetti, non necessariamente identici, ma praticamente corrispondenti a quelli che si sarebbero potuti conseguire tramite la decisione di merito. Soltanto la pratica applicazione della disciplina potrà dare soluzione all’alternativa prospettata.
Quanto, poi, all’inciso previsti dal codice civile o da leggi speciali, esso ripropone lo stesso problema posto dalla formulazione dell’art. 700 c.p.c., ove la dottrina e la giurisprudenza ha dovuto con la propria attività ermeneutica impedire che il riferimento fosse inteso in senso letterale, così escludendo da quell’ambito le misure cautelari tipiche previste dallo stesso codice di rito. Il legislatore non sembra abbia fatto tesoro delle critiche mosse dalla dottrina in ordine a quella formulazione riproponendola identica.
Si tratta, peraltro, di un inciso probabilmente inutile, considerando che l’art. 669 octies c.p.c. come tutte le norme del procedimento cautelare uniforme (vecchio e nuovo) si applicano già a tutti i provvedimenti previsti dal codice civile e dalle leggi speciali, nonché agli altri previsti dal medesimo codice di rito.
L’attenuazione della strumentalità interessa, poi, i provvedimenti emessi a seguito di denunzia di nuova opera o di danno temuto ai sensi dell’articolo 688 c.p.c. In relazione a tali provvedimenti, già rientranti nell’ambito di applicazione del rito cautelare uniforme, la previsione esclude qualsiasi valutazione in ordine al contenuto ed al carattere del provvedimento.
Sicché sia che inibisca sia che permetta la continuazione dell’opera operando le opportune cautele, nel primo caso per il risarcimento del danno prodotto dalla sospensione, nel secondo per la demolizione o riduzione dell’opera e per il risarcimento del danno che possa soffrirne il denunziante (art. 1171 c.c.); sia in presenza di qualsiasi provvedimento volto ad «ovviare al pericolo» derivante da edificio o albero o altra cosa sovrasti l’oggetto di un diritto reale di godimento o il possesso emesso a seguito di denuncia di danno temuto (art. 1172 c.c.) si applicherà il nuovo rito e in particolare l’attenuazione della strumentalità.
L’attenuazione della strumentalità
Come rilevato, la prima essenziale caratteristica, dalla quale derivano gli ulteriori caratteri del nuovo procedimento cautelare uniforme limitatamente all’ambito di applicazione da ultimo indagato, è rappresentata dalla attenuazione della strumentalità nei confronti del giudizio di merito.
Il nostro legislatore, nel predisporre la disciplina del provvedimento cautelare, commerciale prima e ordinario poi, ha certamente tratto dalla esperienza d’Oltralpe il carattere della facoltatività del successivo giudizio di merito e la conseguente definitività di fatto degli effetti del provvedimento cautelare.
L’ordinamento francese consente, infatti, al giudice di emettere diversi provvedimenti en référé, ognuno caratterizzato da propri distinti presupposti e, tuttavia, accomunati sia dalla natura provvisoria, che li rende insuscettibili di acquisire l’autorità della cosa giudicata, sia dalla autonomia rispetto al procedimento di merito, in quanto la ordinanza non è subordinata dalla legge alla instaurazione della cognizione piena, la cui attivazione è rimessa all’esclusiva volontà delle parti.
Il procedimento cautelare uniforme novellato, al pari di quello commerciale, trova il proprio modello di riferimento nel référé classique, poiché l’art. 808 del Nouveau code de procédure civile, che lo disciplina, stabilisce che dans tous les cas d’urgence, le président du tribunal de grande instance peut ordonner en référé toutes les mesures qui ne se heurtent à aucune contestation sérieuse ou que justifie l’existence d’un différend, in quanto la riforma non ha avuto alcuna ripercussione sulla necessità che il provvedimento sia emesso in presenza dei presupposti propri di ogni misura cautelare, e quindi, tra l’altro, di un periculum in mora (5).
L’idea ispiratrice della riforma del procedimento cautelare commerciale, ora trasfusa anche nella disciplina ordinaria, è stata accolta in maniera ampiamente positiva, in quanto lasciare alle parti la scelta se iniziare o coltivare il giudizio di merito, al fine di ottenere l’accertamento con efficacia di giudicato del diritto, già provvisoriamente tutelato, sembra idonea a coniugare economia dei giudizi ed effettività della tutela (6).
D’altronde, l’attenuazione della strumentalità del provvedimento cautelare rispetto al giudizio di merito è stata più volte proposta in relazione ai provvedimenti d’urgenza: così il d.d.l. delega per il nuovo codice di procedura civile approvato dal Consiglio dei Ministri l’8 maggio 1981 (7), il quale traeva fondamento dal testo precedentemente predisposto dalla commissione presieduta dal prof. E.T. Liebman (8); quindi, il d.d.l. delega redatto dalla Commissione Tarzia (9); ancora in tal senso era il d.d.l. delega 7123/C/XIII, licenziato dalla Commissione Mirone il 15 febbraio 2000 (10).
I successivi dd.d.l. avevano, poi, esteso la caratteristica in parola anche ai provvedimenti emessi ai sensi dell’art. 688 c.p.c., così iniziando a profilare l’attuale ambito di applicazione della nuova regola della strumentalià attenuata. In tal senso, si ponevano i dd.d.l. 6052/C/XIII, recante Disposizioni per la deflazione del contenzioso e per l’abbreviazione dei tempi del processo civile (11) e 7185/C/XIII, recante Norme per la creazione di un servizio di accesso alla giustizia civile e per la promozione della risoluzione consensuale delle controversie (12).
Di recente, il d.d.l. 2229/C/XIV, di iniziativa governativa, recante “Modifiche urgenti al codice di procedura civile”, aveva previsto una disciplina analoga a quella elaborata dalla commissione Tarzia da ultimo richiamata (13). Tale d.d.l. è stato, successivamente, unito ad altri dd.d.l. in un testo unificato, 2430/S/XIV, approvato dalla Camera dei deputati ed attualmente all’esame della Commissione Giustizia del Senato, recante “Modifiche al codice di procedura civile” (14).
Infine, altro d.d.l. nuovamente di iniziativa governativa, recante Delega al governo per la riforma del codice di procedura civile, assegnato il 26 gennaio 2004 alla II Commissione Giustizia in sede referente, sembrava porsi nel proprio art. 50, nonostante la formulazione vaga e di difficile comprensione, sulla falsariga delle riforme sinora prospettate (15).
Tali prospettive di riforma hanno finalmente trovato la propria realizzazione, dopo il limitato ambito del rito commerciale, attraverso la l. 80 e il nuovo procedimento cautelare uniforme.
In primo luogo, l’attenuazione della strumentalità in tale procedimento si sostanzia nella inapplicabilità ai provvedimenti di cui si è detto del disposto dell’art. 669 octies c.p.c. (16) di modo che la ordinanza di accoglimento non deve prevedere un termine per l’instaurazione della causa di merito e tali provvedimenti non perdono efficacia se la causa non viene iniziata.
Può verificarsi, tuttavia, che la fissazione del termine sia erroneamente contenuta ovvero altrettanto erroneamente omessa nel provvedimento cautelare.
In relazione a tale questione, i primi commentatori della corrispondente previsione del rito commerciale si sono divisi.
Un primo orientamento ha ritenuto che, nella ipotesi in cui il provvedimento di concessione della misura cautelare fissi detto termine, nonostante si tratti di misura a carattere anticipatorio, prevarrà comunque il regime legislativo, cosicché il provvedimento manterrà la sua efficacia nonostante il decorso del termine. Nella ipotesi speculare, nella quale il giudice non abbia fissato un termine per l’inizio del giudizio di merito, nonostante il carattere conservativo del provvedimento, troverà applicazione il termine stabilito dall’art. 669 octies, comma 2°, c.p.c. (oggi innalzato da 30 a 60 giorni).
Diversamente, si è affermato da altri che, nonostante la individuazione della natura del provvedimento spetti sia alle parti che al giudice, le prime sono tutelate dal principio dell’affidamento. In particolare, il giudice è tenuto a individuare la natura del provvedimento che concede, cosicché le parti potranno e dovranno legittimamente fare affidamento sull’atteggiamento del giudice. Di conseguenza, qualora questi fissi un termine per l’inizio del giudizio di merito, le parti possono legittimamente ritenere che quel provvedimento sia conservativo. Al contrario, qualora il giudice ometta la concessione del termine, le parti possono legittimamente considerare anticipatorio il provvedimento e non essere obbligati ad iniziare il processo di merito. Ulteriore corollario del principio dell’affidamento è individuato nella impossibilità del giudice, dinanzi al quale sia instaurato il giudizio di accertamento della sopravvenuta inefficacia ai sensi dell’art. 669 novies c.p.c., di esaminare nuovamente la questione della natura anticipatoria o conservativa del provvedimento.
Non essendo richiesta la fissazione di un termine perentorio entro il quale iniziare il giudizio di merito, quest’ultimo potrà essere avviato sino a quando il diritto sia azionabile alla stregua delle norme in tema di prescrizione e decadenza (17).
Occorre, peraltro, rilevare che la modifica introdotta non importa un completo superamento della regola della strumentalità. Continua, infatti, a permanere la subordinazione di tutte le misure cautelari, indipendentemente dal loro contenuto e dalla loro regolamentazione, alla decisione della causa di merito, qualora questa venga instaurata.
Quest’ultima considerazione mette in luce la persistente necessità che la domanda cautelare, proposta ante causam, abbia un contenuto più ampio rispetto a quella proposta in corso di causa, tale da rendere evidente il rapporto di strumentalità che sussiste tra la misura cautelare ed il merito. Ciò implica che la domanda, pur quando abbia ad oggetto misure caratterizzate dalla suddetta strumentalità attenuata, deve indicare gli elementi essenziali della promuovenda causa di merito, in quanto in difetto, non sarebbe possibile stabilire se sussista la competenza cautelare, né valutare il fumus boni iuris (18), né, soprattutto, verificare il rito applicabile (19).
A fronte della mancanza di conseguenze derivanti dalla assenza del giudizio di merito, come accennato, la norma prevede che ciascuna parte possa iniziare il processo di merito.
Una simile disciplina lascia immutata la posizione della parte che, ottenuto il provvedimento cautelare ad essa favorevole, introduca successivamente l’eventuale giudizio di merito.
Alcune difficoltà possono, invece, derivare dalla configurazione della posizione della parte che abbia subito gli effetti della misura cautelare e intenda proporre il conseguente giudizio di merito. Tale soggetto avrà, infatti, interesse ad ottenere l’accertamento non già dell’esistenza di un suo diritto ma della inesistenza del diritto a tutela del quale la controparte ha ottenuto il provvedimento cautelare. Si tratta, allora, di una azione di accertamento negativo, la quale potrebbe essere proposta anche mediante la opposizione all’esecuzione, di cui all’art. 615 c.p.c., in fase di attuazione della misura cautelare. Tale configurazione della domanda giudiziale proposta dalla parte che subisca gli effetti del provvedimento cautelare porta con sé i dubbi e le difficoltà che accompagnano le azioni di accertamento negativo (20), a partire dalla sua concreta ammissibilità, eventualmente entro limiti definiti (21), passando per l’onere probatorio (22), sino a giungere al peculiare atteggiarsi del giudicato (23).
La attenuazione della strumentalità si sostanzia, poi, nella mancata applicazione dell’art. 669 novies, comma 1°, c.p.c.
Una simile previsione è da apprezzare poiché tiene conto delle difficoltà sorte in ordine alla formulazione dell’art. 23 comma 4° d. leg. n. 5.
Quest’ultima norma rinvia al solo art. 669 novies, comma 3°, c.p.c. con l’effetto di determinare la perdita di efficacia del provvedimento cautelare, in materia commerciale, nonostante la particolare stabilità conferitagli, qualora il giudice abbia imposto il pagamento di una cauzione e la stessa non sia stata versata, ovvero quando con sentenza, anche non passata in giudicato, sia dichiarato inesistente il diritto a cautela del quale era stato concesso.
Il suddetto art. 23 non rinvia, invece, alle altre disposizioni contenute nell’art. 669 novies, cosicché l’interprete si è visto costretto a verificare la loro applicabilità, concludendo nel senso che, in relazione alle misure cautelari a strumentalità attenuata:
- – può innanzitutto escludersi l’applicabilità del comma 1° dell’art. 669 novies, il quale prevede che il provvedimento cautelare perda la propria efficacia nel caso in cui il procedimento di merito non sia iniziato nel termine perentorio di cui al precedente art. 669 octies ovvero successivamente al suo inizio si estingua;
- – circa l’applicabilità del comma 2° del citato art. 669 novies (24), il mancato richiamo esclude che la inefficacia del provvedimento cautelare anticipatorio possa essere dichiarata nelle ipotesi indicate. Tuttavia, deve ritenersi operante il procedimento semplificato ivi previsto, limitatamente alle ipotesi in cui possa aversi la inefficacia della misura anticipatoria e il giudice del merito non abbia provveduto a dare le disposizioni circa la inefficacia ed il ripristino della situazione precedente, alla luce del generale rinvio operato dal comma 7° dell’art. 23 al procedimento cautelare uniforme, nonché del su richiamato rinvio, senza limitazione alcuna, al comma 3° dell’art. 669 novies. L’ultima parte di tale norma, infatti, stabilisce che i provvedimenti di cui al comma 2° sono pronunciati nella stessa sentenza o, in mancanza, con ordinanza a seguito di ricorso al giudice che ha emesso il provvedimento. Il procedimento seguito da quest’ultimo per dichiarare la inefficacia del provvedimento, in mancanza di una espressa regolamentazione, non potrà che essere quello previsto dallo stesso comma 2°;
- – quanto al comma 4° dell’art. 669 novies, ancora una volta in virtù del generale rinvio di cui al comma 7° dell’art. 23, ed in considerazione dei nuovi caratteri che assume la tutela cautelare nel processo commerciale, appare chiaro che deve ritenersi applicabile anche il disposto dell’art. 669 novies, comma 4°, n. 2. Di conseguenza, se la causa di merito è devoluta alla giurisdizione di un giudice straniero o ad arbitro italiano od estero, la misura anticipatoria perderà efficacia se siano pronunciati sentenza straniera, anche non passata in giudicato, o lodo arbitrale, i quali dichiarino inesistente il diritto per il quale il provvedimento era stato concesso. Diversamente, non potrà trovare applicazione, in quanto incompatibile con la attenuazione della strumentalità di cui più volte si è detto, il n. 1 della norma da ultimo richiamata.
Oggi tali osservazioni avanzate in ordine al provvedimento cautelare commerciale ed a quella determinata disciplina sembrano avvalorate dalla formulazione della norma ordinaria.
L’«autorità» del provvedimento cautelare a strumentalità attenuata
Già nell’ambito del rito cautelare commerciale l’attenuazione della strumentalità appariva chiaramente temperata dalla previsione di cui al 6° comma dell’art. 23 citato, ove si prevedeva che «in nessun caso l’autorità del provvedimento cautelare è invocabile in un diverso processo».
In relazione ad una simile espressione, si era rilevata la incongruenza di una norma che, in materia di provvedimenti cautelari inidonei ad acquisire l’autorità del giudicato e caratterizzati dalla provvisorietà e strumentalità, facesse ricorso ad un concetto quale quello dell’autorità, inscindibilmente legato alla cosa giudicata. La incongruenza derivava anche dalla circostanza che la norma, invece che escludere categoricamente che il provvedimento cautelare potesse avere una qualsiasi efficacia, limitava semplicemente la possibilità di invocare la suddetta autorità (della quale, quindi, il provvedimento sembrerebbe dotato) in altro processo.
Oggi, cambiati gli addendi la somma non cambia, nel senso che la nuova disciplina prevede che «l’autorità del provvedimento cautelare non è invocabile in un diverso processo».
Ed allora, occorre andare oltre il significato letterale di tale espressione per comprendere la portata precettiva che risulta da una interpretazione sistematica della norma.
Attraverso tale disposizione, si intende regolare l’ipotesi in cui la misura cautelare anticipatoria sia stata concessa e non sia stato instaurato o si sia estinto il giudizio di merito, sicché tale misura rimane in vita senza confluire nella sentenza o essere da questa caducata.
La ultrattività degli effetti del provvedimento cautelare si sostanzia in un fenomeno per cui la misura cautelare si stabilizza, mantiene la propria efficacia e può essere attuata ex art. 669 duodecies c.p.c., qualora sia mancata la esecuzione spontanea. Non acquisisce, cioè, in conseguenza del mancato inizio del giudizio di merito, effetti diversi e più stabili rispetto a quelli prodotti al momento della sua emissione, ma continua a produrre i medesimi suoi effetti provvisori e cautelari; non crea alcun vincolo di giudicato per future successive decisioni sul medesimo diritto, sicché la pronuncia di decisioni difformi rispetto al contenuto della cautela ne potrebbe provocare in qualunque momento ed in qualunque sede la caducazione.
La misura cautelare non seguita dal giudizio di merito ha, allora, una efficacia vincolante esclusivamente tra le parti con riferimento alla singola pretesa riconosciuta.
Per processo diverso si intende sia quello di merito, eventualmente instaurato a seguito della concessione della misura cautelare, sia altro processo successivo tra le stesse parti avente ad oggetto un diverso diritto connesso per pregiudizialità-dipendenza a quello dedotto con il ricorso cautelare, sia altro processo cautelare anche tra le stesse parti.
Il rapporto tra cautela a strumentalità attenuata e giudizio di merito eventualmente iniziato
Si diceva che qualora il giudizio di merito, pur non necessario, sia iniziato, la misura cautelare è disciplinata dalle norme sul procedimento cautelare uniforme che noi tutti conosciamo, salve le modifiche di cui ora diremo.
In primo luogo, l’estinzione del giudizio di merito non determina l’inefficacia dei provvedimenti di cui al primo comma, anche quando la relativa domanda è stata proposta in corso di causa.
Qui occorre rilevare che la lettera della norma è certamente scorretta, nel senso che si fa riferimento ai provvedimenti di cui al «1° comma» dell’art. 669 octies c.p.c. L’interprete non potrà che interpretare la disposizione nel senso che si tratti dei provvedimenti di cui al comma precedente (il 6° comma), ossia di quelli a strumentalità attenuata. Il legislatore sembra, infatti, aver distrattamente fatto riferimento al «1° comma», senza avvedersi che tale enumerazione riguardava la collocazione della disposizione in parola nell’ambito delle modifiche apportate, mentre il 1° comma è diviene il comma 6° nell’art. 669 octies novellato.
Ad ogni modo, il senso della disposizione non sembra dare adito a dubbi.
Nel caso in cui, poi, il giudizio di merito si concluda con un rigetto in rito, al fine della sopravvivenza del provvedimento cautelare, non può ritenersi equiparabile tale pronuncia alla estinzione del giudizio di merito.
Occorre, quindi, analizzare la specifica ragione del rigetto. Ed allora, la quasi totalità dei commentatori della analoga disposizione già contenuta nel procedimento cautelare commerciale hanno concluso nel senso che: se il vizio processuale che ha impedito la pronuncia nel merito della controversia è vizio proprio del giudizio di merito e non si estende al provvedimento cautelare, in analogia con la disciplina prevista per la estinzione si può ritenere che il provvedimento cautelare conservi inalterata la propria efficacia; qualora, invece, il rigetto in rito sia fondato sul vizio di un presupposto processuale che si estende anche al provvedimento cautelare, deve desumersi la perdita di efficacia del provvedimento cautelare.
Alla modifica o revoca, qualora sia pendente il giudizio di merito, può pienamente applicarsi l’art. 669 decies c.p.c. mentre la disciplina appare più complessa, come si vedrà oltre, qualora manchi o si estingua il giudizio di merito.
La pronuncia sulle spese
La disciplina delle spese nell’ambito del nuovo procedimento cautelare uniforme pone seri problemi di coordinamento e di costituzionalità.
Difatti, è noto che la pronuncia sulle spese nell’ambito del procedimento cautelare uniforme è prevista dall’art. 669 septies, comma 2°, c.p.c., il quale statuisce che «se l’ordinanza di incompetenza o di rigetto è pronunciata prima dell’inizio della causa di merito, con essa il giudice provvede definitivamente sulle spese del procedimento».
Una simile previsione deriva certamente dalla circostanza che “normalmente” la decisione di accoglimento è seguita dal giudizio di merito, diversamente perdendo efficacia.
Nel nuovo rito commerciale in considerazione dell’attenuazione della strumentalità, l’art. 23, comma 2°, diversamente dispone che «il magistrato designato provvede, in ogni caso, sulle spese del procedimento a norma degli articoli 91 e seguenti del codice di procedura civile» (25), quale conseguenza della possibilità che il procedimento cautelare non sia seguito da alcun giudizio di merito nell’ambito del quale liquidare anche le spese attinenti alla cautela.
Date tali premesse, appare evidente che la disciplina del nuovo procedimento cautelare solleva seri problemi di coordinamento tra le norme che attenuano la strumentalità, in relazione ai provvedimenti di urgenza emessi ai sensi dell’articolo 700 c.p.c. e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, previsti dal codice civile o da leggi speciali, nonché ai provvedimenti emessi a seguito di denunzia di nuova opera o di danno temuto ai sensi dell’articolo 688, e l’art. 669 septies c.p.c., nella parte in cui impone la liquidazione delle spese del procedimento nelle sole ipotesi in cui sia rigettata l’istanza o dichiarata l’incompetenza prima del giudizio di merito.
La normativa non appare più coerente, in quanto costringe colui che ha ottenuto un provvedimento pur sommario ma stabile a iniziare il processo soltanto per avere la rifusione delle spese, che in alternativa deve sopportare. E allora, con l’entrata in vigore della nuova disciplina, per il momento all’esame del Parlamento, si porrà il problema di rinvenire, tra le possibili interpretazioni sistematiche, quella costituzionalmente corretta, evitando che tra disciplina societaria e nuova disciplina ordinaria si determini una disparità di trattamento censurabile nei termini di cui all’art. 3, comma 2°, Cost. (26).
La modifica e la revoca
La disciplina della modifica e della revoca contenuta nel novellato art. 669 decies c.p.c., al pari del rito cautelare commerciale, differisce da quella di cui al procedimento cautelare uniforme in relazione alla competenza a disporle ed ai fatti deducibili, nonché in ordine al rapporto con il reclamo.
La norma da ultimo richiamata, nel proprio testo novellato, prevede che «salvo che sia stato proposto reclamo ai sensi dell’articolo 669-terdecies, nel corso dell’istruzione il giudice istruttore della causa di merito può, su istanza di parte, modificare o revocare con ordinanza il provvedimento cautelare, anche se emesso anteriormente alla causa, se si verificano mutamenti nelle circostanze o se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare. In tale caso, l’istante deve fornire la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza. Quando il giudizio di merito non sia iniziato o sia stato dichiarato estinto, la revoca e la modifica dell’ordinanza di accoglimento, esaurita l’eventuale fase del reclamo proposto ai sensi dell’articolo 669-terdecies, possono essere richieste al giudice che ha provveduto sull’istanza cautelare se si verificano mutamenti nelle circostanze o se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare. In tale caso l’istante deve fornire la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza».
Il comma 3° dell’art. 23 d. leg. n. 5 prevede, analogamente, che «quando il giudizio di merito non sia iniziato, la revoca e la modifica dell’ordinanza di accoglimento, esaurita l’eventuale fase di reclamo, possono essere sempre richieste al giudice che ha provveduto sull’istanza cautelare. La revoca e la modifica sono concesse soltanto se si verificano mutamenti nelle circostanze. Possono altresì essere concesse sulla base di circostanze anteriori di cui è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare. In tal caso, l’istante deve fornire la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza».
Rinviando l’esame sulla competenza a disporre la modifica e revoca, di modo da trattarla unitariamente all’istituto del reclamo, occorre preliminarmente rilevare che presupposto fondamentale perché possa aversi la revoca o la modifica del provvedimento cautelare è tanto il mutamento delle circostanze quanto la sopravvenuta conoscenza di elementi preesistenti, rispetto ai quali incombe su colui che voglia farli valere provare il momento della sopravvenuta conoscenza.
Tale momento deve essere successivo al provvedimento cautelare o meglio all’ultimo momento utile per dedurre gli elementi sopravvenuti nel relativo procedimento. Così si sostiene che una istanza di modifica o revoca di cui al comma 3° potrà fondarsi su circostanze preesistenti al momento in cui il giudice si ritiri in camera di consiglio o trattenga la causa a riserva, per decidere la domanda cautelare, le quali circostanze siano state conosciute dal soggetto in un momento successivo.
Conseguenza di questa disciplina è che la stabilità, attribuita al provvedimento nel nuovo rito, è paragonabile a quella della sentenza passata in giudicato, nel senso che soltanto gli elementi di fatto o le norme di diritto sopravvenuti rispetto all’ultimo momento utile a farli valere nel procedimento definito dal provvedimento de quo sono idonei a mettere in discussione la statuizione. Si verifica una sorta di preclusione del dedotto e del deducibile operata dall’ordinanza di accoglimento dell’istanza cautelare in relazione all’udienza ex art. 669 sexies c.p.c. ed alla pronuncia.
Tuttavia, come vedremo, il medesimo mutamento idoneo a determinare la modifica o la revoca del provvedimento cautelare, trova una preferibile collocazione in sede di reclamo.
Il reclamo cautelare
Nell’ambito del procedimento cautelare commerciale il reclamo risulta proponibile avverso «tutti i provvedimenti in materia cautelare».
Cosicché taluni problemi sorti nel vigore del procedimento cautelare uniforme vengono definitivamente risolti, nel senso che si riconoscono certamente reclamabili i provvedimenti di accoglimento ovvero di rigetto della domanda cautelare (come già ammesso da Corte cost. 23 giugno 1994, n. 253), quelli a carattere anticipatorio ovvero conservativo, nonché i provvedimenti di modifica o revoca o di rifiuto di modifica o revoca (27). Il generico riferimento a tutti i provvedimenti cautelari si ritiene renda, poi, reclamabili anche le ordinanze del giudice dell’attuazione che decidono sulle difficoltà e sulle contestazioni insorte nel procedimento.
Diversamente nel nuovo rito cautelare ordinario la norma si esprime nel senso che «contro l’ordinanza con la quale è stato concesso o negato il provvedimento cautelare è ammesso reclamo nel termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore».
Ciò, se da un lato appare una mera razionalizzazione dell’esistente come risultante dalla citata pronuncia della Corte cost. 23 giugno 1994, n. 253 (28), la quale, come noto, dichiarò la illegittimità costituzionale dell’art. 669 terdecies c.p.c. nella parte in cui non prevedeva il reclamo anche avverso l’ordinanza con la quale fosse stata rigettata la domanda cautelare, dall’altro pone nuovamente all’attenzione dell’interprete problemi datati e non risolti dalla dottrina e dalla giurisprudenza, i quali invece sembravano risolti nel d. leg. n. 5: in particolare, in ordine alla ammissibilità del reclamo avverso i provvedimenti che decidono sulla modifica o revoca e soprattutto che rigettano la modifica o la revoca o in materia di attuazione della misura cautelare.
Altra modifica di grande rilievo è data dal termine per la proposizione del reclamo.
Nell’ambito del rito commerciale il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di 10 giorni dalla comunicazione dell’ordinanza.
Il principio generale sancito dall’art. 176, comma 2°, c.p.c., prevede che, quando l’ordinanza sia stata emessa in udienza, la pronunzia ne sostituisce la comunicazione per tutti i soggetti processuali presenti in udienza o che alla stessa avrebbero dovuto partecipare.
Di conseguenza, il dies a quo, per il computo del suddetto termine, è individuato in funzione della notifica del biglietto di cancelleria, anche se sulla parte soccombente ricade l’onere di procurarsi copia del provvedimento; ovvero della presa visione in cancelleria; o, infine, con l’udienza nella quale il provvedimento sia eventualmente pronunciato (29).
La norma lascia irrisolto il problema di assicurare la conoscenza del testo integrale del provvedimento cautelare già al momento della comunicazione alle parti. Una soluzione prospettata è quella di interpretare la “comunicazione” come trasmissione dell’intero testo del provvedimento, il che potrebbe essere ordinato al cancelliere dallo stesso giudice che abbia emesso il provvedimento. Ma il dato positivo non sembra consentire una simile interpretazione.
Si è, inoltre, rilevato che la soluzione accolta dal legislatore delegato non soltanto non compone alcun conflitto giurisprudenziale, ma appare, al contrario, eversiva rispetto ai risultati raggiunti dalla dottrina e dalla giurisprudenza (30).
Il legislatore del 2005 non ha risolto in modo alcuno i problemi esistenti e, come visto, sottolineati dalla dottrina in relazione al rito commerciale, mantenendo immutata la formulazione della norma da tempo proposta, la quale afferma che contro l’ordinanza con la quale è stato concesso o negato il provvedimento cautelare è ammesso reclamo nel termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore (31).
La norma nulla muta rispetto al rito cautelare societario e, aldilà dell’attribuzione al reclamante di un termine di quindici anziché di dieci giorni, non sembra che la più complessa formulazione utilizzata sia idonea in modo alcuno ad assicurare l’effettivo rispetto del diritto di difesa del reclamante stesso. Questi, in mancanza della notificazione, che è atto di parte, sarà normalmente costretto a proporre il rimedio in esame entro quindici giorni dalla mera comunicazione con biglietto di cancelleria (anche nell’ipotesi in cui abbia ricevuto la suddetta comunicazione il 13 agosto).
In particolare, i rapporti tra modifica, revoca e reclamo
Per una corretta analisi dei rapporti tra modifica, revoca e reclamo nell’ambito del nuovo procedimento cautelare uniforme, è necessario procedere ad una nuova breve digressione sul procedimento cautelare commerciale, così da comprendere quanto più opportuna sia la formulazione usata nella novella del codice di rito e come questa dia ragione delle opzioni interpretative assunte, anche dalla sottoscritta, in relazione alla disciplina commerciale.
Un primo problema interpretativo originatosi nell’ambito del vecchio rito cautelare uniforme, ed ora espressamente risolto nel rito commerciale attraverso una norma integralmente riportata nel nuovo testo dell’art. 669 terdecies c.p.c., è quello concernente la sede in cui far valere «le circostanze ed i motivi sopravvenuti al momento della proposizione del reclamo».
La medesima espressione è contenuta vuoi nel 5° comma dell’art. 23 d. leg. n. 5 vuoi nel comma 4° del novellato art. 669 terdecies, ove si afferma che le circostanze e i motivi sopravvenuti al momento della proposizione del reclamo debbono essere proposti, nel rispetto del principio del contraddittorio, nel relativo procedimento.
L’espressione utilizzata dal legislatore, nel riferirsi ai fatti «sopravvenuti al momento della proposizione del reclamo», dovrebbe alla lettera considerarsi riferibile agli elementi successivi al deposito del ricorso.
E tuttavia, in relazione al rito commerciale, taluna dottrina ha ritenuto opportuno superare la lettera della norma, suscettibile di restringerne eccessivamente l’ambito di operatività. La norma diverrebbe inidonea, stando a tale orientamento, a comprendere le sopravvenienze intervenute in un momento successivo alla udienza di cui all’art. 669 sexies c.p.c., ultima occasione per la deduzione di tali elementi nel procedimento cautelare, e però anteriori alla proposizione del reclamo. Di conseguenza, l’interpretazione proposta considera deducibili mediante reclamo gli elementi, ovviamente successivi alla pronuncia del provvedimento cautelare, sopravvenuti sino al deposito del reclamo.
Perché, poi, il mutamento delle circostanze possa portare, non già alla proposizione del reclamo, ma alla revoca o alla modifica del provvedimento, i fatti devono verificarsi ovvero le circostanze preesistenti ma ignote essere conosciute in un momento successivo alla proposizione del reclamo, dovendo altrimenti essere fatti valere in tale sede.
Una simile interpretazione ha il chiaro effetto di impedire la concorrenza tra i diversi rimedi assicurati dal codice di rito civile nei confronti della decisione in materia cautelare, ponendoli su piani complementari, ma privi di interferenze. Cosicché, se ne desume che il reclamo sostituirà la riproposizione ex art. 669 septies c.p.c. per il caso di rigetto, o l’istanza di revoca o modifica di cui all’art. 669 decies c.p.c. per il provvedimento di accoglimento del ricorso cautelare.
L’interpretazione proposta, tuttavia, non appare condivisibile.
Il comma 5° in parola, infatti, nel disciplinare le differenze che il reclamo subisce nell’ambito del nuovo rito rispetto alla disciplina ordinaria, consente alla parte, che abbia già esperito tale rimedio, di far valere le circostanze ed i motivi successivi al momento della proposizione del reclamo, e, quindi, sopravvenuti nel corso di tale giudizio, non già in un separato procedimento tendente ad ottenere la modifica o la revoca del provvedimento cautelare, ma «nel rispetto del principio del contraddittorio, nel relativo procedimento».
Di conseguenza, una interpretazione ad un tempo letterale e logico-sistematica conduce a ritenere che l’infelice espressione utilizzata dal legislatore – «le circostanze e i motivi sopravvenuti al momento della proposizione del reclamo» – faccia effettivamente riferimento, non già ai fatti sopravvenuti sino al momento della proposizione, ma ai fatti successivi a tale momento. D’altronde, il comma 5° richiede che gli elementi sopravvenuti siano dedotti nel relativo procedimento, non già nel relativo ricorso, come sarebbe opportuno e logico qualora dovesse trattarsi di fatti sopravvenuti sino alla proposizione del medesimo reclamo.
E una simile interpretazione presenta l’ulteriore pregio di attribuire un significato all’inciso «nel rispetto del principio del contraddittorio». Quest’ultimo ne risulterebbe, infatti, del tutto privo, qualora si dovesse ritenere che la disposizione di cui si tratta consente esclusivamente alla parte che intenda proporre reclamo di far valere i fatti nel frattempo sopravvenuti nel relativo ricorso, in quanto la deduzione di fatti nell’atto introduttivo di un procedimento, notificato all’altra parte, è in sé sempre rispettosa del principio del contraddittorio.
Nella diversa interpretazione qui proposta, invece, la necessità che sia rispettato il principio del contraddittorio impedisce alla parte di innovare le proprie difese nel corso del procedimento di reclamo, senza rendere la controparte edotta di tali novità, qualora essa non sia presente nel giudizio, ovvero senza consentire alla controparte di apprestare le conseguenti attività (32).
Resta fermo che il mutamento delle circostanze che si sia verificato sino alla proposizione del reclamo sarà, per quanto sinora rilevato, a fortiori deducibile nel procedimento di reclamo.
Ulteriore questione, ancora una volta sorta in relazione ai rapporti tra modifica e revoca, da un lato, e reclamo, dall’altro, nel rito cautelare commerciale, è rappresentata dalla alternativa tra mera possibilità e necessità di far valere nel procedimento di reclamo i mutamenti delle circostanze che si siano verificati durante la pendenza del termine per proporre quest’ultimo rimedio.
Al riguardo, taluno ha affermato che, in pendenza del termine per proporre reclamo ovvero anche nel corso del procedimento di reclamo, ogni sopravvenienza deve necessariamente farsi valere o proponendo il reclamo ovvero davanti al giudice del reclamo.
Diversamente altra interpretazione, che si ritiene preferibile, ritiene che il mutamento delle circostanze potrà essere fatto valere, alternativamente, col reclamo o con la richiesta di modifica o di revoca, con la particolarità che, tuttavia, qualora il reclamo risulti pendente, allora soltanto dovrà essere preferito quest’ultimo, cosicché la revoca o la modifica potranno essere richieste soltanto esaurita l’eventuale fase di reclamo.
D’altronde, il novellato art. 669 decies c.p.c. (al pari del comma 3° dell’art. 23 d. leg. n. 5), infatti, semplicemente individua nel giudice che ha emesso il provvedimento cautelare, l’organo competente a modificarlo o revocarlo, in mancanza di un giudizio di merito pendente (in quanto mai iniziato o estinto) e qualora sia «esaurita l’eventuale fase di reclamo». Con tale espressione lasciando intendere che, nel caso in cui il reclamo non sia proposto e il relativo termine sia ancora pendente, la parte ben potrà chiedere autonomamente la modifica o la revoca.
Oggi, le interpretazioni che alla luce delle osservazioni sinora condotte prevalentemente sulla disciplina commerciale sono apparse più ragionevoli, si presentano ancor più aderenti alle disposizioni introdotte nel nuovo procedimento cautelare uniforme, la cui disciplina appare a tutta evidenza più chiara.
Essa prevede tre ipotesi che accolgono le interpretazioni in precedenza proposte.
Nel corso dell’istruzione il giudice istruttore della causa di merito può, su istanza di parte, modificare o revocare con ordinanza il provvedimento cautelare, anche se emesso anteriormente alla causa, in ciò lasciando immutata la disciplina previgente.
Quando, invece, il giudizio di merito non sia iniziato o sia stato dichiarato estinto, la revoca e la modifica dell’ordinanza di accoglimento possono essere richieste al giudice che ha provveduto sull’istanza cautelare. Diversamente da quanto consentito dalla lettera del previgente art. 669 decies c.p.c., nel nuovo rito, la modifica e la revoca del provvedimento cautelare possono essere chieste anche prima ovvero in assenza del giudizio di merito, al giudice che ha provveduto sull’istanza cautelare, esaurita la eventuale fase di reclamo.
Si tratta, ad ogni evidenza, di una coerente conseguenza della strumentalità attenuata del rito cautelare commerciale, e, in particolare, del nuovo assetto dei rapporti intercorrenti tra cautela e merito, da un lato, e tra reclamo e modifica o revoca, dall’altro. E tuttavia, se ciò è vero, non può ignorarsi che il legislatore non ha espressamente limitato l’applicabilità di tale norma alle sole misure cautelari a strumentalità attenuata, le quali appunto godono della autonomia dal giudizio di merito di cui si è più volte detto. Ed allora, la lettera della norma dovrebbe condurre l’interprete a ritenere che essa sia applicabile non soltanto ai provvedimenti cautelari a strumentalità attenuata, per i quali nessuna delle parti abbia dato vita ad un processo a cognizione piena, ma altresì per le misure conservative, nella sia pur remota ipotesi in cui, nel lasso di tempo tra l’emanazione del provvedimento cautelare e l’inizio del necessario giudizio di merito, si verifichino mutamenti delle circostanze.
Quando il giudizio di merito non sia iniziato, resta, però, salva l’ipotesi in cui sia stato proposto reclamo ai sensi dell’articolo 669-terdecies, nel qual caso il mutamento delle circostanze sarà dedotto nel relativo procedimento, nel rispetto del principio del contraddittorio, mentre quando tale eventuale fase di reclamo sia esaurita il medesimo mutamento sarà nuovamente dedotto presentando l’istanza di modifica o revoca al giudice che ha provveduto sull’istanza cautelare. Risulta evidente che nell’ipotesi in cui sia meramente pendente il termine per proporre il reclamo ma non sia stato proposto, la parte che non intenda far valere vizi del provvedimento o del procedimento può semplicemente proporre modifica o revoca al giudice che risulta competente.
Nel caso in cui, poi, il mutamento delle circostanze sopravvenga dopo la discussione del reclamo ma prima del deposito della relativa ordinanza, si ritiene che competente a decidere sulla modifica o revoca sia il giudice che ha emesso il provvedimento. Fermo restando che la eventuale revoca della misura a seguito dell’accoglimento del reclamo farà venir meno l’interesse ad agire per ottenere la modifica o la revoca.
Ulteriore problema, evidenziato nell’ambito del rito commerciale e che in parte ha trovato soluzione nel nuovo procedimento cautelare uniforme, riguarda la individuazione del giudice competente a modificare o revocare il provvedimento nell’ipotesi in cui la misura cautelare concessa ante causam sopravviva alla estinzione del processo di merito instaurato, in quanto a strumentalità attenuata: l’alternativa corre tra il giudice del provvedimento (come probabilmente più corretto alla luce della volontà di rendere autonomo il giudizio cautelare) ed il giudice del merito.
Il legislatore del 2005 ha, in effetti, contemplato l’ipotesi de qua, prevedendo la competenza del giudice che ha provveduto sull’istanza cautelare, vuoi quando il giudizio di merito non sia iniziato vuoi quando sia stato dichiarato estinto.
L’espressione utilizzata pone, tuttavia, nuovi problemi ermeneutici, in quanto il giudice che ha provveduto sull’istanza cautelare, qualora la misura cautelare sia stata concessa in sede di reclamo avverso un provvedimento negativo, è sia il giudice di prime cure al quale il provvedimento è stato chiesto, sia quello del reclamo.
L’individuazione del giudice competente alla modifica e revoca dipende, pertanto, dagli argomenti storici e sistematici già in passato individuati.
Ed allora, si sostiene da taluno che una interpretazione sistematica dovrebbe condurre a ritenere che il giudice competente a pronunciarsi sulla istanza di modifica o revoca sia il giudice monocratico e non il giudice del reclamo. Tale conclusione si ritiene possa chiaramente dedursi dall’inciso «esaurita l’eventuale fase di reclamo», il quale sta a significare che, sino a quando sia pendente il reclamo è al giudice di quest’ultimo che debbono essere avanzate eventuali istanze di revoca e modifica. Con l’esaurimento di questo procedimento viene meno l’effetto attrattivo e, pertanto, le medesime istanze dovranno essere proposte al giudice monocratico, che per primo ha conosciuto della domanda cautelare.
I dubbi interpretativi sono stati, però, risolti da altra dottrina attraverso una differenziazione tra giudice competente a decidere sull’attuazione e sulla modifica o revoca. Nel primo caso, la opportunità che della realizzazione concreta dei provvedimenti giurisdizionali si occupi un organo monocratico, rende preferibile attribuire la competenza al giudice di primo grado, anche quando abbia negato la misura. Nella seconda ipotesi, l’espressione giudice che ha provveduto sull’istanza cautelare dovrà essere intesa come giudice che ha accolto l’istanza cautelare.
Vi è, poi, anche chi ha affermato una competenza alternativa dei due organi – monocratico e collegiale – rimessa alla scelta della parte.
Il prosieguo del comma 4° dell’art. 669 terdecies, novellato prevede che «Il tribunale può sempre assumere informazioni e acquisire nuovi documenti. Non è consentita la rimessione al primo giudice».
Si tratta di previsioni identiche a quelle contenute nel comma 5° dell’art. 23, d. leg. n. 5.
La prima delle disposizioni indicate consente al tribunale di assumere informazioni o acquisire documenti in funzione della decisione sul reclamo. Tale possibilità si ritiene fosse già prevista nel rito cautelare uniforme, grazie al rinvio, contenuto nell’art. 669 terdecies c.p.c., all’art. 738 c.p.c.
Quanto al divieto di rimessione al primo giudice. Si tratta di un profilo ormai acquisito in via interpretativa, riconoscendosi carattere non meramente rescindente al controllo esercitato dal giudice del reclamo. La precisazione è comunque stata accolta con favore dai primi commentatori della analoga riforma commerciale, in quanto idonea ad evitare prassi suscettibili di turbare la funzione del reclamo e rendere ibrida la posizione del giudice di prime cure (33). Cosicché anche di fronte ai vizi più gravi riscontrati in sede di reclamo, quale può essere quello concernente il contraddittorio, il giudice del reclamo è obbligato a disporre quanto necessario per la eliminazione del vizio ed a decidere sul merito della domanda cautelare (34).
Occorre rilevare che nella riforma l’ampliamento dei poteri del giudice del reclamo è tale da configurare quest’ultimo rimedio come una vera e propria revisio prioris instantiae, sicché attraverso il rimedio in parola il giudice è chiamato a valutare nuovamente la situazione complessiva posta a fondamento della istanza cautelare, adeguando però la decisione a tutte le sopravvenienze, e altresì tenendo conto in essa degli esiti dell’istruttoria che avrà ritenuto di condurre, senza incontrare in tale ultima attività istruttoria neppure il limite dei mezzi di prova richiesti al giudice della cautela e che questi non aveva ritenuto ammissibili o rilevanti o compatibili con le esigenze di celerità del procedimento cautelare.
Altre novità della novella e principali differenze rispetto al rito commerciale
Altra modifica, di minor rilievo, introdotta nell’ambito del nuovo rito cautelare è data dalla elevazione da trenta a sessanta giorni del termine perentorio che il giudice può fissare al soggetto che ha ottenuto un provvedimento cautelare (la cui strumentalità non sia attenuata) per dare avvio al giudizio di merito, senza subire la perdita della efficacia del provvedimento, e dell’analogo termine fissato ex lege nel caso in cui manchi la suddetta determinazione da parte del giudice (35).
Ben più rilevante è, invece, la modifica che ha investito l’art. 669 quinquies c.p.c.
In passato, si riteneva che quest’ultima disposizione non potesse applicarsi all’arbitrato irrituale, poiché questo rappresenta una implicita rinuncia alla tutela giurisdizionale, determinando la composizione della lite con efficacia pari a quella di un negozio giuridico tra le parti ad opera degli arbitri.
Le nostre cognizioni in ordine alla incolmabile differenza tra arbitrato rituale, quale esercizio della funzione giurisdizionale da parte di privati, e quello irrituale, quale espressione della mera volontà negoziale delle parti, e circa i rapporti tra la tutela cautelare e compromettibilità in arbitri (rituali ovvero non rituali) della controversia di merito, hanno subito duri colpi negli ultimi anni fino a giungere all’ultimo pesante stravolgimento della l. 80.
In primo luogo, ricordiamo che le sez. un. 3 agosto 2000, n. 527 (36), avevano affermato la natura di atto negoziale del lodo arbitrale, negando anche che il giudizio arbitrale (rituale) avesse natura giurisdizionale e di conseguenza escludendo qualsiasi attribuzione di potere giurisdizionale agli arbitri.
In senso opposto si era, però, pronunciata la sentenza della Corte cost. 28 novembre 2001, n. 376, con la quale il giudice delle leggi affermò che «atteso che l’arbitrato costituisce un procedimento previsto e disciplinato dal codice di procedura civile per l’applicazione obiettiva del diritto nel caso concreto, ai fini della risoluzione di una controversia, con le garanzie di contraddittorio e di imparzialità tipiche della giurisdizione civile ordinaria, che – per quanto riguarda la ricerca e l’interpretazione delle norme applicabili alla fattispecie – il giudizio arbitrale non si differenzia da quello che si svolge davanti agli organi statali della giurisdizione, che a ogni organo giudicante è precluso tanto il potere di disapplicare le leggi, quanto quello di definire il giudizio applicando leggi di dubbia costituzionalità, gli arbitri rituali possono e debbono sollevare questione incidentale di legittimità costituzionale delle norme di legge che sono chiamati ad applicare, quando risulti impossibile superare il dubbio attraverso l’opera interpretativa».
E da allora si è riacceso il dibattito in ordine alla natura dell’arbitrato, da taluna dottrina affermando l’avvicinamento di caratteri tra giudizio arbitrale rituale e arbitrato irrituale.
L’art. 35, comma 5°, d. leg. n. 5 ha apportato una prima significativa novità nel quadro sinora, sia pur superficialmente, delineato (37).
Si è, infatti, previsto che la devoluzione in arbitrato, anche non rituale, di una controversia non preclude il ricorso alla tutela cautelare a norma dell’articolo 669 quinquies del codice di procedura civile, ma se la clausola compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari agli arbitri compete sempre il potere di disporre, con ordinanza non reclamabile, la sospensione dell’efficacia della delibera.
Sicché, da un lato si è legislativamente ammesse la tutelabilità in via cautelare di un diritto devoluto in arbitrato non rituale, e dall’altro si è previsto un potere cautelare esercitato direttamente dagli arbitri, peraltro con ordinanza non reclamabile.
Oggi in relazione al procedimento cautelare uniforme all’articolo 669-quinquies, dopo le parole “in arbitri” sono inserite le seguenti “anche non rituali”, così generalizzando la ammissibilità della tutela cautelare, pur nelle ipotesi in cui il diritto sia rimesso alla valutazione di arbitri non rituali.
Tali previsioni porranno problemi interpretativi in ordine alla applicazione delle norme sul procedimento cautelare uniforme a causa della assoluta mancanza di regolamentazione dell’arbitrato irrituale, a partire dalla difficoltà di individuare il rispetto del termine perentorio entro il quale dare avvio al procedimento arbitrale per evitare la perdita di efficacia delle misure che non vedono attenuata la loro strumentalità, sino a giungere alla difficoltà di individuare le ipotesi di estinzione del procedimento arbitrale e, quindi, di perdurante ultrattività della misura.
Un’ultima notazione appare necessaria.
Come più volte sottolineato, in molti ambiti la modifica del procedimento cautelare uniforme ricalca la precedente disciplina del procedimento cautelare commerciale, a volte risolvendo a volte riproponendone i medesimi problemi.
Il legislatore del 2005 non ha, però, generalizzato il giudizio abbreviato, ossia la peculiare forma di decisione immediata nel merito cui il giudice della cautela commerciale può accedere nella stessa udienza di comparizione delle parti per la trattazione del procedimento cautelare, ove ritenga la causa matura per la decisione senza bisogno di ulteriore attività istruttoria o il giudizio comunque in condizione di essere definito (38).
Probabilmente, la volontà di evitare per il proprio cliente il rischio di poter subire una immediata decisione di merito nella stessa udienza nella quale si è chiamati a comparire per la sola trattazione della cautela, sarà una ulteriore ragione, insieme al ritmo incalzante dell’intero rito commerciale, perché il difensore del convenuto, nell’ambito di un giudizio regolato dalla disciplina ordinaria, non aderisca all’invito, che l’attore potrebbe rivolgergli nei termini di cui all’art. 70 ter disp. att. c.p.c., a proseguire il processo secondo la disciplina di cui al d. leg. n. 5 (39).
Dott.ssa Daniela Longo
Note
- In tali termini, l’intervento legislativo fu qualificato dallo stesso Consiglio dei Ministri, il quale con il comunicato n. 88 del 10 gennaio 2003, con il quale ufficializzava l’approvazione, tra l’altro, del decreto legislativo che ci occupa, affermava che il «nuovo rito è coerente con quanto è emerso dai lavori compiuti dalla Commissione Vaccarella che ha elaborato le direttrici fondamentali di una riforma organica di tutto il processo civile, il provvedimento deliberato oggi dal Consiglio potrà costituire una sperimentazione generalizzabile in un futuro prossimo».
- L’art. 2, comma 3°, lett. e-bis), l. 14 maggio 2005, n. 80, recante tutte le modifiche al codice di rito civile, prevede che al capo III del titolo I del libro IV sono apportate le seguenti modificazioni:
- all’articolo 669-quinquies, dopo le parole: “in arbitri” sono inserite le seguenti: “anche non rituali”;
- all’articolo 669-octies sono apportate le seguenti modificazioni:
- al primo comma, le parole: “trenta giorni” sono sostituite dalle seguenti: “sessanta giorni”;
- al secondo comma, le parole: “trenta giorni” sono sostituite dalle seguenti: “sessanta giorni”;
- dopo il quinto comma sono aggiunti i seguenti: “Le disposizioni di cui al presente articolo e al primo comma dell’articolo 669-novies non si applicano ai provvedimenti di urgenza emessi ai sensi dell’articolo 700 e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, previsti dal codice civile o da leggi speciali, nonché ai provvedimenti emessi a seguito di denunzia di nuova opera o di danno temuto ai sensi dell’articolo 688, ma ciascuna parte può iniziare il giudizio di merito. L’estinzione del giudizio di merito non determina l’inefficacia dei provvedimenti di cui al primo comma, anche quando la relativa domanda è stata proposta in corso di causa. L’autorità del provvedimento cautelare non è invocabile in un diverso processo”;
- all’articolo 669-decies, il primo comma è sostituito dai seguenti: “Salvo che sia stato proposto reclamo ai sensi dell’articolo 669-terdecies, nel corso dell’istruzione il giudice istruttore della causa di merito può, su istanza di parte, modificare o revocare con ordinanza il provvedimento cautelare, anche se emesso anteriormente alla causa, se si verificano mutamenti nelle circostanze o se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare. In tale caso, l’istante deve fornire la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza. Quando il giudizio di merito non sia iniziato o sia stato dichiarato estinto, la revoca e la modifica dell’ordinanza di accoglimento, esaurita l’eventuale fase del reclamo proposto ai sensi dell’articolo 669-terdecies, possono essere richieste al giudice che ha provveduto sull’istanza cautelare se si verificano mutamenti nelle circostanze o se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare. In tale caso l’istante deve fornire la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza.”;
- all’articolo 669-terdecies sono apportate le seguenti modificazioni:
- il primo comma è sostituito dal seguente: “Contro l’ordinanza con la quale è stato concesso o negato il provvedimento cautelare è ammesso reclamo nel termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore.”;
- dopo il terzo comma è inserito il seguente: “Le circostanze e i motivi sopravvenuti al momento della proposizione del reclamo debbono essere proposti, nel rispetto del principio del contraddittorio, nel relativo procedimento. Il tribunale può sempre assumere informazioni e acquisire nuovi documenti. Non è consentita la rimessione al primo giudice.”;
- In ordine all’ambito di applicazione del rito societario si rinvia a Dalfino, Commento all’art. 1. Ambito di applicazione, in I procedimenti in materia commerciale, a cura di G. Costantino, in Nuove leggi civ., 2005, 104.
- Un approfondimento di tali riflessioni, compiute dalla dottrina e dalla giurisprudenza, appare evidentemente impossibile in tale sede, sicché mi permetto sulle questioni attinenti al procedimento cautelare commerciale, di rinviare ai miei Commento all’art. 23. Provvedimenti cautelari anteriori alla causa, e Commento all’art. 24. Provvedimenti cautelari in corso di causa e giudizio abbreviato, in I procedimenti in materia commerciale, cit., 409 ss.
- I due istituti del référé provision e del référé injoction, con i quali il référé ha assunto una funzione più marcatamente anticipatoria della decisione definitiva. Tali istituti si pongono in rottura con la tradizione, sia per il completo distacco dalla condizione d’urgenza, a cui la concessione non è né direttamente né indirettamente subordinata, sia sotto il profilo della possibilità di pregiudicare il merito, ivi concepito in termini più elastici. Si tratta, quindi, di procedimenti sommari non cautelari.
- Così si afferma nel Parere del 12 dicembre 2002, reso dal Consiglio Superiore della Magistratura sullo schema di d.leg. recante «definizione di procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’art. 12 l. 3 ottobre 2001 n. 366», in Foro it., 2003, III, 182. Ribadendo quanto affermato nel parere reso in data 21 febbraio 2002, in relazione al progetto di legge 2229/C/XIV, il Consiglio ha anzi giudicato l’intervento troppo timido, auspicando la introduzione generalizzata dell’istituto del référé francese e la revisione dei presupposti del provvedimento d’urgenza, con l’attenuazione della caratteristica di irreparabilità del pregiudizio, al fine di rendere possibile una più ampia utilizzazione dello strumento anche nelle controversie a contenuto patrimoniale.
- Il punto 28 dell’art. 2 del d.d.l. delega, pubblicato insieme alla relativa relazione in Riv. trim. dir. proc. civ., 1981, 645 ss. ed in Giust. civ., 1981, II, 315 ss., individuati i presupposti per la emanazione del provvedimento cautelare di contenuto atipico, stabiliva che il Governo doveva prevedere il potere-dovere del giudice, che lo aveva emesso, di fissare un breve termine perentorio per l’inizio del giudizio di merito, ove ne sussistesse la necessità, in relazione al contenuto della misura cautelare, ovvero una delle parti ne avesse fatto espressa richiesta anche in un momento successivo alla emanazione dell’ordinanza. Il provvedimento cautelare avrebbe perso la propria efficacia ove il giudizio di merito non fosse stato promosso nel termine stabilito ovvero si fosse estinto. Una riforma in tal senso, è auspicata da Ruffini, La riforma del processo cautelare nel disegno di legge ministeriale, cit., 203.
- Il testo è pubblicato in Riv. dir. proc., 1981, 504 ss.
- Il d.d.l., approvato in data 22 giugno 1996, manteneva ferma la strumentalità rispetto alla decisione di merito soltanto nei provvedimenti cautelari tipici, mentre a fronte di provvedimenti d’urgenza il giudizio di merito diveniva meramente eventuale. In particolare il punto 43 dell’art. 2 prevedeva la «revisione della disciplina dei provvedimenti d’urgenza secondo i seguenti principi: […] b) esclusione dell’onere della parte istante di promuovere la causa di merito; c) previsione che il provvedimento pronunciato in corso di causa conservi efficacia nel caso di estinzione del processo sul merito, in quanto non revocato o modificato; d) previsione che la parte contro la quale il provvedimento sia stato pronunciato, quando non vi è causa pendente per il merito o nel corso di un processo estinto, possa chiedere in qualunque tempo l’accertamento della inesistenza del diritto a tutela del quale il provvedimento è stato pronunciato; e) previsione che il provvedimento non revocato o modificato conservi efficacia sino a quando sia stata pronunciata sentenza, anche non passata in giudicato, italiana o straniera, o lodo arbitrale, che dichiari inesistente il diritto a tutela del quale il provvedimento è stato emesso». Per il testo del d.d.l. e la relazione, v. Tarzia, Per la revisione del codice di procedura civile, in Riv. dir. proc., 1996, 945 ss.10-
- L’art. 11, comma 2°, lett. c), delegava il Governo a dettare regole processuali da applicare in tutti o in alcuni dei procedimenti di competenza delle sezioni specializzate, regole che in particolare stabilissero la mera facoltatività della successiva instaurazione della causa di merito, dopo l’emanazione di uno dei provvedimenti emessi all’esito del giudizio di cui alla lettera a), ossia dei procedimenti concentrati e con termini processuali ridotti relativi alle controversie nelle materie di competenza delle sezioni specializzate, con la conseguente definitività degli effetti prodotti da detti provvedimenti, ancorché gli stessi non acquistassero efficacia di giudicato in altri eventuali giudizi promossi per finalità diverse.
- L’art. 10, comma 5°, stabiliva che al procedimento relativo al provvedimento di cui all’art. 700 c.p.c. si applicasse la disposizione del comma 3° dell’articolo 688 c.p.c. Questa norma, come modificata dal comma 4° del citato art. 10, prevedeva che «se l’ordinanza è pronunciata prima dell’inizio del giudizio di merito, il giudice provvede alla liquidazione delle spese del procedimento, anche nel caso di accoglimento dell’istanza. Non si applicano al procedimento le disposizioni di cui all’articolo 669 octies ed ai commi 1°, 2° e 4°, n. 1), dell’articolo 669 novies».
- Il combinato disposto dei commi 5° e 6° dell’art. 34 di tale d.d.l. risultava identico a quanto previsto dall’art. 10, commi 4° e 5°, d.d.l. 6052/C/XIII, di cui alla nota precedente.
- L’art. 45, comma 3°, di tale d.d.l. stabiliva che «all’articolo 669-octies del codice di procedura civile, dopo il quinto comma sono aggiunti i seguenti: “nel caso di reclamo, i termini di cui ai commi precedenti decorrono dalla co-municazione del provvedimento che ha deciso sul reclamo. Le disposizioni dei commi precedenti e quella di cui al primo comma dell’articolo seguente non si applicano ai provvedimenti d’urgenza emessi ai sensi dell’articolo 700, ma la parte contro la quale è stato emesso il provvedimento può iniziare il giudizio di merito; si applica l’articolo 669-novies, terzo comma. Nel caso di mancato inizio del giudizio di merito il provvedimento d’urgenza è revocabile e modificabile dal giudice che l’ha emesso solo se si verificano mutamenti delle circostanze”».
- Il testo unificato è il risultato della unione dei dd.d.l. di iniziativa dei deputati Bonito, Finocchiaro, Kessler, Carboni, Leoni, Lucidi e Grillini (C 538); Martinat (C 672); Rivolta (C 1508); Pisapia (C 2092); Nicotra (C 2302) nonché del d.d.l. di iniziativa governativa, presentato dal Ministro della giustizia Castelli (C 2229). L’art. 60, ult. periodo, del d.d.l. 2430 nel testo unificato elaborato dal comitato ristretto stabilisce che «le disposizioni dei commi precedenti e quella di cui al primo comma dell’articolo 669-novies non si applicano ai provvedimenti di urgenza emessi ai sensi dell’articolo 700 ovvero anticipatori degli effetti della sentenza di merito, previsti dal codice civile o da leggi speciali, e ai provvedimenti di danno temuto emessi ai sensi dell’articolo 688, ma ciascuna parte può iniziare il giudizio di merito. L’estinzione del giudizio di merito non determina l’inefficacia dei provvedimenti di cui al comma precedente, anche quando la domanda cautelare è stata proposta in corso di causa. L’autorità del provvedimento cautelare non è invocabile in un diverso processo».
- Il d.d.l., il 4578/C/XIV, prevede all’art. 50, lett. b), che recepisce il punto 53, lett. b) del testo elaborato dalla Commissione presieduta dal Prof. Romano Vaccarella, che i decreti legislativi recanti la riforma organica del codice di procedura civile dovranno mantenere, per il procedimento cautelare uniforme, i princípi attualmente vigenti, con gli opportuni adattamenti e le modifiche previste, tra le quali si individua il completamento della disciplina della efficacia del provvedimento nel tempo, nel senso di coordinarla, come si spiega nella relazione al d.d.l., con l’eliminazione della regola che imponeva sempre la immediata proposizione del processo di merito, pena la perdita di efficacia della misura cautelare.
- «L’ordinanza di accoglimento, ove la domanda sia stata proposta prima dell’inizio della causa di merito, deve fissare un termine perentorio non superiore a trenta giorni per l’inizio del giudizio di merito…».
- Qualora intervenga la prescrizione o la decadenza queste potranno dedursi certamente mediante azione di accertamento negativo ma probabilmente anche incidenter tantum nel procedimento per ottenere la revoca del provvedimento.
- Cosicché non sono fondati i timori che vi possano essere domande cautelare mancanti di una sufficiente individuazione del fumus boni iuris e restano inalterati i risultati della giurisprudenza sinora raggiunti. In ordine alle conseguenze della mancata indicazione nella istanza cautelare dell’azione di merito che il ricorrente intende intraprendere, la giurisprudenza si è divisa tra inammissibilità (da ultimo, Trib. Bari, ord. 24 febbraio 2003 e ord. 12 dicembre 2002, in Giur. it., 2003, 1607; Trib. Torino, ord. 23 agosto 2002, ibid., 1834; Pret. Caserta 8 aprile 1999, in Annali it. dir. autore, 2000, 713; Trib. Trieste, ord. 24 luglio 1999, in Giust. civ., 2000, I, 1851, con nota di Piria) e nullità (Trib. Modena 16 giugno 1999, in Rass. dir. civ., 2000, 936, con nota di Cartuso, Reclamo cautelare e rimessione al primo giudice, pubblicata anche in Giur. merito, 1999, 964, la quale qualifica tale nullità come insanabile; nonché Trib. Firenze 10 giugno 1999, in Foro toscano, 1999, 286, con nota di Fortini) della domanda. Sembrano conseguentemente infondati i timori espressi da Rubino, in La riforma del diritto societario. I procedimenti, a cura di Lo Cascio, Milano, 2003, sub. art. 23, 252, circa l’eventuale sopravvenienza di ricorsi che, esposti con compiutezza i presupposti che giustificano la adozione della misura cautelare, trascurino la individuazione del diritto sostanziale, che la misura cautelare è diretta ad assicurare.
- In tal senso, in relazione al rito societario, si è già espresso, Trib. Rovereto, ord. 14 giugno 2004, in Giur. merito, 2004, I, 2481, con nota adesiva di Pedrelli, Sulla necessità di individuare la domanda di merito nel cautelare ante causam proposto secondo il nuovo rito societario, e in Giur. merito, 2005, I, 596. Tale decisione ha affermato che anche successivamente all’entrata in vigore dell’art. 23 in esame, l’istanza cautelare ante causam deve contenere tutti gli elementi richiesti dall’art. 125 c.p.c., il quale risulta di certo applicabile quale norma generale, anche in virtù del richiamo operato dal comma 7° dell’art. 23 cit. In particolare, si ritiene che la domanda cautelare debba contenere l’esatta indicazione dell’azione di merito in vista della quale è proposta o almeno consentirne l’individuazione in modo certo, anche quando il provvedimento cautelare richiesto sia anticipatorio e, quindi, l’interesse della parte possa esaurirsi nell’ottenimento della cautela senza necessità di iniziare la causa di merito. Il Tribunale ha ritenuto, di conseguenza, che il ricorso cautelare, che non contenga la indicazione della domanda di merito, sia nullo ai sensi dell’art. 156, comma 2°, c.p.c., in quanto inidoneo a raggiungere lo scopo che gli è proprio.
- Sul punto, Picaroni, La disciplina uniforme del nuovo procedimento cautelare, relazione nell’incontro di studio sul tema “I nuovi procedimenti in materia di diritto societario”, CSM, Roma, 3-5 giugno 2003, 11 s., e note 20 e 21, rileva ad esempio la impossibilità che la decisione di merito, in mancanza di una domanda riconvenzionale, decida oltre alla infondatezza dei motivi proposti anche sulla esistenza del diritto, ovvero la possibilità che la domanda di accertamento negativo sia riproposta allegando fatti diversi, in considerazione del fatto che il giudicato di rigetto si formerebbe soltanto sulle questioni decise.
- L’ammissibilità dell’azione di mero accertamento negativo è contestata da Merlin, Azione di accertamento negativo di crediti ed oggetto del giudizio (casi e prospettive), in Riv. dir. proc., 1997, 1109 s. Oltre ai dubbi in ordine alla ammissibilità, Consolo, Le prefigurabili inanità di alcuni nuovi riti commerciali, in Corriere giur., 2003, 1520, sottolinea la difficoltà non soltanto ad ammettere ma anche a configurare una azione di accertamento negativo corrispondente e simmetrica rispetto ad un’azione costitutiva.
- Sul quale si veda Merlin, Azione di accertamento negativo, cit., 1093 ss., ove ampi riferimenti alla dottrina più risalente. Cfr. anche Consolo, Le prefigurabili inanità, loc. cit.
- In relazione a tale ultimo aspetto, si afferma che mentre l’accoglimento della domanda di accertamento negativo consiste nell’accertamento della inesistenza del diritto altrui, il rigetto della domanda stessa non implica accertamento della esistenza del diritto, ma soltanto del verificarsi del singolo fatto costitutivo ovvero del mancato verificarsi del singolo fatto impeditivo, modificativo o estintivo. Tale ricostruzione del giudicato sulla azione di accertamento negativo, applicato nella materia che ci occupa, porta a ritenere che l’accoglimento della domanda di accertamento negativo implichi la caducazione della misura cautelare, mentre il rigetto della stessa domanda, pur lasciando invariata la efficacia della misura non sia idoneo ad escludere che la stessa efficacia possa venir meno in altro processo
- Il comma 2° dell’art. 669 novies citato stabilisce che nel caso in cui il processo di merito non sia iniziato entro il termine perentorio indicato dall’art. 669 octies ovvero si sia successivamente estinto «il giudice che ha emesso il provvedimento, su ricorso della parte interessata, convocate le parti con decreto in calce al ricorso, dichiara, se non c’è contestazione, con ordinanza avente efficacia esecutiva, che il provvedimento è divenuto inefficace e dà le disposizioni necessarie per ripristinare la situazione precedente. In caso di contestazione l’ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il provvedimento cautelare decide con sentenza provvisoriamente esecutiva, salva la possibilità di emanare in corso di causa i provvedimenti di cui all’art. 669 decies».
- Si pone il problema di verificare a cosa faccia riferimento l’espressione in ogni caso. La ratio della norma porterebbe a riferire l’espressione esclusivamente alle misure anticipatorie: probabilmente nella mente del legislatore quella espressione intendeva fare rinvio alle ipotesi non soltanto di rigetto ma anche di accoglimento della misura anticipatoria in virtù della circostanza che a questo tipo di misura non segue un giudizio di merito. Tuttavia, parte della dottrina e la giurisprudenza che si è sinora pronunciata ritengono che la formulazione utilizzata dal legislatore debba condurre a derogare all’art. 669 septies c.p.c. citato anche laddove questo articolo sarebbe applicabile, ossia ai provvedimenti aventi carattere conservativo concessi ante causam. Cosicché, attualmente ogni statuizione su una istanza cautelare richiede sempre che il giudice adito prima della instaurazione del giudizio di merito provveda sulle spese, applicando le regole di cui agli artt. 91 ss. c.p.c., ivi compresa quella sulla responsabilità aggravata. In tal senso, v. da ultimo Trib. Bologna, ord. 31 marzo 2005, in Società, in corso di pubblicazione con mia nota, Il procedimento cautelare «societario» e le opportune misure cautelari ex art. 146 l. fall. e in Foro it., 2005, I, 1567, con nota di M. Fabiani; Trib. L’Aquila, ord. 11 agosto 2004, in Dir. fall., 2005, II, 547, con nota di A. F. Ferri, I nodi delle misure cautelari ex art. 146, comma terzo, legge fallim., fra rito cautelare uniforme, procedura fallimentare e nuovo processo societario.
- Al riguardo, Olivieri, Brevi considerazioni sulle nuove norme del procedimento cautelare uniforme, in www.judicium.it, § 4, sottolinea che, sebbene la legge di riforma del codice di rito abbia lasciato inalterato l’art. 669 septies, 2° comma, c.p.c., deve ritenersi che la perdurante efficacia della misura cautelare comporti, almeno per il provvedimento anticipatorio concesso ante causam, l’obbligo di pronuncia sulle spese «a norma degli artt. 91 e seguenti del codice di procedura civile». Ciò in virtù non soltanto della operatività, in via d’interpretazione estensiva, della non incompatibile regola enunciata per il rito societario dall’art. 23, 2° comma, citato, ma altresì del principio di economia dei giudizi, che impone la pronuncia sulle spese in qualsiasi provvedimento, ancorché reso in forma diversa dalla sentenza, che si pronunci su contrapposte posizioni delle parti, potenzialmente idoneo a definire il procedimento. Nel senso che, se i suddetti provvedimenti a strumentalità attenuata sono rilasciati ante causam, il giudice non assegna il termine perentorio per l’instaurazione della causa di merito e liquida le spese, R. Caponi, Provvedimenti cautelari e azioni possessorie, in Foro it., in corso di pubblicazione, § 1.
- Nell’ambito del procedimento cautelare uniforme, la giurisprudenza era divisa in due contrapposti orientamenti: da un lato, taluni giudici ritenevano reclamabili i provvedimenti di modifica o revoca o di rigetto della relativa istanza, dall’altro, non erano mancate decisioni difformi.
- La sentenza è pubblicata in Foro it., 1994, I, 2005, con nota di Capponi; Giur. it., 1994, I, 409, con nota di Consolo; Corriere giur., 1994, 948, con nota di Tommaseo; Giust. civ., 1994, I, 2087 e in Riv. it. dir. e proc. pen., 1994, 1085, con nota di Giarda
- Tale specificazione è di Costantino, Il nuovo processo commerciale: la tutela cautelare, in Riv. dir. proc., 2003, 661.Nel senso che il termine per la proposizione del reclamo avverso un provvedimento cautelare «societario» decorre dalla pronuncia dello stesso in udienza, la quale ne sostituisce la comunicazione, Trib. L’Aquila, ord. 7 ottobre 2004, inedita. Il termine per la proposizione del reclamo decorre dalla comunicazione del provvedimento cautelare anche quando questo sia emesso in corso di causa, in quanto la disposizione di cui all’art. 23, comma 5°, d. leg. n. 5, pur se prevista in materia di provvedimenti cautelari anteriori alla causa di merito, è norma di portata generale. Così, Trib. Marsala, ord. 18 maggio 2005, inedita, e in dottrina, Dalmotto, in Il nuovo diritto societario, diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, Bologna, 2004, sub artt. 23-24, 2944; De Matteis, Il processo cautelare societario, in www.judicium.it, § 3.1. e nota 110; Longo, Sub art. 24, cit., 462; Rubino, in La riforma del diritto societario, cit., sub art. 24, 270 s.
- In tal senso, v. Costantino, Il nuovo processo commerciale: la tutela cautelare, in Riv. dir. proc., 2003, 660 e nota 22. Conforme, Rubino, sub. art. 23, cit., 262, la quale rileva che la disposizione in esame, se pure elimina ogni incertezza interpretativa, accoglie una soluzione opposta a quella cui era pervenuta la Cassazione, anche se in relazione ai procedimenti camerali, alle cui norme rinvia l’art. 669 terdecies c.p.c. In particolare, entrambi gli Autori sottolineano che Cass., sez. un., 29 aprile 1997, n. 3670, in Foro it., 1997, I, 3531; Gius, 1997, 1308; Giust. civ., 1997, I, 1502 e in Dir. famiglia, 1997, 915, peraltro subito smentita, aveva ritenuto che, nei procedimenti in camera di consiglio plurilaterali, la notificazione del provvedimento finale è idonea a far decorrere il termine di dieci giorni per la proposizione del reclamo, solo quando sia stata effettuata dall’ufficiale giudiziario ad istanza di parte, e non quando sia stata eseguita dallo stesso ufficiale giudiziario, ma su istanza del cancelliere del giudice a quo oppure dal cancelliere autonomamente.
- Per ulteriori osservazioni e richiami di dottrina e giurisprudenza in ordine al termine per la proposizione del reclamo cautelare nel rito societario e nel nuovo procedimento cautelare uniforme, si rinvia a Longo, Il procedimento cautelare «societario» e le opportune misure cautelari ex art. 146 l. fall., cit.
- In tal senso, cfr. Caponi, La tutela sommaria nel processo societario alla luce dei modelli europei, in Foro it., 2003, V, 145, nota 22; Frus, sub. art. 23, cit., 689, il quale ne desume che, nell’ipotesi in cui la parte reclamante deduca il mutamento delle circostanze nel corso della discussione del reclamo in camera di consiglio, il resistente avrà diritto al differimento della discussione, per esaminare la nuova deduzione e per approntare le proprie difese. La medesima interpretazione dell’obbligo di rispettare il contraddittorio è fornita da M. Fabiani, Il rito cautelare societario, cit., § 4.2.
- Così Rubino, sub. art. 23, cit., 264: l’A. esemplifica una serie di prassi, nelle quali il giudice del reclamo, anziché farsi carico di una attività istruttoria ritenuta da lui, e non dal giudice a quo, necessaria per decidere, al fine di pronunziarsi sulla sopravvivenza del provvedimento cautelare, rimetteva gli atti al giudice di prime cure segnalandogli le carenze istruttorie. Favorevole anche Olivieri, La tutela cautelare, cit., § 6, il quale sottolinea che la garanzia di uguaglianza tra le parti, del diritto di difesa, del principio del contraddittorio, posti a fondamento di alcune ipotesi di rimessione, trovano completa tutela nel procedimento di reclamo. Il divieto di rimessione viene, peraltro, utilizzato dall’A. quale argomento a contrario per sostenere l’applicabilità delle altre norme sulle impugnazioni.
- Arieta – De Santis, Diritto processuale societario, cit., 404. Si precisa, infatti, che la disposizione in parola, oltre a vietare al giudice del reclamo di disporre la rimessione al primo giudice, gli impone la decisione nel merito della domanda cautelare, anche quando ravvisi un vizio processuale che ai sensi degli art. 353 e 354 c.p.c. avrebbe determinato nel processo ordinario la rimessione: Frus, in Il nuovo processo societario, diretto da S. Chiarloni, Bologna, 2004, sub. art. 23, 716. Cfr. anche Dalmotto, sub artt. 23-24, cit., 2938.
- All’articolo 669-octies sono apportate le seguenti modificazioni: 2.1) al primo comma, le parole: “trenta giorni” sono sostituite dalle seguenti: “sessanta giorni”; 2.2) al secondo comma, le parole: “trenta giorni” sono sostituite dalle seguenti: “sessanta giorni”.
- Cass., sez. un., 3 agosto 2000, n. 527, anche nell’arbitrato rituale, la pronunzia arbitrale ha natura di atto di autonomia privata e correlativamente il compromesso si configura quale deroga alla giurisdizione; pertanto, il contrasto sulla non deferibilità agli arbitri di una controversia per essere questa devoluta, per legge, alla giurisdizione di legittimità o esclusiva del giudice amministrativo costituisce questione, non già di giurisdizione in senso tecnico, ma di merito, in quanto inerente alla validità del compromesso o della clausola compromissoria; consegue che rispetto a siffatta questione è inammissibile il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione di cui all’art. 41 c.p.c. sia nell’ambito del processo arbitrale che del giudizio d’impugnazione ex art. 828 c.p.c., essendo il relativo mezzo proponibile con esclusivo riferimento alle questioni di giurisdizione in senso tecnico giuridico riconducibili al paradigma dell’art. 37 c.p.c.
- Per il commento a tale disposizione si rinvia a Majorano, Commento all’art. 35. Disciplina inderogabile del procedimento arbitrale, in I procedimenti in materia commerciale, cit., in Nuove leggi civ., in corso di pubblicazione.
- Sull’argomento si rinvia a Longo, sub art. 24, cit., 462 ss., e Id., L’accesso al rito abbreviato societario e la tutela delle parti, nota a Trib. Sulmona, ord. 24 marzo 2004, in Società, 2004, 1558.
- Art. 70-ter (Notificazione della comparsa di risposta). – La citazione puo’ anche contenere, oltre a quanto previsto dall’articolo 163, terzo comma, numero 7), del codice, l’invito al convenuto o ai convenuti, in caso di pluralita’ degli stessi, a notificare al difensore dell’attore la comparsa di risposta ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, entro un termine non inferiore a sessanta giorni dalla notificazione della citazione, ma inferiore di almeno dieci giorni al termine indicato ai sensi del primo comma dell’articolo 163-bis del codice. Se tutti i convenuti notificano la comparsa di risposta ai sensi del precedente comma, il processo prosegue nelle forme e secondo le modalita’ previste dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5.”;