TRIBUNALE DI TRANI


Il giudice designato


nel procedimento cautelare promosso in corso di causa dal fallimento D. S.r.l., in liquidazione, in persona del curatore avv. T., nei confronti di amministratori della fallita società, P.A., A.D. e S.F.M.E., sciogliendo la riserva formulata all’udienza del 14.02.2005, ha pronunciato la seguente


ORDINANZA


In pendenza di del giudizio di responsabilità proposto con atto di citazione notificato il 18/19/22.11.2004, nei confronti degli amministratori della fallita società, il Fallimento D. S.r.l., in liquidazione, in persona del del curatore avv. T., ha chiesto autorizzazione a procedere al sequestro conservativo dei beni mobili ed immobili dei convenuti P.A., A.D. e S.F.M.E., fino alla concorrenza di € 443.272,03=
A sostegno del fumus boni iuris della domanda cautelare il Fallimento ricorrente ha dedotto che la probabile ragione di credito risarcitorio consegue alle nuove operazioni intraprese dagli amministratori nel periodo 1.01.2000 – 20.05.2000 (successivo all’intervenuta causa di scioglimento della società), che avrebbero pregiudicato l’integrità del patrimonio sociale; a fondamento del periculum in mora ha allegato, invece, la palese adeguatezza della capacità patrimoniale dei condebitori in relazione all’entità del credito vantato.
Dopo la designazione presidenziale di questo giudice e l’instaurazione del contraddittorio, si sono costituiti con distinte memorie difensive S.F.M.E e A.D, resistendo con varie eccezioni di rito e di merito alla domanda cautelare e chiedendone il rigetto, con vittoria di spese e competenze del procedimento.
Osserva preliminarmente questo giudice designato che il ricorso cautelare è stato presentato ai sensi dell’art. 24 del d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 ( c.d. rito societario), anteriormente all’emissione del decreto di fissazione dell’udienza di discussione di cui all’art. 12 dello stesso d. lgs., ed alla nomina del giudice relatore. Ciò premesso, appare destituita di giuridico fondamento l’eccezione di nullità del procedimento (sollevata dalla difesa di S.F.M.E all’udienza del 14.01.2005) per vizio di costituzione del giudice, che dovrebbe a suo avviso decidere (come sul merito) in composizione collegiale, anzichè monocratica.
Va rilevato, al riguardo, che mentre, nell’ambito del procedimento cautelare uniforme non si pongono particolari problemi interpretativi alla luce del chiaro riferimento dell’art. 669 quater c.p.c. al “giudice istruttore” della causa di merito, nel procedimento societario occorre considerare, per un verso, che nella fase preparatoria destinata alla definizione del tema decidendo e del tema probandum, il giudizio di merito, pur essendo pendente ( in virtù della notificazione dell’atto di citazione), non è ancora assegnato ad alcun magistrato; per altro verso, che – eccezion fatta per le controversie tra le banche, riservate alla trattazione e alla decisione monocratica – tutte le altre (quelle societarie, quelle finanziarie, quelle tra banche e associazione di consumatori e camere di commercio e quelle sul credito alle opere pubbliche) sono riservate dall’art. 1 co. 3° del D. Lgs. n. 5/2003 alla trattazione e alla decisione collegiale.
Sennonchè, fin dalla entrata in vigore del nuovo rito, la prevalente dottrina ha sostenuto che, nonostante la scarsa coerenza dell’art. 24 con l’impianto complessivo della nuova disciplina, il cautelare in corso di causa debba essere assegnato sempre ad un giudice singolo.
Invero il 1° comma dell’art. 24, stabilendo nella prima parte che “la domanda cautelare in corso di causa si propone con ricorso depositato nella cancelleria del giudice designato per la trattazione del merito a norma dell’art. 18. comma 2”, si riferisce evidentemente ai soli giudizi affidati alla trattazione e alla decisione del giudice monocratico (ossia soltanto alle controversie tra banche) nel corso dei quali sia stata già presentata istanza di fissazione di udienza. Nella seconda parte lo stesso 1° comma prevede che “altrimenti, il Presidente designa senza indugio il magistrato al quale è affidata la trattazione del procedimento”.
L’avverbio “altrimenti” dovrebbe, dal punto di vista letterale e logico, significare “in ogni altro caso” e, quindi riferirsi sia all’ipotesi di domanda cautelare proposta nei giudizi monocratici prima della designazione del giudice, sia a quella di domanda proposta nei giudizi a trattazione collegiale, a prescindere dall’avvenuta designazione del giudice relatore.
Non a caso alcuni dei primi commentatori della riforma avevano ritenuto che non rientrasse necessariamente tra le attribuzioni del giudice relatore, di cui al 2° comma dell’art. 12, la trattazione e al decisione delle misure cautelari, in quanto il presidente avrebbe potuto legittimamente designare, ai soli fini cautelari, un magistrato diverso da quello già indicato come relatore.
Una opzione di questo tipo, strettamente aderente alla lettera della disposizione (che non contiene alcun richiamo all’art. 12, comma 2°) rischiava di rendere al stessa parzialmente confliggente con il principio di tendenziale coincidenza, in corso di causa, tra giudice della cautela  e giudice del merito, che imporrebbe coerentemente – anche nei giudizi a trattazione e decisione collegiali – che, dopo la notifica o il deposito dell’istanza di fissazione dell’udienza e al designazione del giudice relatore, il ricorso cautelare debba essere depositato nella cancelleria ed automaticamente a lui assegnato.
Si era così fatta strada, in dottrina, altra (più condivisibile trattazione) interpretazione secondo cui la prima parte dell’art. 24, comma 1°, nel menzionare l’art. 18 comma 2°, per effetto dell’espresso richiamo in questo contenuto, rinvii automaticamente anche all’art. 12: conseguentemente il ricorso cautelare sarebbe devoluto in ogni caso al giudice (già) designato, e cioè al giudice monocratico cui è affidata la trattazione del merito ovvero al giudice relatore, nelle cause a definizione collegiale.
Negli altri casi (ove cioè non sia ancora avvenuta tale nomina, cui alluderebbe l’avverbio “altrimenti” in un’accezione meramente temporale) la competenza sul ricorso cautelare spetterebbe ad un magistrato (perciò organo monocratico) appositamente designato dal Presidente.
L’interpretazione prevalente, maturata nel tempo immediatamente successivo alla emanazione del decreto delegato, è oggi avvallata dalla considerazione che il legislatore, con l’avviso di rettifica al d. Gs. 5/2003, ha disposto che nell’art. 24, al 1° comma, dove è scritto ” …nella cancelleria del giudice designato per la trattazione del merito a norma dell’art. 18, comma 2, altrimenti, il Presidente designa…” debba leggersi ” nella cancelleria del giudice già designato a norma dell’art. 12, comma 2, ovvero dell’art. 18, comma 2, altrimenti, il Presidente designa…”
Alla luce del nuovo dato normativo, può, quindi , definitivamente sostenersi che l’avverbio “altrimenti” sta a significare che il presidente designa il magistrato al quale è affidata la trattazione del procedimento cautelare ogniqualvolta la designazione per il merito non è ancora avvenuta, e ciò tanto nelle ipotesi di in cui la cognizione è devoluta al tribunale in composizione monocratica tanto in quelle in cui è devoluta alla decisione del giudice collegiale. Diversamente, non solo nel caso di giudizio monocratico, ma anche in quello collegiale il ricorso cautelare va proposto al giudice già designato per la trattazione e decisione monocratica ovvero al giudice relatore (anche qui già) designato dal presidente ai sensi dell’art. 12, 2° comma, nel caso di processo collegiale.
In tal modo la previsione del deposito del ricorso direttamente nella cancelleria del giudice relatore elimina ogni residuo dubbio sull’attribuzione della competenza cautelare al giudice monocratico anche nelle ipotesi di competenza per il merito collegiale.
Va disatteso pure il rilievo – operata dalla difesa dello S. – secondo cui la riforma del diritto societario ha abrogato implicitamente “la norma dell’art. 2449 c.c. ed anche la più parte delle norme invocate dal fallimento a sostegno della domanda, e per altro verso sono inapplicabili le norme residue in materia di società per azioni, anch’esse richiamate dal fallimento attore, in ragione della nuova e diversa sistemazione della società a responsabilità limitata, ormai società di persona … non più una piccola s.p.a… .”
Invero, a parere di questo giudice, la responsabilità degli amministratori della fallita D. S.r.l., in liquidazione, per violazione del divieto di compiere nuove operazioni dopo al verificazione di una causa di scioglimento, deve essere valutata in relazione alla disciplina civilistica (sostanziale) vigente al momento del compimento di quelle operazioni. Peraltro nel quadro normativo risultante dalla riforma della disciplina societaria l’azione di responsabilità non è scomparsa, essendo stata invece regolamentata in modo più articolato attraverso distinte ipotesi (v. artt. 2485 e 2486 c.c.), che lasciano intatta al possibilità della società (e quindi del curatore della procedura fallimentare) di agire in responsabilità contro gli amministratori che abbiano operato in modo pregiudizievole per l’integrità ed il valore del patrimonio sociale.
Non si apprezza, del resto, il profilo di incostituzionalità cui fa cenno la difesa dello S. (presunta disparità di trattamento tra vecchia e nuova disciplina dell’azione di responsabilità ex art. 2449 c.c.), tenuto conto del fatto che la nuova normativa appare sufficientemente puntuale e rigorosa.
Passando all’esame dei presupposti dell’invocata misura cautelare, sussistono – ad avviso di questo giudice – entrambi requisiti legali richiesti dall’art. 671 c.p.c.
Il fumus boni iuris ( consistente in un giudizio probabilistico sulla sussistenza del diritto di credito risarcitorio vantato dalla Curatela istante) – alla stregua della sommaria cognito consentita in questa sede – emerge dall’esame degli analitici rilievi operati dalla ricorrente in citazione e nel ricorso cautelare (che trovano riscontro nei libri e nelle scritture contabili versate in atti) in merito alla redazione del bilancio al 31.12.1997 e di quelli successivi, non riflettenti la reale situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società, caratterizzata da una costante lievitazione delle perdite, occultata dagli amministratori attraverso le denunciate operazioni di bilancio (sopravvalutazione delle partecipazioni azionarie della Banca Popolare Andriese, iscrizione dei crediti sempre in base al loro valore nominale, anzichè al loro presumibile valore di realizzo; mancata istituzione – negli anni 1985,1986 e 1987 – del cd. fondo rischi su crediti, ed istituzione del cd. fondo svalutazione crediti – nei soli 1998 e 1999 – per l’importo insufficiente di £.6.860.000; omessa istituzione del cd. fondo sanzioni civili, tributarie e previdenziali, nonostante l’esistenza di obbligazioni per sanzioni conseguenti a inadempimenti contributivi, previdenziali e tributari; esecuzione di ammortamenti per importi inadeguati ed al fine di contenere le perdite) nonché in merito alle nuove operazioni intraprese dagli amministratori nel periodo 1.01.2000 – 20.05.2000 (ben più consistente di quella di £.409.098.101 effettivamente registrata in bilancio, poiché il risultato negativo era stato contenuto mediante apposizione di crediti inesigibili per complessive £.705.538.773), con il conseguente scioglimento di diritto della società ai sensi dell’art. 2448 n. 4 c.c. ed il divieto per gli amministratori di compiere nuove operazioni.
Aggiungessi che per costante indirizzo della Suprema corte l’illegittimità dei nuovi atti di gestione va riscontrata a prescindere da ogni indagine sulla colpa degli amministratori e che il presumibile danno risarcibile (€ 443.272,03) è stato quantificato in relazione al criterio (adottato dalla prevalente giurisprudenza) della comparizione dei netti patrimoniali relativi ai diversi momenti dell’attività dell’attività vietata, con detrazione del più lontano dal più vicino nel tempo, giusta tabella trascritta in citazione (e riportata nel ricorso cautelare).
Ricorre pure l’estremo del periculum in mora, poichè dalle visure immobiliari eseguite dalla Curatela ricorrente emerge che gli amministratori A. D. e P.A.) non sono intestatari di beni immobili, mentre S. F. M. E. è proprietario della metà di un immobile, sito in B. alla Via S.F.A. N.117, in virtù di successione paterna. Tale condizione patrimoniale appare evidentemente inadeguata in rapporto alla rilevante entità del credito risarcirono vantato dalla ricorrente, sicché risulta integrato – sotto il profilo oggettivo – il presupposto richiesto ai fini della concessione della misura cautelare.
Sulle spese del procedimento cautelare si provvederà con la sentenza che definirà il giudizio di merito.


PQM


1)letto l’art. 671 c.p.c., autorizza il ricorrente Fallimento D. s.r.l.. in liquidazione, in persona del curatore a.. C.T., a procedere a sequestro conservativo dei beni mobili ed immobili degli amministratori della fallita società, P.A., A.D. e S.F.M.E, sino a concorrenza di € 443.272,03=;
2)riserva della sentenza che definisce il giudizio di merito ogni statuizione sulle spese e competenze del procedimento cautelare.
Trani, addì 14 aprile 2005


Il Giudice      
Dott. Luciano Guaglione