(Dalla Sezione di Trani dell’AIGA riceviamo e pubblichiamo)


Prime riflessioni sulle modifiche al codice di procedura civile introdotte dalla legge 80/2005 «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 35/2005, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali»
24 maggio 2005



Introduzione.
Con la conversione in legge del decreto n. 35 del 14 marzo 2005 il Parlamento ha introdotto numerose e penetranti modifiche al codice di procedura civile.
La circostanza che molte di queste novità (basti pensare alla rivisitazione della famosa scansione della triade formata dagli articoli 180 183 184 Cc od alla cosiddetta “ultrattività” dei provvedimenti cautelari) siano da sempre state auspicate e richieste dall’avvocatura non influenza più di tanto un giudizio che complessivamente, al di là di alcuni episodici aspetti (vd. per esempio l’estensione dello strumento della Ctu alla fase di istruzione preventiva), è negativo per la tecnica legislativa che è stata adottata, per la sua sostanziale frettolosità e per la discutibilità di alcune soluzioni che, da tale frettolosità, derivano.
Sebbene la circostanza che taluni interventi siano veramente improcrastinabili e la sempre incombente riforma complessiva non consentano il ricorso a tecniche diverse dalla novellazione, non sembra potersi discutere che una maggiore ponderazione avrebbe portato ad una impostaizone più organica e meno disarticolata.
Emblematico è il caso proprio della riforma della fase introduttiva (articoli 180-183-184 cpc) ove la volontà, comunque apprezzabile,. di porre rapidamente rimedio alle note storture di un sistema inadeguato (notoriamente farraginoso e ricco di adempimenti men che simbolici), ha portato alla creazione di una ibrida figura di memoria istruttoria che causerà non pochi problemi operativi.
Nelle pagine che seguono l’Aiga (pur con tutti i limiti dettati dallo scarso tempo intercorso rispetto all’entrata in vigore e dalla necessità della sintesi) offre alcune prime riflessioni critiche alle modifiche di maggior rilievo e che già costituiscono legge dello stato; rimandando ad una analisi più accurata le novità che sono tracciate solo nei termini di delega legislativa.


Articoli 180, 183, 184.
In verità l’intento di fondo alla base delle novità introdotte appare, al di là delle già precisate perplessità in merito alle modalità ed alla frettolosità con le quali si è arrivati alla loro concezione, sostanzialmente condivisibile.
Ad oggi si può avere una prima udienza di comparizione, con un eventuale rinvio (ma solo su richiesta congiunta) per l’interrogatorio libero delle parti, all’esito della quale il Giudice Istruttore, previa concessione di termini per scambio di memorie, è posto in grado di far inquadrare alle parti “thema decidendum” e “thema probandum”.
Il Giudice Istruttore (al quale sembra curiosamente quasi imposto di riservarsi) può quindi poi con ordinanza fissare l’udienza per l’escussione dei mezzi istruttori.
Evidente è l’effetto di contrazione rispetto al regime finora vigente nel quale la scansione delle udienze ex articoli 180, 183 e 184 Cpc appariva inutilmente complesso e farraginoso.
Le udienze preliminari all’istruttoria possono infatti essere ridotte soltanto ad una ed un’altra eventuale udienza è sottoposta alla richiesta espressa di tutte le parti, il che dovrebbe fra l’altro determinare anche un parametro di maggiore severità nell’applicazione del secondo dell’articolo 116 Cpc.
La novità introdotta (e si scusi l’autoreferenzialità) ricalca in modo evidente una delle due proposte di riformulazione della triade composta dagli articoli 180, 183 e 184 Cpc, così come avanzata dall’AIGA nel progetto giustizia presentato alle forze politiche nel luglio del 2003 al Senato.
Già ad un primo sguardo però la contrazione adottata appare per altro verso eccessiva nella misura in cui, nella concessione di un unico termine per memorie, impone alle parti di impostare simultaneamente le proprie difese sia sul piano del “thema decidendum” e “thema probandum”, ove non appare però difficile immaginare che molte volte le richieste probatorie di una parte (come fino ad oggi avviene) siano fortemente condizionate dalla modificazione delle conclusioni e delle eccezioni dell’avversario.
In questo senso la proposta dell’AIGA (che qui si riporta integralmente) mantiene invece la stessa economia processuale non frustrando però le prerogative delle parti.
E’ infatti prevista una citazione ad udienza fissa a 120 gg. che consenta, nella decorrenza del termine a comparire, l’adempimento di tutta una serie di passaggi che adesso hanno luogo secondo il defatigante ritmo delle udienze.
In esito alla notifica l’attore iscriverebbe regolarmente la causa a ruolo ed il fascicolo di ufficio verrebbe quindi subito ad esistenza.
Nel termine di 60 gg.liberi prima della data di comparizione fissata dall’attore (o della diversa data fissata dal Giudice) il convenuto dovrebbe costituirsi in giudizio. Sarebbe così comunque rispettato un termine a difesa di 60 gg. minimi.
Ove il convenuto intendesse svolgere azione riconvenzionale o chiamare in causa terzi, tale termine dovrebbe essere anticipato di ulteriori 20 gg. (è auspicabile che a tale momento venisse retrocesso anche il limite temporale entro il quale il convenuto, a pena di decadenza, debba avanzare le eccezioni di merito e/o di rito non rilevabili di ufficio).
Dal momento della scadenza del normale termine di costituzione del convenuto, decorrerebbero termini di 30 e 60 gg. per il deposito di memorie e repliche ex articolo 183 cpc, atte al definitivo inquadramento del “thema decidendum”.
In sede di udienza il Giudice opererebbe le verifiche di regolare instaurazione del contraddittorio ed il tentativo di conciliazione, di fatto concentrando in una unica udienza gli adempimenti attualmente svolti ex articoli 180 e 183 Cpc.
Ove ritenesse che eventuali eccezioni di merito o di rito possano essere assorbenti rimetterebbe le parti direttamente ad una udienza di precisazione delle conclusioni in esito alla quale, stante il ridotto “thema decidendum”, potrebbe assegnare termini abbreviati per conclusionali e repliche.
Da non escludere la possibilità di trattenere immediatamente in decisione la causa, stante il fatto che non apparirebbe né logico né ammissibile che le parti possano ulteriormente modificare le loro conclusioni, stante l’insussistenza di alcun elemento nuovo.
La rimessione delle parti alla precisazione delle conclusioni dovrebbe essere obbligatoria per il Giudice, ove richiesta da tutte le parti.
Per il caso che la richiesta provenga da una sola parte e la controparte non vi aderisca per mero ostruzionismo (provocando la rimessione della questione pregiudiziale o preliminare al merito), si dovrebbero ipotizzare sanzioni processuali automatiche per il caso in cui l’eccezione pregiudiziale o preliminare sia poi accolta in sede di definizione dell’intero giudizio di merito.
Particolarmente deterrente potrebbe essere la previsione della soccombenza automatica nelle spese, maggiorata con un bonus percentuale in base al valore della controversia od ai valori medi della tariffa professionale.
In totale alternativa si potrebbe immaginare una ripercussione sul Giudicante, in termini di punteggio ai fini della progressione in carriera.
Per il caso in cui il procedimento debba proseguire per il merito il Giudice assegnerebbe alle parti termini di 30 e 60 gg. per la formulazione dei mezzi istruttori, eventualmente prevedendosi l’automatica riserva del Giudice (da sciogliersi in esito alla scadenza dei termini).
Come si può vedere per tale strada, tramite uno o due passaggi processuali sarebbe possibile giungere subito allo sfogo dei mezzi istruttori, analogamente a quanto previsto dall’attuale legislatore, senza però imporre alla parte di argomentare le proprie difese, sul piano del “thema decidendum” e del “thema probandum”, in un unico contesto.
I passaggi processuali potrebbero essere addirittura contratti ad uno, immaginandosi la citazione a comparire a 180 gg. invece che a 120 gg., di modo da inglobare anche i termini per le richieste istruttorie nella fase anteriore alla comparizione avanti il Giudice Istruttore.
In entrambe le ipotesi comunque, e diversamente da quanto previsto nella riforma qui commentata, vi sarebbe l’ulteriore (e non trascurabile) vantaggio di porre il Giudice Istruttore nella condizione di avere parti avanti a sé con una impostazione “piena” quantomeno del “thema decidendum” (se non anche del “thema probandum”) della controversia, con intuibili riflessi positivi sul piano della sua capacità di condurre le parti ad una conciliazione.
La previsione poi di sanzioni processuali, per il caso di ostruzionismi alla rimessione in per conclusioni ex articolo 187 Cpc, costituisce un ulteriore e serio elemento defatigante sgombrando il campo da tattiche meramente dilatorie.


Articolo 70ter disp. att.
Intempestiva appare la previsione di lasciare le parti nella disponibilità di applicare, opzionalmente, il rito processuale previsto dal D. Lgs. 5/2003 in materia di diritto societario.
A parte la particolare cervelloticità del meccanismo resta il fatto che non sembra opportuno estendere al processo civile ordinario il nuovo rito commerciale nel momento stesso in cui quest’ultimo attraversa ancora palesemente, soprattutto nei piccoli centri, una fase quasi esplorativa.
Né può dimenticarsi che l’introduzione del nuovo rito commerciale fu anche accelerata proprio al fine di verificare la “risposta sul campo” delle nuove norme, nell’ottica di una loro futura estensione all’intero processo civile.
Tale tattica prudente e sperimentale finisce per essere del tutto tradita e sostanzialmente posta nel nulla dalla previsione di una introduzione, sebbene opzionale, del nuovo rito “sic et simpliciter”.
La scelta del legislatore appare poi ulteriormente sorprendente se si richiamano le ragioni politiche sottostanti alla normazione, ossia creare un sistema più competitivo.
Non è dato sapere, almeno nell’ottica dei Giovani Avvocati, come si possa pensare di ottimizzare il sistema giustizia creando due riti alternativi che impongono due strutture organizzative (e quindi dalla formazione del personale di cancelleria in poi) alternative e facoltative tra loro non compatibili, con il conseguente rischio dell’adozione di due (tre, ove il Giudice tratti anche cause locatizie) sistemi diversi.
La norma poi lascia essa stessa aperti alcuni interrogativi di non poco conto sul piano tecnico. Se ne citano, a mero titolo esemplificativo, i primi che sovvengono ad una rapida lettura.
Quid iuris infatti nel caso in cui solo alcuni dei convenuti aderiscano allo svolgimento del processo secondo il nuovo rito commerciale? Se va da sé che il processo prosegue nelle forme abituali, frutto della fretta appare la mancata previsione di un meccanismo che consenta di allineare la chiamata dei terzi, secondo il rito commerciale, all’eventualità che il processo possa invece svolgersi con le modalità ordinarie, dato che il terzo sarà a quel punto inevitabilmente privato del termine a comparire.
E’ solo un esempio ed è probabile che con un po’ di fantasia possano essere rinvenute altre incongruenze.
D’altra parte, sul piano dei principi costituzionali, appare difficilmente accettabile che il terzo convenuto debba accettare il rito imposto dall’accordo altrui, di fatto venendo escluso dal “patto processuale”. Prevedibile quindi un vigoroso intervento della Consulta in materia.
La norma infine non collima affatto con il generale principio, normativamente stabilito e positivamente mantenuto in specifiche norme, che il rito è in funzione della situazione di diritto azionata e non può essere scelto dalle parti.
Si pensi all’ipotesi che l’attore citi per una causa risarcitoria derivante da danni connessi ad un rapporto di locazione, proponendo la scelta del rito ex D. Lgs. 5/2003 e che il convenuto aderisca alla scelta.
Al momento del “contatto con il Giudice” questi, rilevata la riconducibilità della causa all’articolo 447 bis, non potrà che applicare obbligatoriamente l’articolo 426 Cpc e disporre il deposito delle memorie integrative, non essendo pensabile che questa norma sia stata estromessa dal codice in assenza di abrogazione esplicita.


Processo esecutivo
Le principali novità relative al processo di esecuzione forzata, costituiscono il punto di approdo di un lungo dibattito parlamentare ed il confluire di diverse e sporadiche proposte.
Anche per tale ragione, trattandosi peraltro di proposte presentate in parlamento e che ivi hanno lungamente atteso prima di essere finalmente accorpate al testo sulla competitività, non rappresentano alcuna organica modifica e di cui si dubita fortemente che – anche in ragione di alcune contraddittorietà presenti nelle norme promulgate – possano sortire effetti positivi di sistema su un settore che presenta diseconomie e disfunzioni non meno gravi.
Titoli esecutivi.
La riforma amplia la categoria dei titoli esecutivi elencati dall’articolo 474 cpc. Accanto alle sentenze, le cambiali e, soprattutto, agli atti pubblici (ricevuti da un notaio o da altro pubblico ufficiale), le scritture private autenticate acquistano efficacia di titolo esecutivo limitatamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute. L’esecuzione forzata per consegna o rilascio potrà avvenire in presenza di titoli esecutivi giudiziali e stragiudiziali (con l’eccezione delle cambiali).
La modifica appare in linea con le aspettative del mercato e degli operatori, nell’ottica di disincentivare tutte quelle controversie meramente dilatorie nelle quali – prima di tale modifica – il debitore resisteva in giudizio al solo fine di ritardare l’aggressione da parte del debitore.


Pignoramenti.
La riforma accresce i poteri dell’ufficiale giudiziario. Viene prevista la possibilità di accedere ai dati dell’anagrafe tributaria e di altre banche dati pubbliche per venire a conoscenza di beni e diritti aggredibili da parte del creditore.
Si tratterà in linea pratica di verificare se questa costituirà una effettiva occasione di specializzazione e affinamento delle capacità professionali degli Ufficiali giudiziari, ovvero una mera previsione che resterà lettera morta per il carico talora insostenibile cui gli attuali organici degli Ufficiali giudiziari sono sottoposti.
Solo i creditori muniti di titolo esecutivo o di un diritto di pegno e ipoteca sul bene pignorato potranno intervenire nel procedimento espropriativo. Possono intervenire anche i creditori che prima del pignoramento abbiano ottenuto un sequestro sul bene. Evidente appare l’intento di snellire il procedimento, pur introducendosi in tal modo una ulteriore limitazione al principio della par condicio creditorum che dal punto di vista sistematico non appare ineccepibile.


Vendite all’incanto.
Vengono modificate le norme sulla liquidazione dei diritti pignorati (nell’espropriazione mobiliare e immobiliare), sulla vendita forzata con e senza incanto. A questo proposito, gli avvocati e i dottori commercialisti hanno ottenuto l’estensione della competenza, prima solo dei notai, in materia di vendita dei beni mobili e immobili con incanto o senza incanto. Una norma che è stata inserita all’articolo 2 e che riformula l’articolo 534 del codice di procedura civile e che recita testualmente: ´Il giudice (…) ovvero in mancanza di un notaio avente sede preferibilmente nel circondario o a un avvocato o a un dottore commercialista o esperto contabile, iscritti nei relativi elenchi di cui all’articolo 179-ter delle disposizioni di attuazione del presente codice il compimento delle operazioni di vendita con incanto ovvero senza incanto di beni mobili iscritti nei pubblici registri”.
La norma apre delle indubbie possibilità ai professionisti, ma pone anche dei delicati problemi in ordine alla formazione ed alla tenuta di tali elenchi.
In particolare, l’articolo179ter delle disposizioni di attuazione (parimenti novellato) prevede che i Consigli degli Ordini interessati (notaio, avvocati, commercialisti) comunichino ogni triennio ai presidenti dei Tribunali gli elenchi, distinti per ciascun circondario, dei propri iscritti “disponibili a provvedere alle operazioni di vendita dei beni immobili”.
Agli ordini è affidato dunque un compito di “raccolta” e non di selezione di merito o dei requisiti, posto che le “specifiche esperienze maturate nello svolgimento di procedure esecutive ordinarie o concorsuali” saranno oggetto di una sorta di “autocertificazione” che l’avvocato sottoscrive allorché – assieme alla domanda – dovrà compilare anche le “schede” previste dalla norma.
Piuttosto, gli ordini potranno predisporre delle schede sufficientemente analitiche, che consentano ai Giudici di percepire l’effettiva esperienza del professionista, senza introdurre elementi in contrasto con le norme deontologiche (in particolare quella relativa alla pubblicazione dei nomi dei propri clienti). In tal senso – ad esempio – il legale officiato da un istituto di credito di promuovere o seguire una espropriazione immobiliare, potrà e dovrà omettere il nome del cliente, ma potrà senz’altro indicare il numero della procedura esecutiva, onde consentire al Giudice di verificare la corrispondenza delle indicazioni fornite.
L’elenco dei professionisti è quindi formato dal Presidente del Tribunale, il quale lo trasmette ai giudici dell’esecuzione unitamente a copia delle schede informative.
E’ infine prevista una revisione su base semestrale e la cancellazione dall’elenco dei professionisti ai quali in una o più procedure esecutive sia stata revocata la delega in conseguenza del mancato rispetto del termine e delle direttive stabilite dal giudice dell’esecuzione a norma dell’articolo 591-bis, primo comma del codice.


Custodia dei beni pignorati.
Per quanto riguarda l’espropriazione immobiliare, la riforma modifica l’attuale articolo 560 Cpc prevedendo che con l’ordinanza di vendita la custodia venga tolta al debitore e affidata al delegato alle operazioni di vendita. Nell’attuale sistema, invece, il debitore non perde la disponibilità materiale del bene sino all’esecuzione. La modifica punta a fare in modo che gli interessati all’acquisto possano esaminare i beni in vendita in modo da favorire offerte adeguate all’effettivo valore del bene.


Intervento dei creditori.
Una delle principali novità è costituita dalla previsione del diritto di intervento in favore dei soli creditori muniti di titolo esecutivo. Tale modifica – da un lato – viene ad accompagnarsi all’ampliamento del novero dei titoli esecutivi stragiudiziali, riducendosi pertanto l’area dei soggetti esclusi dalla partecipazione concorsuale; d’altra parte, si pongono due ordini di problemi, sia teorici che pratici. Sul piano teorico, infatti, la limitazione della par condicio creditorum non può trovare una piena giustificazione nella mera (per quanto rilevante) esigenza di snellimento del procedimento, anche perché – ed inoltre – sul piano sistemico, se da un lato si ottiene uno snellimento della procedura esecutiva, d’altra parte si rischia di costringere tanti a dotarsi di un titolo giudiziale, determinandosi quell’aumento di procedimenti contenziosi che si è per altra via (proprio con l’ampliamento del novero dei titoli esecutivi) tentato di arginare e ridurre.
 
Controversie in sede di distribuzione.
Si è intervenuto anche sull’articolo 512 Cpc, prevedendo che le controversie circa “la sussistenza o l’ammontare di uno o più crediti o circa la sussistenza di diritti di prelazione” siano risolti con ordinanza (reclamabile nelle forme e nei termini dell’opposizione agli atti esecutivi ex articolo617 Cpc).
La novità è significativa e comporta un notevole snellimento della procedura, ma deve essere posta in relazione alla soppressione della facoltà di intervento dei soggetti privi di titolo esecutivo nelle procedure. Se, in ragione di tale modifica, tutti i soggetti che agiscono od intervengono sono muniti di un titolo esecutivo, si riducono conseguentemente la possibilità di contestazioni nel merito e, correlativamente, viene anche meno l’esigenza – comunque riservata al giudice dell’eventuale opposizione ex articolo615 Cpc – di un accertamento con efficacia di giudicato sulla consistenza dei crediti stessi.


Procedimento cautelare e procedimento possessorio
Le modifiche introdotte nel procedimento cautelare sono ascrivibili a due diverse linee guida, condivisibili pur nelle riserve sulle modalità di introduzione delle norme su cui ci si è già espressi.
Una prima tipologia di modifiche è sostanzialmente volta a definire una serie di aggiustamenti al procedimento cautelare, come esso è, per venire incontro alle segnalazioni provenienti da avvocatura e magistratura anche in merito alle oscillazioni verificatesi in giurisprudenza all’esito dell’introduzione del rito cautelare uniforme
In tal senso si pongono la modifica dell’articolo 669 quinquies, con l’estensione della competenza anche in caso di arbitrato irrituale, dell’articolo 669 octies, con il raddoppio del termine per la riassunzione del giudizio nel merito (funzionale a creare un ipotetico spazio di trattativa tra le parti), dell’articolo 669 terdecies, sia con l’indicazione di un termine perentorio di quindici giorni per proporre reclamo decorrente anche dalla comunicazione dell’ordinanza (nel regime attuale si discute quale sia il termine per proporre reclamo in caso di omessa notifica del provvedimento cautelare), sia con la previsione del potere del Collegio in sede di reclamo di acquisire nuove informazioni e documenti, in uno con il divieto di remissione al primo giudice, dell’articolo 703 terzo comma, con l’espressa previsione della reclamabilità del provvedimento possessorio (principio non pacifico almeno sino al 1995).
Una seconda tipologia di modifiche aspira a deflazionare il contenzioso, oggi necessitato, successivo alla fase cautelare, statuendo la stabilità di alcuni provvedimenti cautelari e dell’ordinanza interdittale, pur in assenza di qualsiasi decisorietà e vieppiù efficacia di giudicato dei provvedimenti stessi, analogamente a quanto disposto dall’articolo 23 D.Lgs. 5/2003 (ossia il procedimento cautelare in materia societaria).
Non appare azzardato affermare che proprio una delle novità di maggior rilievo, dell’intera novella, è quella dai più già definita come la “ultrattività del provvedimento cautelare”.
E’ noto che, nella disciplina previgente, i presupposti fondamentali della tutela cautelare erano costituiti dalla PROVVISORIETÀ e dalla STRUMENTALITÀ di essa rispetto a quella invocata nel giudizio di merito, vale a dire, per un verso, la sua idoneità a dettare in via definitiva una disciplina del rapporto controverso e, per altro verso, la sua preordinazione all’emanazione di un provvedimento definitivo, di cui il provvedimento cautelare avrebbe dovuto assicurare provvisoriamente la fruttuosità pratica.
I pendant normativi di tali requisiti erano in particolare rappresentati dalle disposizioni di cui agli articoli669ter, primo comma, (“prima dell’inizio della causa di merito la domanda si propone al giudice competente a conoscere del merito”), 669octies (nella parte in cui imponeva al giudice, in caso di provvedimento positivo ante causam, di fissare un termine perentorio non superiore a trenta giorni per l’inizio del giudizio di merito), 669novies (che espressamente stabiliva l’inefficacia del provvedimento cautelare nell’ipotesi di mancato inizio della causa di merito) e l’articolo669 duodecies (nella parte in cui attribuiva al giudice che aveva emesso il provvedimento cautelare la competenza ad emanare i provvedimenti attuativi).
La giurisprudenza pretoria aveva esaltato l’indefettibilità di tali presupposti giungendo – pressocché univocamente – a sostenere che il ricorso cautelare doveva contenere – secondo alcune pronunce a pena di inammissibilità, per altre a pena di nullità – l’indicazione delle conclusioni da prendere nell’instaurando giudizio di merito ovvero l’indicazione sia pure implicita, ma sicuramente intelligibile della domanda di merito da proporsi all’esito della fase cautelare.
Il legislatore della riforma, recependo per tale via le indicazioni provenienti dalla stragrande maggioranza della dottrina, ha innovato profondamente la materia cautelare in parte qua, stabilendo appunto (articolo669octies, sesto e settimo comma), da un lato, che il mancato inizio del giudizio di merito non determina l’inefficacia né dei provvedimenti ex articolo700 Cpc né di quelli a contenuto anticipatorio né infine di quelli nunciatori, e, dall’altro, che l’estinzione del giudizio di merito non determina l’inefficacia dei provvedimenti cautelari né di quelli emessi ante causam né di quelli emanati in corso di causa.
La novità legislativa va accolta senz’altro con favore, posto che, nella stragrande maggioranza delle ipotesi, il giudizio di merito si risolveva – anche e soprattutto sotto il profilo istruttorio – in una mera riedizione del procedimento cautelare, la cui cognitio, pur essendo qualificata formalmente sommaria, si era trasformata nel corso degli anni in una vera e propria cognitio plena.
Prova ne è che, durante gli ultimi anni, si è assistito di frequente all’ammissione di consulenze tecniche in sede cautelare, prassi quest’ultima che, rispetto all’impostazione originaria del procedimento speciale, rappresenta una vera e propria contraddizione in termini.
E che dire del giudizio di merito possessorio (ad oggi qualificato espressamente come bifasico, ma a seconda fase del tutto eventuale), assimilato in tutto e per tutto al procedimento cautelare, in cui, eccezione fatta per le sparute ipotesi nella quali la tutela interdittale non era completamente satisfattiva della pretesa assunta lesa dal ricorrente, si assisteva a cause di merito tralaticiamente ripetitive della fase possessoria.
La formulazione, tuttavia, del nuovo articolo669 octies, sesto comma, Cpc lascia un po’ a desiderare, dato che, anziché limitarla ai provvedimenti in detta norma tassitavamente indicati (provvedimenti ex articolo700 Cpc, provvedimenti anticipatori e quelli nunciatori), sarebbe stato preferibile estendere la nuova disciplina a tutta la tutela cautelare senza eccezioni e/o limitazioni di sorta.
Non è dato comprendere, poi, per quale arcana ragione, una volta ammessa la ultrattività del provvedimento cautelare, il legislatore della novella abbia avvertito l’esigenza di limitarne l’efficacia in termini di giudicato, prevedendo all’ultimo comma della disposizione in commento che “l’autorità del provvedimento cautelare non è invocabile in un diverso processo”.
Sul piano poi degli intenti del legislatore, funzionali alla deflazione del contenzioso, deve osservarsi che appare una contraddittoria lacuna il fatto che non è stato previsto il potere del giudice di condannare alle spese nel caso di accoglimento della domanda cautelare ex articolo 669 octies o della domanda possessoria, differentemente da quanto stabilito all’articolo 23 2 comma del D. Lgs. 5/2003, con il risultato che nella grande maggioranza dei casi il ricorrente vittorioso in sede di urgenza riassumerà il giudizio al fine di ottenere anche la condanna del soccombente alle spese.
Sul punto un intervento normativo appare indifferibile, se si vuole effettivamente deflazionare il contenzioso.
Positiva deve ritenersi, altresì, la nuova disposizione in materia di revoca e modifica del provvedimento cautelare, dato che, per un verso, tra i requisiti utili ai fini in esame si è espressamente prevista la sopravvenienza di fatti anteriori al provvedimento cautelare e di cui si è avuta conoscenza successivamente al provvedimento cautelare, e, per altro verso, si è sancito l’assorbimento nel reclamo di ogni questione contemporaneamente proponibile all’istruttore.
Su tale ultima previsione sarebbe comunque necessaria una maggior riflessione, perché il principio in oggetto, riferito ad un provvedimento che non ha la stabilità e l’autorità del giudicato, si pone in contrasto con il regime delle preclusioni istruttorie che l’articolo 183 Cpc nella nuova formulazione rafforza, con il rischio che quanto è allegabile come fatto nuovo dinanzi al giudice del merito, ai fini della modifica del provvedimento cautelare, sia non allegabile, viste le preclusioni, nel relativo giudizio di merito, salvo il rimedio, assai aleatorio, dell’articolo 184 bis
Scontata (addirittura), ma assolutamente doverosa la disposizione che prevede espressamente la reclamabilità dei provvedimenti cautelari negativi, anche per uniformare l’ordinamento alla pronuncia n. 253 resa dalla Corte Costituzionale in data 23 giugno 1994.
Parimenti positiva è l’attribuzione esplicita al Collegio di poteri istruttori – sia pure molto limitati – in sede di reclamo.


Istruzione preventiva
La previsione di cui all’articolo696, primo comma, seconda parte, Cpc, nella parte in cui estende la possibilità dello strumento dell’accertamento tecnico preventivo anche alla persona dell’istante e, se questa vi consente, alla persona nei cui confronti l’istanza è proposta, non fa altro che recepire i costanti insegnamenti della giurisprudenza di merito e di legittimità.
Opportuna appare, altresì, la disposizione di cui al secondo comma della stessa disposizione normativa, nella parte in cui si prevede espressamente che l’ATP può comprendere anche valutazioni in ordine alle cause e ai danni relativi all’oggetto della verifica.
La previgente formulazione, limitando l’ATP alla mera descrizione della situazione e della condizione dei luoghi, rendeva sostanzialmente inutile il ricorso al procedimento di istruzione preventiva, a meno che non vi fosse un espresso consenso delle parti ad estendere la valutazione anche all’accertamento delle cause e dell’entità dei danni.
Positiva è anche la previsione che estende lo strumento in rassegna all’accertamento e alla relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito.
Da accogliere con estremo favore, per le ricadute sicuramente positive che potrebbero avere in termini di deflazione del contenzioso, le disposizioni che favoriscono la conciliazione nel corso del procedimento di istruzione preventiva.


Famiglia
Con l’approvazione  del decreto di competitività il Governo tra le numerose modifiche ha apportato innovazioni anche alla disciplina del Diritto di Famiglia, in particolare agli articoli706-707-708-709-709 bis del Cpc per quanto attiene al rito della separazione, inoltre è stato sostituito l’articolo 4 della legge 898/70 per il rito divorzile.
Premesso che gli operatori del settore auspicano da tempo una riforma globale della materia – stante le gravi problematiche che derivavano dall’applicazione dell’attuale normativa – non può revocarsi in dubbio che le modifiche di cui al suddetto decreto, sgombrano il campo dalle diverse prassi che venivano adottate nei vari tribunali, ogni qual volta veniva depositato un ricorso per separazione e/o divorzio giudiziale. L’introduzione di tali modifiche pone fine ad una situazione, caratterizzata da un’incertezza del diritto – che  si verificava a causa della applicazione delle disomogenee interpretazioni della legge vigente – in   aperto contrasto con i principi fondamentali della nostra Costituzione.
La novella legislativa come anzidetto, apporta modifiche rilevanti allo svolgimento del processo di separazione e divorzio, prevedendo per entrambi i giudizi un unico rito uniforme. Una modifica che l’ AIGA ha fortemente sostenuto,  cercando di promuovere un intervento normativo capace di prevedere un processo che alla luce del nuovo disposto dell’articolo 111 Costituzione, prevedesse delle garanzie processuali accentuando altresì il carattere di specialità che contraddistingue la procedura di separazione e divorzio, al fine di renderne più rapido e funzionale lo svolgimento. In questo senso sembrano indirizzarsi le modifiche che ci occupano, in base alle quali nel nuovo rito, pur mantenendo immutata la originaria struttura bifasica, sono predeterminati forme e termini processuali.
In particolare, le novità introdotte –a cui possiamo per certi aspetti aderire – riguardano la forma della domanda, la competenza territoriale, l’udienza di comparizione davanti al Presidente del Tribunale, nonché la disciplina dell’udienza di fronte al Giudice istruttore.
Appare condivisibile la modifica con cui  si determina il giudice competente, in deroga ai principi generali, con quello dell’ultima residenza dei coniugi ed altrettanto condivisibile è la previsione del termine di novanta giorni dal deposito del ricorso entro cui dovrà essere fissata l’udienza presidenziale, al fine di garantire celerità nello svolgimento del procedimento. Lo scopo è infatti quello di evitare una comparizione lontana nel tempo, come spesso accade,ma, in assenza di ulteriore specificazione, non possiamo che auspicarci che tale termine sia rispettato stante il sovraccarico del ruolo a tutti noi ben noto.
Giova altresì rilevare che rimanendo immutati gli incombenti relativi alla verifica della regolarità del contraddittorio, per quanto concerne la forma della domanda, adesso si prevede che nel ricorso deve essere indicata – a pena di nullità – anche l’esistenza di figli legittimi,legittimati o adottati da entrambi i coniugi durante il matrimonio e devono essere allegate le ultime dichiarazioni dei redditi presentate. Il medesimo obbligo di allegazione è previsto per il coniuge convenuto, il quale nella fase presidenziale può depositare memorie difensive entro il termine fissato dal Presidente nel decreto di comparizione parti.
La novella quindi non ha modificato la struttura della fase presidenziale, che di fatto continua a prevedere l’udienza di comparizione parti, ove i coniugi devono appunto comparire personalmente per consentire l’espletamento dell’obbligatorio tentativo di conciliazione e consentire dipoi l’ adozione dei provvedimenti presidenziali. A tal proposito si sottolinea positivamente la previsione dell’obbligo dell’assistenza del difensore già nella fase presidenziale – sancito a garanzia del diritto di difesa ed indispensabile nella determinazione dei provvedimenti presidenziali – che seppur provvisori sono di fatto destinati ad incidere per lungo tempo nelle relazioni personali e patrimoniali dei soggetti coinvolti. Tali provvedimenti infatti continueranno ad essere assunti sulla scorta di una valutazione approssimativa della vicenda coniugale rappresentata dalle parti nel ristretto arco temporale di pochi minuti fino ad adesso – di regola – concesso alle parti all’udienza presidenziale.
Specificatamente, occorre evidenziare che pur essendo condivisibile l’introduzione dell’obbligo di allegare al ricorso introduttivo e memoria le ultime dichiarazioni dei redditi presentate dai coniugi, non è dato comprendere a quali e quanti anni ci si riferisca, sarebbe stato opportuno prevedere che il succitato obbligo comprendesse le dichiarazioni relative almeno agli ultimi 3 anni onde avere un ampio quadro  della situazione reddituale delle parti.
Non può inoltre essere sottaciuto che in questa “miniriforma” non è stata prevista la possibilità di poter impugnare i provvedimenti presidenziali: allo stato attuale, infatti, l’ordinanza presidenziale, sebbene modificabile e/o revocabile dal giudice istruttore, non è reclamabile come sarebbe auspicabile che fosse, attesa la specificità degli interessi coinvolti, magari nelle more tra l’udienza presidenziale e quella successiva di trattazione, sovente lontana nel tempo, con evidente pregiudizio del coniuge più debole.
Analoga censura può essere mossa per quanto concerne l’omessa previsione riguardante lo scioglimento della comunione dei beni, che sarebbe auspicabile anticipare dal momento della comparizione dei coniugi avanti il presidente, al fine di evitare disparità di trattamento tra coniuge che dispone dei beni e coniuge che subisce perdite economiche e patrimoniali durante i tempi di durata occorrenti per lo svolgimento del processo.
La seconda fase del rito si apre una volta fallito il tentativo di conciliazione, avanti il giudice istruttore designato:il Presidente, infatti con ordinanza fissa l’udienza di trattazione davanti al giudice istruttore, assegnando al ricorrente il termine per il deposito di memoria integrativa che deve avere il contenuto di cui all’articolo 163 , terzo comma, num. 2,3,4,5 e 6 Cpc; il termine al coniuge convenuto per la costituzione in giudizio ai sensi dell’articolo 166 e 167 Cpc, primo e secondo comma, nonché per la proposizione delle eccezioni non rilevabili d’ufficio,  con l’espresso avvertimento che la costituzione tardiva comporta le decadenze di cui all’articolo 167 Cpc. L’ordinanza deve quindi essere notificata a cura dell’attore al convenuto non comparso ed è comunicata al Pm.
La novella quindi scandisce la seconda fase del giudizio con termini di costituzione differenti da un lato per l’attore – rectius coniuge ricorrente – che si costituisce con il deposito del ricorso salva la possibilità di depositare memoria integrativa entro il termine assegnato dal Presidente prima dell’udienza di trattazione, e dall’altro per il coniuge convenuto, che si costituisce nelle forme e nei termini del giudizio ordinario.
Il giudizio a questo punto segue l’iter del processo ordinario con l’applicazione degli articoli 180, 183 e 184 Cpc così come novellati. Pertanto a questo riguardo si può rilevare che sarebbe stata opportuna una rivisitazione della scansione della procedura avanti al giudice istruttore al fine di garantire celerità e snellezza, magari prevedendo anche una disciplina ad hoc, atta a garantire – con tutte le cautele necessarie, l’ascolto del minore, aspetto che non è stato assolutamente preso in considerazione dal legislatore.
Concludendo questo breve excursus delle novità, possiamo richiamare ancora una volta – da parte della giovane avvocatura l’attenzione del legislatore sulla necessità di attuare una riforma organica e sistematica del diritto di famiglia sia dal punto di vista sostanziale che processuale, che sia capace di adeguare il nostro ordinamento alla specialità degli interessi coinvolti nelle crisi familiari.