Il commercio elettronico e gli accordi verticali 


Internet costituisce uno dei più importanti punti di contatto delle aziende con il loro pubblico, solo in parte costituito da consumatori.


Attraverso il sito aziendale possono essere veicolati importanti contenuti non solo promozionali, ma anche informativi, su scala globale o locale: opportune strategie di domain naming concorrono sempre più al raggiungimento degli obiettivi strategici di aziendali. Ciò trova riscontro nelle numerose sentenze e decisioni arbitrali in materia di concorrenza sleale e domain names, nelle quali è ormai evidente come l’internet costituisca un nuovo modello tecnologico, economico, manageriale, sociale e pubblicitario.


L’intuibile facilità con la quale è possibile raggiungere direttamente i consumatori in ogni parte del globo, ancora più evidente allorchè sia possibile utilizzare marchi notori, produce effetti molto marcati nel terreno della distribuzione commerciale. Tra questi, la disintermediazione della catena distributiva, che porta con sé aspetti problematici sotto il profilo dei delicati equilibri che, fino al recente passato, hanno governato i rapporti tra casa madre e importatore o tra produttore e distributore.


La comparsa sul mercato di nuovi modelli di distribuzione di contenuti (in larga parte immateriali), recentemente evidenziata nella relazione della commissione interministeriale sull’e-content  presieduta dall’Ing. Vigevano, testimonia delle nuove possibilità in termini di distribuzione commerciale offerte dall’Internet: la misura in cui l’industria riuscirà a sfruttarne le potenzialità, superando le antinomie tra i protagonisti della supply chain, determinerà numerosi casi di successo, allontanando il rischio di trovarsi improvvisamente di fronte a successi tanto clamorosi quanto allarmanti per chi ne è escluso (vedi il caso Amazon.com).


Si determina, dunque, una contrapposizione di interessi diversi: lo stimolo al commercio elettronico; la libertà di circolazione delle merci nel mercato interno; l’interesse dei consumatori ad ottenere i prezzi più compatitivi; i diritti acquisiti degli intermediari commerciali e in generale la regolamentazione comunitaria del mercato e della concorrenza.


Sul piano della certezza del diritto, non mancando sul piano nazionale ed internazionale precisi riferimenti normativi e giurisprudenziali, cercheremo di ripercorrerne i tratti più importanti.


Anticipando alcune considerazioni, è importante rilevare come le evoluzioni tecnologiche consentano oggi di prestare, via Internet, una serie di servizi che fino a poco fa si ritenevano preclusi, con importanti conseguenze  sull’elemento dell’intuitus personae che caratterizza numerose attività o professioni. Recentemente, la sentenza della corte di giustizia dell’Unione Europea C-322/01 (Deutscher Apothekerverband eV contro 0800 DocMorris NV e Jacques Waterval) ha stabilito come on line possano essere fornite numerose prestazioni caratteristiche della professione del farmacista, ivi compresa la consulenza al cliente.


Entrando nel merito dell’argomento in esame, si osserva come con il Regolamento CE n.2790/1999 la Commissione Europea abbia modificato la disciplina degli accordi verticali di categoria, aggiornando il quadro giuridico degli accordi per l’acquisto o la vendita di beni e servizi tra imprese operanti a livelli diversi della catena di produzione o distribuzione. Il Regolamento, il cui ambito di applicazione è ulteriormente chiarito dalle linee direttrici [1], abbraccia gli accordi di monomarchismo; distribuzione esclusiva; distribuzione selettiva; accordi di franchising; accordi di fornitura esclusiva; vendita abbinata e prezzi raccomandati o imposti.


 Il Regolamento, che prevede una cd. “zona di sicurezza” per gli accordi verticali posti in essere da imprese che detengono una quota di mercato rilevante inferiore al 30%, è inflessibile nell’indicare alcune tipologie di accordi o di clausole -cd. Black list– assolutamente inammissibili.  Ciò che è estremamente importante è come, in armonia con le esigenze che hanno animato numerose direttive a favore del commercio elettronico, nel quale la Commissione individua un potente strumento per diffondere i benefici –in termini di riduzione dei prezzi- delle libertà fondamentali del Trattato, tra le restrizioni gravi che in nessun caso possono essere contemplate dagli accordi figurano le limitazioni nei confronti delle vendite passive, tra le quali rientrano quelle concluse –a certe condizioni- via Internet. [2]


Si tratta di un importante chiarimento, anche alla luce delle recenti evoluzioni tecnologiche che rendono possibili servizi prima impensabili (si pensi, ancora, ai servizi di telemedicina). Le linee guida contengono altre affermazioni simili, nei toni, a vere e proprie prese di posizione, come le seguenti: “qualsiasi distributore deve essere libero di utilizzare Internet per pubblicizzare o vendere prodotti.”, e, ancora “il fatto che ciò -l’e-commerce, nda- possa produrre effetti al di fuori del proprio territorio o gruppo di clienti è una conseguenza della tecnologia, che consente un facile accesso da qualsiasi luogo.”.


Sulla base di tali presupposti, dunque, quali sono i limiti alla libertà contrattuale nella definizione dei vari accordi (di distribuzione) verticali, relativamente alla possibilità di sfruttare le potenzialità del commercio elettronico? E’ legittima l’interdizione della vendita tramite internet agli affiliati di una rete di distribuzione?


Si tratta di una domanda che riguarda in particolare due categorie di sistemi di distribuzione: quella selettiva [3] ed esclusiva. [4] 


Il 2 settembre 2000, la camera arbitrale dell’American Arbitration Association del distretto di Dallas ha deciso il conflitto tra gli affiliati e il franchisor, convenuto dinanzi agli arbitri per aver avviato un portale di ecommerce ritenuto lesivo non solo delle limitazioni geografiche commerciali, ma anche dei diritti di proprietà industriale. Questo anche se nel contratto non era previsto alcun riferimento alla vendita tramite internet.[5]


La natura tendenzialmente anticoncorrenziale [6] di tali tipi di accordi, frequenti dell’organizzazione della supply chain, porta la Commissione a delimitarne l’ambito di liceità, oltre il quale cadranno sotto la scure delle norme del Regolamento. Non rientrano così nelle restrizioni di cui all’art. 81 Trattato gli accordi di distribuzione selettiva basati su criteri puramente qualitativi, giustificati cioè dalla natura del prodotto o dalla necessità della presenza di personale in possesso di determinate qualifiche professionali. Tali criteri dovranno essere dunque proporzionali e non dovranno tradursi in manovre elusive delle limitazioni di natura quantitativa.


Attuando le deroghe previste dall’art.81 n. 3 del Trattato [7], il Regolamento e le linee direttrici, stabiliscono dunque un quadro di riferimento per l’operatività di tali accordi. Alcune recenti decisioni della Corte di Giustizia delle Comunità europee e di giudici nazionali hanno aggiunto ulteriori interessanti elementi di novità a tale quadro.


E’ sopratutto la distribuzione di prodotti di lusso, cosmetici e parafarmaceutici a ricorrere a reti di distribuzione selettiva.


Proprio in quest’ultimo campo sono state rese importanti decisioni, a proposito della legittimità da parte del membro di una rete di distribuzione selettiva di utilizzare internet e l’ecommerce. Si tratta del caso Laboratoires Pierre Fabre, oggetto dell’ordinanza di référé del Tribunal du commerce di Pontoise del 15 aprile 1999 [8] riformata dalla Corte d’Appello di Versailles con sentenza del 2 dicembre 1999 [9].


I giudici togati della Corte d’Appello hanno affermato l’incompatibilità della vendita attraverso Internet con i rigidi criteri che definiscono le condizioni di vendita di particolari prodotti, come i prodotti para-cosmetici forniti dai laboratori Fabre. Quest’ultima, dunque, nella posizione di garante dell’integrità della rete distributiva, è legittimata a richiedere ogni provvedimento idoneo a preservarla e ad impedire trattamenti discriminatori a danno degli altri distributori.


Particolare attenzione suscita la considerazione dei giudici d’Appello ai sensi della quale, almeno al momento in cui veniva resa la sentenza, le vendite tramite internet non permettono di soddisfare alcuni aspetti qualificanti dell’accordo di distribuzione de quo. [10].


La stessa sentenza tuttavia compie un’importante, profetica considerazione, che potrebbe dunque limitare significativamente la possibilità di interdire l’ecommerce da parte dei membri di una rete di distribuzione della stessa tipologia.


Afferma la Corte: « sono immaginabili, in futuro, maggiori integrazioni di questo nuovo metodo di distribuzione nelle reti di distribuzione selettiva, con criteri da definirsi, mentre è evidente che attualmente il sito xxx.com non consente di soddisfare i criteri di sicurezza, sanità, valorizzazione dei prodotti previsti dall’accordo di distribuzione della società appellante ».


Nel 2002, la Corte di Giustizia della comunità europee, risolvendo una questione di enorme importanza in materia di distribuzione di farmaci (in cui le esigenze di sicurezza sono dunque ben maggiori che nel settore dei cosmetici), ha invece affermato come “ … l’impiego di Internet non comporterebbe neppure rischi addizionali per la salute che potrebbero essere esclusi solo con un divieto assoluto di commercio per corrispondenza di medicinali. Al contrario, le possibilità tecniche di Internet, in particolare quelle che permettono di elaborare contenuti interattivi e adattati individualmente al cliente interessato, potrebbero essere utilizzate per assicurare una tutela ottimale della salute.” [11]


Dunque, si potrebbe sostenere che, essendosi realizzate le condizioni di cui alla sentenza della Corte d’Appello di Versailles, oggi non vi siano ostacoli all’ecommerce da parte degli affiliati ad una rete di distribuzione selettiva. A patto che, chiaramente, il sito di ecommerce si attenga ai criteri previsti dalle linee guida del Regolamento sugli accordi di categoria ai fini della qualifica di “vendita passiva”.


E’ dunque evidente l’importanza giocata dalla precisa regolamentazione della libertà di utilizzare internet a fini commerciali in ogni contratto o accordo di distribuzione. 


Avv. Roberto Manno – weblegal@tin.it


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Note




  1. GU C 291 del 13.10.2000

  2. Vendite «passive»: la risposta ad ordini non sollecitati di singoli clienti, incluse la consegna di beni o la prestazione di servizi a tali clienti. Sono vendite passive le azioni pubblicitarie o promozioni di portata generale realizzate attraverso i media o via Internet che raggiungano clienti all’interno del territorio esclusivo o del gruppo di clienti esclusivo di un altro distributore, ma costituiscano un modo ragionevole per raggiungere clienti al di fuori di tali territori o gruppi di clienti, ad esempio per raggiungere clienti in territori non concessi in esclusiva o all’interno del proprio territorio. Cfr Linee Guida GU C 291 del 13.10.2000 (50).

  3. “Per sistema di distribuzione selettiva si intende un sistema nel quale il fornitore si impegna a vendere i servizi oggetto del contratto, direttamente o indirettamente, solo a distributori selezionati sulla base di criteri specificati e nel quale questi distributori si impegnano a non vendere tali beni o servizi a distributori non autorizzati” art. 1 (d) R 2790/1999.

  4. “Per obbligo di fornitura esclusiva si intende qualsiasi obbligo, diretto o indiretto, che impone al fornitore di vendere i beni e o servizi specificati nell’accordo ad un unico acquirente all’interno della Comunità, ai fini dell’utilizzazione specifica o della rivendita” art. 1 (c) R 2790/1999.

  5. Emporium Drug Mart, Inc. of Shreveport c. Drug Emporium, Inc., and Drugemporium.com, Inc, (Settembre 2000) disponibile sulla rivista Juriscom.net  http://www.juriscom.net/txt/jurisus/ce/aaa20000902.htm.

  6. Ogni accordo avente per oggetto o come effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della libera concorrenza nel mercato interno è proibito ai sensi dell’art. 81 del Trattato.

  7. “che contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell’utile che ne deriva, ed evitando di:


    • a)  imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per raggiungere tali obiettivi;

    • b) dare a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi. 

  8. http://www.juriscom.net/txt/jurisfr/ce/tcpontoise19990415.htm, ultima visita 25.02.2005 

  9. http://www.juriscom.net/txt/jurisfr/ce/caversailles19991202.htm, ultima visita 25.02.2005. Si leggano inoltre gli interessanti articoli di Yann Dietrich e Alexander Menais disponibili sul sito http://www.juriscom.net,  tra cui http://www.juriscom.net/pro/1/ce19990301.htm .

  10. Considérant que la commercialisation sur Internet ne permet pas d’obtenir les mêmes résultats ; que les conseils ne peuvent être donnés immédiatement, mais nécessitent un délai de réponse ; qu’ils ne peuvent être donnés que sur les indications du client, sans qu’il soit praticable de demander à ce dernier les précisions nécessaires pour apprécier ses besoins réels ; que le contact avec le vendeur n’est pas personnel, mais passe par le truchement des images fixes d’un écran d’ordinateur ; qu’en l’espèce, le site présente les produits par leurs marques et leurs descriptions, sans qu’apparaisse la moindre recherche esthétique ; qu’aucune vitrine ” virtuelle ” n’est mise en place ; que l’aspect visuel du produit et de son emballage n’apparaît pas ; sent. cit. nota prec.

  11. S CJCE C-322/01 dell’11 dicembre 20003. Per un rapido commento, vedi: http://www.interlex.it/ecomm/r_manno17.htm sulla rivista InterLex.it.