REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale di Trani
Sezione distaccata di Barletta


Il Giudice Unico Dott. Riccardo Leonetti ha pronunciato la seguente


SENTENZA


nelle cause civili riunite iscritte nel registro generale affari contenziosi dell’ex Pretura Circ. di Trani – Sezione distaccata di Barletta (sotto il numero d’ordine 3976 dell’anno 1997) e nel registro generale affari contenziosi del Tribunale di Trani – Sezione distaccata di Barletta (sotto il numero d’ordine 13459 dell’anno 2001)


TRA


S. D., residente in Barletta ed ivi elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. G. S., dal quale è rappresentato e difeso, come da procura a margine dell’atto di citazione – Attore –


CONTRO


G. R., titolare dell’omonima impresa individuale corrente in Canosa di Puglia, elettivamente domiciliata in Barletta (studio avv. G. P.), rappresentata e difesa, come da procura a margine della comparsa di costituzione, dall’avv. D. C.- Convenuta –


NONCHE’ TRA


G. R., titolare dell’omonima impresa individuale corrente in Canosa di Puglia, elettivamente domiciliata come sopra, rappresentata e difesa, come da procura a margine dell’atto di citazione in riassunzione, dall’avv. D. C.- Attrice –


CONTRO


S. D., residente e domiciliato come sopra, rappresentato e difeso dall’avv. G. S., dal quale è rappresentato e difeso, come da procura a margine della comparsa di costituzione – Convenuto –


Oggetto: risarcimento danni da inadempimento contrattuale


All’udienza del 29.6.04, la causa veniva riservata per la decisione sulle conclusioni così precisate dalle parti:
per S. D.: “riportandosi a tutti gli atti di causa ed in particolare alle conclusioni indicate nell’atto introduttivo dalla lettera a) alla lettera e), nonché in quelle rassegnate nella comparsa di costituzione e domanda riconvenzionale depositate presso la Pretura di Canosa in data 30/12/1998, in seguito ad irrituale citazione della ditta G. nei confronti del S., la cui causa, per litispendenza di causa connessa tra le parti, su provvedimento del Tribunale di Canosa, veniva riassunta e riunita a questo giudizio. Chiede, comunque, che, reietta ogni avversa deduzione, eccezione, conclusione e domanda, l’On. Giudicante voglia condannare la Ditta G. al risarcimento dei danni così come accertati con apposita CTU, della cui valutazione e liquidazione si rimette all’equo apprezzamento del giudice. Chiede infine la condanna della Ditta G. al pagamento di tutte le spese per ATP e per CTU disposte dal Tribunale di Barletta, opponendosi alla domanda di spese di ATP disposta dall’incompetente Tribunale di Canosa. Chiede ancora la condanna della Ditta G. al pagamento di tutte le spese di causa, ivi comprese quelle sostenute per costituirsi presso il Tribunale di Canosa, da dove è stata riassunta la causa per proseguire innanzi a questo giudice in seguito alla disposta riunione”;
per G. R.: “riportandosi a tutto quanto dedotto nel predetto giudizio (…instaurato dal S. D. innanzi a questo giudice iscritto al n.3976/97…) si riporta alle conclusioni ivi rassegnate con la comparsa di costituzione chiedendo dichiararsi il difetto di legittimazione passiva della ditta G. R. in riferimento al capo n.6 dell’atto di citazione; nel merito rigettare totalmente la domanda proposta dal S. D. con vittoria delle spese di lite; per le ragioni rassegnate il S. dovrà essere condannato al pagamento di quelle somme che il Tribunale riterrà di giustizia ai sensi dell’art.96 c.p.c. per temerarietà della lite. In riferimento al giudizio iscritto al n.13459/01 Trib. di Barletta, nel quale è confluito quello iscritto al n.6380/98 proveniente dal Tribunale di Canosa, a seguito di atto di citazione in riassunzione, successivamente riunito al n.3976/97 Trib. di Barletta, ci si riporta a tutte le deduzioni e conclusioni rassegnate ed in particolare alle conclusioni dell’atto di citazione in riassunzione e quindi, accertata la responsabilità per inadempimento contrattuale del S. D., accogliere la domanda e per l’effetto condannarlo al pagamento di L.40 milioni rapportata all’euro, o a quell’altra somma maggiore o minore che risulterà essere dovuta per le causali di cui in giudizio, oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici istat e gli interessi legali sulla sorte capitale rivalutata dalla domanda al soddisfo, nonché al pagamento delle spese, diritti ed onorario, oltre quelle per ATP e CTU. Conclusivamente in riferimento ai giudizi riuniti, si conclude chiedendo il rigetto della domanda proposta dal S. D., ed accoglimento della domanda proposta dalla ditta G. R. con ogni conseguenza di legge anche in ordine alle spese, diritti ed onorario del giudizio”.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con citazione notificata il 30.10.97 S. D., premesso che con contratto del 14.8.97 aveva venduto alla ditta G. R. di Canosa per il prezzo di L.99 mln tutta l’uva (già pronta per il raccolto) prodotta dal proprio vigneto in agro di Barletta, con impegno dell’acquirente a raccogliere direttamente il prodotto entro fine agosto o inizio settembre ed impegno del venditore “ad effettuare l’irrigazione almeno tre gg. prima, da comunicarsi preventivamente”, lamentava di avere subìto danni sia per il mancato rispetto da parte dell’acquirente del termine pattuito per la raccolta dell’uva, ancora pendente alla data del 4.10.97 (danni consistenti nelle spese sostenute per ulteriori trattamenti irrigui e nel mancato utilizzo – per la semina di ortaggi – del terreno sotto il tendone dell’uva, rovinato dalla caduta di uva divenuta mosto anche per l’azione delle intense pioggie di fine agosto e inizio settembre, con conseguente nascita di erbacce), sia per la cattiva esecuzione dell’attività di raccolta da parte dell’acquirente medesimo (danni analiticamente descritti nell’atto introduttivo e derivanti, in sintesi, dalla rottura di tubature e di parti del vigneto nonché dall’asportazione di tralci). Tanto premesso S. D., nel precisare di avere già chiesto ed ottenuto dal Pretore di Barletta l’espletamento di a.t.p. per accertare lo stato dei luoghi, evocava innanzi al predetto organo giudiziario la ditta G. R. perché, accertata la sua responsabilità per i danni arrecatigli, fosse condannata al pagamento di L.49 mln o altra somma da accertare in via equitativa nei limiti di competenza pretorile, con vittoria delle spese di lite, ivi comprese quelle dell’accertamento tecnico preventivo.
 Con comparsa depositata il 15.1.98 si costituiva la ditta convenuta e, premesso di avere a sua volta già chiesto al Pretore di Canosa in data 17.9.97 un a.t.p. per accertare il danno subìto (già quantificato in L.49 mln) a seguito della disidratazione dell’uva per mancata irrigazione del fondo da parte del S. (che aveva effettuato un’unica irrigazione in data 17.9.97), eccepiva che le parti non avevano stabilito alcun termine per la vendemmia e la consegna, e che per i danni danni subiti dal S. durante la raccolta la legittimazione passiva spettava al solo I. C. quale proprietario e conducente del mezzo agricolo. Pertanto la G. concludeva chiedendo dichiararsi il difetto parziale di legittimazione passiva e, nel residuo merito, rigettarsi la domanda, con vittoria di spese di lite e condanna ex art.96 c.p.c. .
 Nel corso del giudizio veniva disposta l’acquisizione dell’a.t.p. espletato su iniziativa del S., si procedeva all’audizione di numerosi testimoni e, all’esito di tale attività istruttoria, veniva disposta CTU, con riserva di formulazione del quesito in sede di conferimento dell’incarico.
 Nelle more dell’udienza fissata per l’espletamento di quest’ultimo incombente, con citazione in riassunzione notificata l’8.10.01 G. R. evocava innanzi a questa stessa Sezione distaccata S. D. per sentirlo condannare al pagamento di L.40 mln (o somma maggiore o minore di giustizia, oltre interessi e svalutazione nei limiti di competenza pretorile nonché spese di lite comprensive di costo di ATP) a titolo di risarcimento dei danni conseguiti all’inadempimento – da parte del S. – dell’obbligo di irrigare il vigneto assunto con contratto di compravendita del 14.8.97. Precisava al riguardo che aveva già avanzato nei confronti del S. le medesime richieste con citazione (notificata il 3.11.98) a comparire innanzi alla Sezione di Canosa di Puglia; ma che, a seguito delle eccezioni sollevate dal convenuto in sede di costituzione, con sentenza n.88 del 6.6.01 il Tribunale di Trani – Sezione distaccata di Canosa di Puglia aveva dichiarato la litispendenza tra quella causa e la causa anteriormente iscritta innanzi alla Sezione di Barletta sotto il n.3976/97 R.G., con assegnazione di termine di mesi cinque per la riassunzione della causa e compensazione integrale delle spese di lite.
 Si costituiva nel giudizio di riassunzione il convenuto S. e, nell’eccepire preliminarmente l’inammissibilità della domanda per mancata notificazione della copia integrale della sentenza dichiarativa della litispendenza, nel merito riproponeva le eccezioni e le domande riconvenzionali già proposte davanti al Pretore di Canosa di Puglia (riproduttive, sostanzialmente, delle deduzioni già svolte in via d’azione nell’altra causa da lui promossa), chiedendo ed ottenendo altresì l’autorizzazione alla chiamata in causa di I. C. quale obbligato nei suoi confronti – in solido con la G. – a risarcirgli i danni causati in occasione della raccolta dell’uva (autorizzazione poi peraltro non utilizzata dall’istante).
 Con ordinanze depositate il 17.4.02 e il 10.10.02 il giudice disponeva la riunione delle due cause, poi ordinava l’acquisizione dell’altro a.t.p. espletato innanzi alla Sezione di Canosa, infine poneva al CTU già nominato gli opportuni quesiti.
Depositato l’elaborato peritale, e forniti dall’incaricato alcuni chiarimenti in ordine al contenuto della sua relazione, all’udienza del 29.6.04 le parti precisavano le rispettive conclusioni e la causa veniva riservata per la decisione, con termini per il deposito di scritti conclusivi.


MOTIVI DELLA DECISIONE


Va anzitutto esaminata la domanda, formulata dal S. in termini pressocchè identici in entrambi i giudizi riuniti, di risarcimento dei danni derivati al suo vigneto da una pretesa violazione, da parte della ditta G., dell’obbligazione di raccogliere l’uva acquistata entro il termine di fine agosto – inizio settembre.
 Tale domanda è infondata e va dunque rigettata.
 Invero, dall’esame del tenore letterale del contratto di compravendita sottoscritto dalle parti in data 14.8.97 si ricava, al di là di ogni ragionevole dubbio, che le parti non intesero fissare alcun termine finale per l’adempimento dell’obbligazione dell’acquirente di raccolta dei frutti pendenti, pattuendo invece espressamente che “la raccolta dei frutti avverrà a giudizio insindacabile del compratore che deciderà tempi e modalità di raccolta”, con ciò rimettendo evidentemente tale termine alla discrezionalità del solo debitore.
Stante ciò l’inadempimento della G. – non vincolata all’osservanza di alcun termine – sarebbe stato configurabile soltanto nel caso – nella specie non verificatosi – in cui un termine massimo di raccolta le fosse stato imposto giudizialmente su iniziativa del creditore ai sensi dell’art.1183 co.2 c.c. (Cass. 7876/90); in mancanza, risulta invece legittimo il comportamento dell’obbligata che – valendosi della facoltà concessale dalla clausola contrattuale – risulta avere eseguito la sua prestazione soltanto nel corso del mese di ottobre.
D’altra parte, anche a volere ricavare dagli usi vigenti in materia un termine massimo di adempimento dell’impegno di raccogliere l’uva acquistata, dovrebbe comunque concludersi che tale termine sia stato nell’occasione rispettato; e ciò in quanto il CTU dott. D. ha evidenziato, con argomentazioni logicamente coerenti e non contestate dalle parti, che il raccolto dell’uva della varietà “ciliegiuolo”, pur normalmente effettuato entro i primi giorni di settembre, è ben suscettibile di ritardi dovuti, tra l’altro, a ragioni commerciali, tali da indurre il proprietario a preferire di perdere parte del raccolto pur di spuntare un prezzo migliore per la parte residua.
Sotto un diverso profilo, poi, neppure può ritenersi che un termine finale per la raccolta dell’uva, non desumibile dall’accordo scritto tra le parti, sia stato pattuito dalle stesse verbalmente e coevamente alla stipula del contratto (come sostenuto in modo implicito da parte attrice).
Ed invero l’esistenza di un siffatto accordo verbale, costituendo senza dubbio un patto aggiunto o contrario al contenuto di un documento, non può essere validamente provata attraverso le testimonianze raccolte nel corso del giudizio, stante il divieto di cui all’art.2722 c.c., la cui violazione è stata ritualmente eccepita dalla difesa della G. nelle note istruttorie depositate il 4.5.98.
 Del resto, anche a ritenere ammissibile la prova per testi su tale circostanza, una valutazione degli esiti istruttori porta comunque a concludere che non sia stata raggiunta la rigorosa prova necessaria a sovvertire le risultanze documentali, giacchè le uniche deposizioni confermative dell’esistenza di un simile accordo verbale provengono da soggetti – i figli dell’attore – di assai relativa attendibilità per via dei rapporti personali con la parte, e comunque sono contraddette da altre risultanze istruttorie (cfr. in particolare dichiarazioni del teste S., che ha negato ogni accordo verbale sul momento della raccolta).
Inoltre l’effettiva conclusione di un accordo verbale volto a fissare in modo vincolante il momento della raccolta dell’uva trova smentita nelle anzidette pratiche commerciali, alla luce delle quali appare scarsamente plausibile che la G., commerciante di ortofrutta, abbia voluto fissare in anticipo il momento della raccolta, risultando maggiormente plausibile la volontà contrattuale di rimettere la scelta di tale momento alla valutazione discrezionale dell’impresa acquirente.
Una volta esclusa, per le ragioni sin qui enunciate, la configurabilità di un inadempimento contrattuale imputabile alla G., non resta che chiedersi, per completezza argomentativa, se la condotta dell’acquirente, pur rispettando il regolamento contrattuale, si sia posta in contrasto con i canoni di correttezza nell’esecuzione del contratto (art.1375 c.c.), i quali impongono a ciascuna parte di attivarsi per salvaguardare anche gli interessi della controparte non rientranti nella tutela obbligatoria o extracontrattuale, nei limiti in cui ciò non importi un apprezzabile sacrificio di propri interessi personali o economici.
Ebbene, in senso negativo risultano assorbenti i rilievi del CTU, il quale ha evidenziato – anche qui con argomentazioni pienamente condivisibili in quanto immuni da vizi logici – che la (legittima) scelta della G. di non raccogliere immediatamente l’uva già matura non ha cagionato danni al S., in quanto per un verso la caduta di mosto fermentato non ha prodotto alcun peggioramento della composizione chimica del terreno, per altro verso nel momento in cui fu ultimata la raccolta l’attore era ancora nelle condizioni di piantare utilmente ogni tipo di coltura autunnale ed invernale (rimanendo indimostrato che l’anticipazione di tali piantagioni di circa un mese avrebbe fatto conseguire all’attore maggiori utilità); fermo restando che non rientrava nei doveri di correttezza negoziale dell’acquirente sollevare la controparte dall’onere di irrigare il vigneto fino alla raccolta, trovando ciò fondamento in uno specifico interesse della G. alla conservazione del prodotto, consacrato nell’obbligo contrattuale del S. di innaffiare “fino alla data del taglio…quanto basta”.
A quanto si qui detto consegue che, non essendo configurabile nella specie un inadempimento contrattuale o comunque una violazione dei doveri di buona fede oggettiva da parte della G., la domanda di risarcimento dei danni da ritardata raccolta, avanzata dal S. in entrambi i giudizi, va senz’altro rigettata in quanto infondata.
 Passando ora ad esaminare, nell’ordine suggerito dai rapporti logici tra le varie domande – la pretesa risarcitoria avanzata in via di riassunzione da G. R., va anzitutto disattesa la censura di inammissibilità sollevata dal convenuto S. sul presupposto della mancata notificazione nei suoi confronti della copia integrale della sentenza dichiarativa della litispendenza.
 In proposito, è sufficiente osservare che le modalità di riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente sono regolate, per quanto qui interessa, dall’art.125 disp. att. c.p.c., disposizione che al n.6 si limita a prescrivere l’indicazione del provvedimento giudiziale in base al quale è fatta la riassunzione, senza imporre addirittura la notificazione della copia dello stesso.
 Nel merito, si osserva che la domanda risarcitoria della G. (pure volta a far valere una responsabilità di tipo contrattuale, derivante dall’avere il S. violato l’obbligo di innaffiare “quanto basta” l’uva fino alla raccolta, così determinandone la parziale disidratazione e la riduzione del suo valore commerciale) è fondata e va dunque accolta per quanto di ragione.
Anzitutto deve ritenersi dimostrata la circostanza che il S., presumibilmente nel tentativo di risparmiare acqua da destinare ad altri prodotti agricoli, abbia omesso, in violazione dei suoi impegni contrattuali, di innaffiare con la dovuta intensità e frequenza l’uva venduta alla G., causandone la disidratazione.
Infatti, premesso che nei contratti a prestazioni corrispettive spetta al debitore sconfessare le doglianze del creditore dimostrando di avere diligentemente adempiuto le proprie obbligazioni (cfr. SS.UU. 13533/01), l’effettuazione di sufficienti interventi di irrigazione non solo non trova adeguata conferma negli esiti dell’istruttoria orale (nel corso della quale si è registrato un insuperabile contrasto di versioni tra i testi delle due parti), ma trova anche smentita nelle indagini tecniche espletate, giacchè il CTU dott. D., fondandosi sulla documentazione fotografica allegata all’a.t.p. del dott. L., ha ritenuto di confermare le conclusioni di quest’ultimo circa l’esistenza, alla data del 24-26.9.97, di una situazione di disidratazione dell’uva causata da insufficiente irrigazione.
Ciò detto, deve peraltro aggiungersi che, nel lasso di tempo in cui si è verificato il deperimento dell’uva, oltre alla serie causale cagionata dall’inadeguata inaffiatura dell’uva da parte del S., si è innescata anche altra autonoma serie causale, derivante dal (legittimo) ritardo nella raccolta dell’uva e produttiva a sua volta di un progressivo deperimento del prodotto per ultramaturazione.
Occorre pertanto approfondire i nessi tra le due serie causali, al fine di stabilire sino a che punto i danni riscontrati dal CTU siano imputabili alla condotta omissiva del S. e sino a che punto, invece, siano attribuibili a fattori esterni innescati dal ritardo nella raccolta.
A tal proposito, deve distinguersi tra due diversi periodi di tempo. 
Nel periodo di tempo culminato nel sopralluogo del CTU L. (24-26.9.97) risulta senz’altro provato un danno da mancata irrigazione imputabile al S., e ciò perché – come detto – il CTU D., sulla scorta della documentazione fotografica allegata all’a.t.p. del predetto tecnico (ed in parte rettificando le valutazioni da lui svolte in sede di a.t.p.), ha confermato l’esistenza di un danno attribuibile a disidratazione e pari al 30% della produzione.
Sul piano del quantum il dott. D. ha tuttavia aggiunto che, alla data del 24-26.9.97, il suddetto danno non si era ancora consolidato, in quanto un adeguato intervento di irrigazione avrebbe ancora potuto reidratare gli acini, con “notevole attenuazione” del calo di peso verificatosi; sicchè deve concludersi che a quella data il danno imputabile al S. riguardava soltanto la perdita di peso (da mancata innaffiatura) ormai irrecuperabile, mentre per la parte di peso ancora recuperabile nessun danno si era ancora definitivamente prodotto, tanto più che in caso di ritardata raccolta del prodotto la riduzione dell’irrigazione risulta -secondo il CTU – conforme alla buona pratica agronomica, ritardando l’insorgere di fisiopatie collegate all’ultramaturazione dell’uva (cfr. CTU p.4).
Nel secondo periodo sopra indicato invece (ossia dal 24-26.9.97 fino alla raccolta) gli ulteriori danni subiti dall’uva compravenduta (anche per mancata reidratazione) non sono eziologicamente riconducibili ad un inadempimento del S..
Infatti a partire dalla fine di settembre risultano essersi verificate piogge che rendevano comunque superflua l’innaffiatura del vigneto ed anzi erano idonee a determinare la reidratazione degli acini (v. prove testimoniali nonché il riferimento alla “persistente pioggia” fatto dallo stesso CTU L. nel corso dell’a.t.p.); sicchè gli ulteriori danni riscontrati dal CTU D. nel successivo accertamento del 6.10.97, lungi dal potere essere imputati al perdurare della condotta omissiva del S., non possono che attribuirsi in via esclusiva al progredire del processo di ultramaturazione dell’uva (tanto che nella relazione di a.t.p. il D. significativamente parla di acini “disidratati poiché hanno ormai raggiunto la fase di ultramaturazione”: cfr. pag. 4); processo innescato dal (pur legittimo) ritardo nella raccolta dell’uva e idoneo di per sé a cagionare i danni rilevati dal CTU D., interrompendo il nesso causale tra questi ultimi e la condotta del S. (cfr. ex plurimis Cass.2009/97).
Alla luce di quanto sin qui osservato, dunque, il S. deve essere chiamato a rispondere soltanto della perdita di peso rilevata nel sopralluogo del 24-26.9.97, e limitatamente alla percentuale di perdita ritenuta irrecuperabile, con esclusione quindi della perdita di peso recuperabile mediante reidratazione ma di fatto non recuperata per il sopravvenire di altri fattori di deterioramento dell’uva non a lui imputabili.
Un’esatta quantificazione dei danni sopra descritti risulta pressocchè impossibile, tanto che lo stesso CTU si è espresso in termini generici sul punto.
Si impone pertanto una valutazione di tipo equitativo, che abbia come riferimento la condivisibile quantificazione operata dal CTU con riferimento ai danni definitivi e non definitivi riscontrabili a metà settembre (€ 10mila al netto delle spese e tenuto conto della migliore qualità del mosto); danni ai quali vanno peraltro aggiunti quelli intervenuti da metà settembre sino al 24-26.9.97, e per converso va sottratta la cospicua percentuale di danni che a quest’ultima data era ancora recuperabile.
Alla luce dei suddetti parametri e criteri, si ritiene equo liquidare in favore della G. l’importo complessivo di € 2.500,00, già rivalutato all’attualità e comprensivo di ogni profilo di danno. Su tale importo vanno poi calcolati gli interessi corrispettivi dalla domanda sino alla decisione.
Ultimato l’esame delle contrapposte domande risarcitorie riguardanti la condotta delle parti in causa prima della raccolta dell’uva compravenduta, resta da valutare la domanda del S. di risarcimento dei danni da lui subiti, nel corso della raccolta, a causa della cattiva esecuzione di tale attività da parte degli incaricati.
In proposito va anzitutto rigettata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla G. sul presupposto che i danni sarebbero stati cagionati non dalla ditta G. ma da tale I. C..
Infatti non può dubitarsi che titolare passivo dell’obbligazione – da responsabilità contrattuale – dedotta in giudizio sia proprio la G. in quanto firmataria del contratto 14.8.97.
Né può utilmente replicarsi che quest’ultima ha dato allo I. l’incarico di eseguire le operazioni di raccolta produttive del danno giacchè, nei rapporti tra la G. e il S., lo I. ha la qualità di terzo, delle cui condotte la G. risponde ai sensi dell’art.1128 c.c. .
Nel merito, poi, anche tale domanda risarcitoria risulta meritevole di accoglimento per quanto di ragione.
Infatti l’effettiva verificazione delle voci di danno allegate dal S. (distorsione del paletto di accesso al tendone; parziale abbattimento dell’angolo periferico del tendone, estirpamento di ceppi, rottura di tubi per l’irrigazione, recisione del filo di ferro perimetrale, trinciatura dei tralci) trova sostanziale riscontro sia nelle dichiarazioni di alcuni testi (S. G., S. F., S., L.), sia nella mancata presentazione della convenuta a rendere l’interrogatorio formale (con gli effetti di cui all’art.232 c.p.c.), sia infine nelle indagini del CTU D., il quale nel corso del sopralluogo del 10.5.03 ha avuto modo di riscontrare l’esistenza di danni al tendone, ad un ceppo ed all’impianto idrico, mentre nel corso del precedente sopralluogo del 1997 aveva verificato – nella parte del vigneto (il 45% dell’estensione totale) già interessata dalla vendemmia – vistosi tagli a circa il 5% dei tralci.
Sul piano del quantum, con argomentazioni condivisibili (ulteriormente precisate in sede di chiarimenti) il CTU D. ha quantificato i danni riscontrati alle strutture in ragione di complessivi € 270,00. Circa poi i danni da trinciatura dei tralci, appare preferibile la stima (€ 833,00) dei danni operata dal CTU con riferimento all’intera estensione del fondo, essendo presumibile che le scorrette modalità di raccolta già adottate sul 45% del vigneto siano state adottate anche per la restante parte.
Si perviene così ad un importo complessivo di € 1.103,00, già sostanzialmente liquidato al suo valore attuale. Anche su tale importo vanno calcolati gli interessi legali dalla domanda sino alla decisione.
La domanda di risarcimento danni avanzata dalla G. ai sensi del’art.96 c.p.c. va rigettata per mancanza del presupposto della totale soccombenza della parte nei cui confronti è stata proposta.
Vanno infine dichiarate inammissibili, in quanto formulate per la prima volta in sede di replica e quindi sottratte al contraddittorio: la domanda della G. volta a far dichiarare la compensazione tra i due crediti risarcitori; la domanda del S. di risarcimento dei danni ex art.96 c.p.c.; e la querela di falso formulata da quest’ultimo (a prescindere dunque, per quest’ultima, da ogni verifica circa l’effettiva riconducibilità della pretesa – nei termini in cui è stata formulata – nell’ambito dell’istituto processuale invocato).
La reciproca soccombenza (unitamente ad altri giusti motivi evincibili dal complesso delle argomentazioni sopra svolte) giustifica l’integrale compensazione delle spese sostenute dalle parti nelle presenti cause riunite e nei due giudizi di a.t.p. ante causam. Vanno pure dichiarate compensate le spese delle tre CTU espletate nel corso dei predetti giudizi.


P.Q.M.


Il Giudice Unico del Tribunale di Trani, Sezione distaccata di Barletta, definitivamente pronunciando sulle domande proposte con citazione notificata il 30.10.97 (nella causa n.3976/97) e con comparsa depositata il 14.11.01 (nella causa n.13459/01) da S. D. nei confronti di G. R.; nonché sulle domande proposte con citazione in riassunzione notificata l’8.10.01 (causa n.13459/01) dalla G. nei confronti del S.; così provvede:
1) accoglie per quanto di ragione la domanda di S. D. di risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale e, per l’effetto, condanna G. R. a pagare in suo favore l’importo già rivalutato di complessivi € 1.103,00, oltre interessi legali dalla domanda sino alla decisione;
2) accoglie per quanto di ragione la domanda di G. R. di risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale e, per l’effetto, condanna S. D. a pagare in suo favore un importo equitativamente determinato in € 2.500,00 già comprensivi di rivalutazione, oltre interessi legali dalla domanda sino alla decisione;
3) rigetta la domanda della G. di risarcimento danni ex art.96 c.p.c.;
4) dichiara inammissibile la domanda del S. di risarcimento danni ex art.96 c.p.c.;
5) dichiara inammissibile la domanda della G. di compensazione tra le due obbligazioni risarcitorie;
6) dichiara inammissibile la querela di falso proposta dal S.;
7) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese delle due cause riunite, dei due accertamenti tecnici preventivi e delle tre CTU espletate nell’ambito dei predetti giudizi.
Così deciso in Barletta il 29.1.05.


             Il Giudice
          Dott. Riccardo Leonetti