REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI TRANI
SEZIONE DI ANDRIA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


in persona del  dott. Francesco M. Rizzi, alla udienza del 28 gennaio 2005 ha pronunziato la presente sentenza nella causa civile n.10207/04 R.G. A. C. tra le seguenti parti:


– F. IMMOBILIARE S.r.l., elettivamente domiciliata nella via R.M. di Andria presso lo studio dell’avv. G.T. che con l’avv. S. N., congiuntamente e disgiuntamente, la rappresenta e difende giusta procura conferita a margine dell’atto di citazione per convalida di sfratto, Attrice nonchè convenuta in riconvenzionale


– R. S.r.l. elettivamente domiciliata nella via D.R. di Trani presso lo studio dell’avv. G. C. che la rappresenta e difende giusta procura conferita a margine della comparsa di costituzione e risposta, Convenuta nonchè attrice in riconvenzionale


Oggetto: convalida di sfratto per morosità e risoluzione del contratto di per inadempimento a seguito di opposizione, con condanna al rilascio.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con atto notificato in data 6/5/2004, la F. Immobiliare S.r.l. rappresentava di avere concesso in locazione alla R. S.r.l. – siffatta natura giuridica dovendo essere riconosciuta all’allegata scrittura solo formalmente denominata «contratto di affitto d’azienda» – un immobile con destinazione non abitativa ricadente nella più ampia struttura commerciale denominata “M.”, lamentando l’inadempimento da parte della conduttrice dell’obbligo di pagamento dei canoni in ragione di complessivi € 97.501,59 (€ 13.928,80 x n.7 mensilità). Sulla scorta delle esposte allegazioni, evocava in giudizio la detta R. S.r.l. allo scopo di sentir convalidare sfratto per morosità contestualmente intimato e disporre la immediata restituzione dell’immobile. Costituitasi con comparsa ritualmente depositata, la società intimata si opponeva alla richiesta di convalida, eccependo l’inammissibilità della domanda proposta ai sensi dell’art.658 c.p.c. in ragione della natura non locativa del rapporto intercorrente con la Immobiliare F. e, comunque, contestando la congruità della misura del canone risultante dal contratto. Disattesa l’istanza di emissione dell’ordinanza di provvisorio rilascio e contestualmente disposto il mutamento di rito, le parti provvedevano al tempestivo deposito delle memorie di cui all’art.426 c.p.c. In particolare, a fronte della riproposizione da parte della società intimante delle argomentazioni enunciate nella citazione introduttiva, la R. S.r.l spiegava domanda riconvenzionale non soltanto in funzione della rideterminazione e/o riduzione del canone ex art.1578 c.c. per le ragioni già esposte a sostegno della eccezione di incongruità del medesimo, ma altresì ai fini della condanna della Immobiliare F. sia al risarcimento del danno originato dall’avere quest’ultima mendacemente garantito l’elevata redditività di un’attività d’impresa rivelatasi invece antieconomica sia alla rifusione del costo delle migliorie realizzate a beneficio dell’immobile. Approdata alla odierna udienza di discussione, in assenza di attività istruttoria, la causa è stata definita mediante lettura dell’accluso dispositivo.


MOTIVI DELLA DECISIONE


Il criterio di distinzione tra la fattispecie della locazione immobiliare con pertinenze e quella dell’affitto d’azienda è rappresentato da ciò che “nella prima ipotesi, l’immobile concesso in godimento viene considerato specificamente, nell’economia del contratto, come l’oggetto principale della stipulazione, secondo la sua consistenza effettiva e con funzione prevalente ed assorbente rispetto agli altri elementi, i quali (siano essi legati materialmente o meno all’immobile) assumono carattere di accessorietà e rimangono collegati all’immobile funzionalmente, in posizione di subordinazione e di coordinazione” laddove “nell’affitto di azienda…l’immobile non viene considerato nelle sua individualità giuridica, ma come uno degli elementi costitutivi del complesso di beni mobili ed immobili, legati tra di loro da un vincolo di interdipendenza e complementarietà per il conseguimento di un determinato fine produttivo, sicché l’oggetto del contratto è costituito dall’anzidetto complesso unitario” (Cass. 4 febbraio 2000, n.1243, in motivazione).


Osserva pertanto il Supremo Collegio che, mentre è da escludere che “il giudice di merito.. è vincolato dal nomen juris che le parti hanno dato al contratto stesso o da una loro dichiarazione che escluda espressamente l’inquadramento del contratto in una determinata fattispecie (Cass. n.3592-1977)” l’indagine tendente all’individuazione in concreto dell’una o dell’altra ipotesi “deve essere rivolta ad accertare la comune intenzione delle parti, e… deve riguardare l’effettiva consistenza dei beni dedotti in contratto (sent. n.5488-1986; n.8388-1995)”, atteso che soltanto in presenza di una pluralità di beni tra loro posti in “collegamento funzionale e paritetico sì da costituire un complesso unitario organizzato per l’esercizio dell’attività imprenditoriale nel quale l’immobile rappresenti semplicemente uno dei cespiti in rapporto di complementarità e di interdipendenza con gli altri” – possa ravvisarsi il presupposto di configurabilità di un’azienda giuridicamente suscettibile di affitto (così ancora, in motivazione, Cass. 4 febbraio 2000, n.1243 cit.).


La stessa giurisprudenza di legittimità non trascura di rimarcare la rilevanza che, ai fini dell’accertamento dell’esistenza del suddetto “complesso unitario organizzato per l’esercizio dell’attività imprenditoriale”, assume l’inventario dei beni normalmente accluso al contratto ed ivi richiamato, considerando come proprio la relativa predisposizione ad opera delle parti ne sottintenda la volontà di dar vita alla fattispecie dell’affitto d’azienda (v., al riguardo, in motivazione: Cass. 15 ottobre 2002, n.14647, confermativa della decisione della Corte d’Appello la quale aveva ritenuto che “tutti i beni oggetto del contratto fossero «finalizzati e coordinati tra loro per il raggiungimento di un determinato scopo produttivo», desumendo tale convincimento…anche dall’esame dei beni indicati nell’inventario contestualmente redatto, «tutti finalizzati ad assicurare la funzionalità e produttività del complesso aziendale»…”; Cass. 28 marzo 2003, n.4700, confermativa della pronunzia del Tribunale il quale aveva osservato che “oggetto del contratto, insieme all’immobile, sono anche tutta l’attrezzatura, il macchinario e gli accessori indicati analiticamente nell’inventario allegato onde è assolutamente evidente, nel programma contrattuale predisposto dalle parti, che l’immobile in questione non è stato considerato nella sua individualità, ma come parte dell’azienda nel suo complesso” e come la carenza del medesimo – determinata dalla oggettiva inesistenza di beni strumentali da destinare all’esercizio dell’impresa ne riveli, per converso, il comune intento meramente locativo (v. al riguardo Cass. 27 giugno 2002, n.9354, in motivazione).


Ebbene, la disamina del testo contrattuale redatto dalle parti consente di evincere che, a prescindere dalla formale e non risolutiva qualificazione del rapporto in termini di «affitto d’azienda», le stesse intesero identificarne il sostanziale oggetto nella sola unità immobiliare attualmente pretesa in restituzione dalla Immobiliare F.; consente di evincere, cioè, che nell’omessa previsione di quel “complesso unitario” di cespiti funzionalmente organizzato “per l’esercizio dell’attività imprenditoriale” e costituente, per ciò stesso, necessario presupposto di configurabilità di un’azienda – il diritto di godimento attribuito alla R. S.r.l. riguardò la suddetta unità immobiliare nella sua esclusività e non comprese alcun altro bene suscettibile di effettiva destinazione imprenditoriale: tale è il significato inequivocabilmente desumibile dalla stessa determinazione pattizia dell’oggetto della concessione («un locale di circa mq. 752 lordi oltre a circa mq. 100 esterni… completo di pavimento in massetto, cavo in attesa per l’alimentazione del quadro utente…proveniente dal contatore Enel, arrivo fluidi caldi e freddi, predisposizione cavo TV, impianto sprinkler, serranda…attrezzature come da inventario che verrà redatto al momento della consegna dell’azienda corredata da idonea autorizzazione comunale necessaria per l’esercizio dell’attività indicata là dove «pavimento in massetto, cavo in attesa per l’alimentazione del quadro utente…proveniente dal contatore Enel, arrivo fluidi caldi e freddi, predisposizione cavo TV; impianto sprinkler e «serranda» rappresentano elementi meramente accessori all’immobile – e ciò può ritenersi definitivamente acclarato dalla mancata acquisizione dell’«inventario» – pur menzionato nell’accordo e la cui produzione avrebbe costituito incombenza del tutto agevole per la R. S.r.l. – evidentemente indotta dall’omessa predisposizione originaria del medesimo per carenza di beni destinabili all’esercizio dell’impresa.


Appare, pertanto, condivisibile la qualificazione attorea del rapporto in termini di locazione nonché, di conseguenza, ammissibile la domanda di risoluzione e rilascio proposta attraverso la iniziale citazione per convalida di sfratto ex art.658 c.p.c.. Rileva peraltro il Giudicante come la morosità prospettata in citazione con riferimento al mancato pagamento dei canoni «alla data dell’8.04.04…per complessivi € 97.501,59 (pari a € 13-928,80 – n.7 mensilità)» – prospettata, dunque, quale radicale ed assoluto inadempimento della correlativa obbligazione – non abbia costituito oggetto di effettiva contestazione da parte opponente; la quale, lungi dall’avere eccepito la corresponsione, foss’anche di un limitato importo della maggior somma dovuta ovvero l’esistenza di obiettive ragioni impeditive di un supposto intento solutorio, ha dedotto semplicemente l’incongruità originaria del canone stabilito in contratto («in merito al canone si contesta in questa sede l’ammontare, in considerazione che fu convenuto nella misura indicata sul presupposto dell’avviamento commerciale e dell’affluenza che il centro commerciale avrebbe sviluppato, Invero, tali presupposti si sono dimostrati in seguito profondamente diversi e di gran lunga inferiori di quelli assicurati dal locatore (anche a causa della successiva apertura di identico centro commerciale nella vicina città di Barletta: così a pag.4 della comparsa di costituzione e risposta), introducendo attraverso la successiva memoria ex art.426 c.p.c. formale domanda riconvenzionale di rideterminazione o «riduzione del canone ai sensi dell’art. 1578 c.c.» («…anche in virtù del fatto che un canone di locazione per immobili commerciali pari a quello in contratto è del tutto fuori da ogni logica di mercato per la zona periferica ove l’immobile è ubicato») nonché di condanna dell’intimante sia al «risarcimento del danno» (per avere indotto in errore di valutazione essa resistente che, a causa del proprio investimento ha condotto l’azienda in condizioni ben diverse da quelle prospettate accumulando gravi perdite, oltre il consistente investimento iniziale, così per complessivi € 1.200.000,00») sia alla rifusione delle consistenti migliorie e necessarie modifiche apportate all’azienda il cui costo, pari ad € 800.000,00 è stato sostenuto in via esclusiva ed anticipativa da essa R. S.r.l. al solo scopo di rendere più funzionale e fruibile l’azienda> ed infine articolando in proposito vari capitoli di prova testimoniale. Nel sottintendere – come detto – l’inequivoco riconoscimento dell’omessa radicale corresponsione dei canoni indicati in citazione nonché di quelli maturatisi a tutt’oggi, l’impianto difensivo della R. S.r.l. appare per ciò stesso inidoneo a neutralizzare gli estremi della morosità quale fatto giustificativo dell’azionata pretesa di rilascio dell’immobile.


Non può non rilevarsi, in primo luogo, l’inammissibilità della domanda riconvenzionale nel suo complesso, siccome spiegata per la prima volta attraverso la cennata memoria ex art.426 c.p.c. perseguente finalità di mera “integrazione degli atti introduttivi ” una volta che – per effetto dell’ordinanza di mutamento della forma procedimentale – il medesimo giudizio promosso con l’ordinaria citazione per convalida “prosegue” nelle forme del rito speciale (così l’art.667 c.p.c.). Merita, pertanto, ampia condivisione l’opzione interpretativa (conf., nella giurisprudenza di merito, Trib. Bari 16 giugno 2004, Trib. Monza 19 marzo 2003, Trib. Palermo 27 novembre 2002 e Trib. Foggia 22 aprile 2002) tendente a precludere in detta fase processuale la proponibilità di domande nuove “a pena di inammissibilità rilevabile anche d’ufficio” e “non sanata neppure dall’accettazione del contraddittorio sul punto” (Cass. 27 maggio 2003, n.8411, la quale motiva nei termini seguenti: “nell’ordinamento previgente alla riforma del 1990, era affermazione ricorrente in giurisprudenza che l’opposizione dell’intimato, ai sensi dell’art.665 c.p.c., determinava la conclusione del procedimento di convalida, a carattere sommario, e l’instaurazione di un nuovo e autonomo processo con rito e cognizione ordinari).


L’art. 667 c.p.c., nel regolare i problemi di competenza che sorgevano dal coordinamento fra la procedura speciale, di competenza per materia del pretore, e il giudizio ordinario di cognizione scaturito dall’opposizione dell’intimato, prevedeva che, dopo la pronuncia (o il diniego) dei provvedimenti previsti nei due articoli precedenti (ordinanza non impugnabile di rilascio ovvero condanna al pagamento dei canoni non controversi), il giudizio proseguiva davanti al pretore, per la decisione di merito, soltanto se la causa era di sua competenza, dovendosi, nel caso contrario, rimettere le parti innanzi al giudice competente per valore. In questo sistema era normalmente ammesso che le parti potessero, dal momento dell’opposizione, che segnava il nascere di un novum judicium, esercitare tutte le facoltà connesse alle rispettive posizioni, e segnatamente che potesse il locatore porre a fondamento della pretesa di rilascio dell’immobile una causa petendi diversa da quella assunta nell’atto di intimazione (Cass. 18 giugno 1993 n.6806; 11 giugno 1983 n.4023; 13 gennaio 1981 n.282), e persino introdurre una domanda nuova (Cass. 5 luglio 1984 n.3930; 23 ottobre 1979 n.5541; 19 luglio 1979 n.4282; 2 aprile 1975 n.1186). Diverse conclusioni s’impongono dopo l’attribuzione al pretore, dal 30 aprile 1995, della competenza per materia nelle cause di locazione (e di comodato) di immobili urbani (art. 8, 2 comma n.3, c.p.c.) e l’introduzione, dalla stessa data, in dette cause, del rito speciale del lavoro (art.447 bis c.p.c.).


In questo nuovo regime processuale, per il combinato disposto degli artt. 667 e 426 c.p.c., pronunciati (o naturalmente denegati) … i provvedimenti previsti dagli artt. 665 e 666, già ricordati, il giudizio «prosegue nelle forme del rito speciale», previa ordinanza di mutamento del rito, con la quale ultima le parti sono facultate all’integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria. Ciò significa che l’opposizione dell’intimato non coincide più adesso con l’instaurazione di un nuovo e autonomo giudizio di cognizione, ma produce soltanto un mutamento nella struttura del procedimento, che continua a svolgersi, necessariamente davanti al medesimo pretore, non ponendosi più questioni di competenza per valore, in una nuova fase, quella di merito (che si concluderà con la pronuncia di accoglimento o rigetto della domanda di condanna del conduttore al rilascio dell’immobile locato); ovvero, in altri termini, che «prosegue», con cognizione ordinaria ma con rito speciale, quell’unico procedimento, iniziatosi con l’esercizio, da parte del locatore, di un’azione di condanna nella forma speciale della citazione per convalida. A partire dunque dall’emissione dell’ordinanza di mutamento del rito, scattano le preclusioni tipiche del processo del lavoro, anzitutto il divieto di proporre nuove domande nel corso del giudizio di primo grado, che, essendo funzionale ad esigenze di accelerazione del procedimento (artt.414 e 416 c.p.c.), esorbita dalla tutela del privato interesse delle parti, sicché la tardività della nuova domanda non può essere sanata nemmeno dall’accettazione del contraddittorio sulla medesima ad opera della controparte ed è rilevabile anche d’ufficio dal giudice, persino in sede di appello, ove non rilevata, per qualsiasi motivo, dal giudice di primo grado, col solo limite del giudicato formatosi in proposito (Cass. 6 luglio 1991 n.7512; 22 dicembre 1988 n.7007; 15 luglio 1987 n.6195; 12 novembre 1985 n.5546).


È consentita soltanto la modificazione della domanda (emendatio libelli), previa peraltro l’autorizzazione del giudice, giustificata da gravi motivi (art.420, 1 comma, c.p.c.). È peraltro jus receptum che le memorie integrative previste dall’art. 426 c, p. c., destinate soltanto a consentire alle parti di mettersi in regola con le prescrizioni introdotte dal nuovo processo del lavoro, non possono contenere domande nuove (Cass. 23 aprile 1997 n.3540; 19 aprile 1993 n.4573; 16 maggio 1990 n.4239; 7 novembre 1987 n. 8256). Ne può ritenersi che le medesime allegazioni fattuali caratterizzanti il complesso di domande inammissibilmente proposto dalla opponente valgano a paralizzare l’avversa pretesa della F. Immobiliare nei residuali termini della c.d. eccezione riconvenzionale. Invero, è sufficiente osservare – a proposito della dedotta eccessività del corrispettivo pecuniario risultante dal contratto – che, in materia di locazioni cc. dd. commerciali, la relativa misura è rimessa alla libera determinazione delle parti senza che rilevi, pertanto, il raffronto con i canoni locativi praticati nella medesima zona con riferimento ad immobili aventi analoghe caratteristiche; donde la manifesta inconcludenza del capitolo di prova articolato sub par. 5) della summenzionata memoria integrativa. Inconferente appare, peraltro, il riferimento operato in proposito alla disposizione dell’art.1578 c.c., giacchè “costituiscono vizi della cosa locata, agli effetti dell’art.1578 c.c…. quelli che incidono sulla struttura materiale della cosa, alterandone l’integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, anche se sono eliminabili e si manifestano successivamente alla conclusione del contratto di locazione” (Cass. 18 aprile 2001, n.5682, secondo la quale “è da escludere che possano essere ricompresi tra i vizi della cosa locata quei guasti o deterioramenti della stessa dovuti alla naturale usura, effetto del tempo, ovvero di accadimenti accidentali – nella specie, rottura di un tubo del vaso di espansione dell’impianto di riscaldamento posto nel sovrastante sottotetto, che aveva determinato un’infiltrazione); vizi strutturali dei quali la R. S.r.l. non ha giammai prospettato l’esistenza ed il cui eventuale riscontro non avrebbe comunque potuto giustificare l’inadempimento – neppure parziale – dell’obbligazione di pagamento del canone (v. Cass. 3 dicembre 2002, n.17161 nonché Cass. 16 luglio 2002, n.10721, secondo la quale “in tema di locazione di immobili urbani per uso diverso da quello abitativo, la cosiddetta autoriduzione del canone (e, cioè, il pagamento di questo in misura inferiore a quella convenzionalmente stabilita) costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore che provoca il venir meno dell’equilibrio sinallagmatico del negozio, anche nell’ipotesi in cui detta autoriduzione sia stata effettuata dal conduttore in riferimento al canone dovuto a norma dell’art.1578, comma 1, c.c., per ripristinare l’equilibrio del contratto, turbato dall’inadempimento del locatore e consistente nei vizi della cosa locata”.


Inoltre, riguardo alla dedotta circostanza che il canone fosse stato determinato nella misura indicata in contratto «sul presupposto dell’avviamento commerciale e dell’affluenza che il centro commerciale avrebbe sviluppato» la società opponente ha articolato capitoli di prova testimoniale corrispondenti ai par. 1), 2) e 3) della memoria integrativa più volte richiamata tendenti a dimostrare che in sede di stipulazione del contratto intercorsero tra le parti ulteriori manifestazioni negoziali – per ciò stesso non integranti la figura della c.d. condizione implicita o presupposizione – tuttavia non trasfuse nel relativo testo scritto; capitoli di prova i quali appaiono manifestamente inammissibili in ragione non soltanto della indeterminatezza del loro tenore formulativo tale da implicare per di più non consentiti apprezzamenti personali («…una consistente affluenza…, «…tale comunque da consentire… notevoli introiti comunque sufficienti alla gestione dell’azienda», «…ha garantito un bacino di utenza che andava da Casamassima a Foggia…», «…ha registrato una sensibile diminuizione di clientela ed affluenza»), quanto soprattutto della violazione del divieto sancito dall’art.2722 c.c. (…è vero che la Immobiliare F. nel momento in cui ha sottoscritto il contratto con la R. S.r.l. ha garantito… >). È di immediata evidenza come, in siffatta prospettiva, l’ulteriore posizione di prova articolata sub par. 4) del medesimo scritto integrativo («.., vero che nella gestione dell’attiività la R. S.r.l. ha realizzato perdite pari a circa € 1.200.000,00») non rivesta ex se alcuna rilevanza, in quanto non correlabile ad un acclarato inadempimento della F. Immobiliare e costituendo invece espressione dell’ordinaria assunzione del rischio di impresa. Analoga irrilevanza rivela la circostanza capitolata sub par. 6) in funzione del riscontro di non meglio descritte «migliorie…apportate all’azienda», la cui eventuale dimostrazione – foss’anche attraverso l’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio – non avrebbe, comunque, potuto legittimare la R. S.r.l. ad opporre in compensazione alla propria morosità nel pagamento dei canoni mensili il credito monetario per la rifusione di tali «migliorie”. Deve osservarsi, infatti, che a norma dell’art.1592, I comma seconda parte, c.c. l’indennità eventualmente dovuta (“se …vi è stato il consenso del locatore”) per i miglioramenti apportati alla cosa locata è suscettibile di determinazione “al tempo della riconsegna” della medesima, essendo pertanto evidente come il corrispondente credito del conduttore si attualizzi solo in tale momento e non possa valere a compensare il (contro) credito del locatore riguardante i canoni maturatisi in costanza di rapporto e, dunque, già concretizzatosi alle date di scadenza di questi ultimi. In definitiva, la dizione normativa dell’art.1592 cit. riproduce il previgente disposto dell’art.15 L.11.02.1971 n.11 in materia di affitto di fondi rustici, con riferimento al quale la Suprema Corte aveva appunto affermato che “l’indennità per opere di miglioria eseguite dall’affittuario …. corrispondente all’aumento di valore conseguito dal fondo, può essere fatta valere … soltanto al momento della cessazione del rapporto stesso, dovendo il valore dei miglioramenti compensarsi con i deterioramenti verificatisi nel corso di esso, sicchè il relativo credito non può essere opposto in compensazione a fronte del credito per canoni di affitto del concedente nel corso del rapporto” (Cass. 21 luglio 1983, n.5026). Né può omettersi di rilevare – ad ulteriore definitiva conferma della inopponibilità, nella presente sede, di un eventuale credito siffatto da parte della R. S.r.l. – quanto contrattualmente stabilito in proposito dalle parti: « il pagamento del canone.. .1)non può essere sospeso né ritardato da pretese od eccezioni dall’affittuaria, qualunque ne sia il titolo, salvo ad essa il successivo e separato esercizio delle sue eventuali ragioni. Inoltre il mancato puntuale pagamento in tutto o in parte e per qualunque causa, anche di una sola rata del canone, costituisce l’affittuaria in mora, con, la conseguente risoluzione di diritto del contratto per grave inadempimento ex artt. 1455 e 1456 c.c. a danno e spese della stessa». Proprio tale ultima previsione contrattuale reca la predeterminazione della gravità dell’inadempimento nel quale risulta essere incorsa la, società opponente, la quale appare – comunque – inequivocabilmente desumibile dalla obiettiva consistenza pecuniaria del medesimo oltre che dalla relativa ininterrotta protrazione a tutt’oggi. La domanda della F. Immobiliare merita, pertanto, accoglimento sotto ogni profilo, conseguendo la condanna della soccombente convenuta anche al pagamento delle spese processuali.


P. Q. M.


Il Giudice del Tribunale in composizione monocratica, definitivamente pronunziando sulla domanda principale proposta, con atto di citazione notificato in data 6/5/2004, dalla F. Immobiliare S.r.l. nei confronti della R. S.r.l. nonché sulla riconvenzionale spiegata da quest’ultima con atto depositato in data 30/9/2004, dichiara la inammissibilità della medesima domanda riconvenzionale e, in accoglimento di quella principale, così provvede:


– dichiara la risoluzione, per inadempimento della R. S.r.l., del contratto stipulato con la F. Immobiliare S.r.l. relativamente all’immobile ubicato ad Andria nel Centro Commerciale denominato “M.” e registrato a Bari il 23/9/1999 al n.2300;


– condanna la R. S.r.l. alla restituzione dell’immobile suddetto in favore della Immobiliare F. S.r.l. fissando, quale termine di rilascio, la data del 30/3/2005;


– condanna la R. S.r.l. al pagamento delle spese processuali in favore della Immobiliare F. S.r.l. nella liquidata complessiva misura di € 4.370,20 (ivi compresi € 220,20 per borsuali, € 1.150,00 per diritti ed € 3.000,00 per onorario) oltre rimborso forfettario delle spese generali come da tariffa forense nonché oneri fiscali e previdenziali di legge.


Così deciso in Andria, addì 28 gennaio 2005.


Il Giudice
Dott. F.M. Rizzi