LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE


SEZIONE IV PENALE


composta dai signori magistrati:
dott. Giovanni D’Urso Presidente
dott. Benito Romano De Grazia Consigliere
dott. Francesco Marzano Consigliere
dott. Luisa Bianchi Consigliere
dott. Patrizia Piccialli Consigliere


riuniti in camera di consiglio,


ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso proposto da M. O. nato …omissis…, avverso l’ordinanza


della Corte d’appello di Palermo in data 13 novembre 2002; udita la


relazione fatta dal Consigliere dott. Patrizia Piccialli;


letta la requisitoria scritta del Procuratore generale, che ha


concluso per l’inammissibilità del ricorso.


Fatto – Diritto


L’avv. Stefano Pellegrino, nell’interesse di O. M., ricorre per cassazione avverso il provvedimento di cui in epigrafe, con il quale la Corte d’appello di Palermo, giudicando in sede opposizione su reclamo del Procuratore generale, in parziale riforma del decreto di liquidazione emesso dalla stessa Corte, aveva ridotto gli onorari per la difesa del M..
Secondo il giudicante, in particolare: 1) non competeva al difensore alcun compenso in ordine alla richiesta di liquidazione dei compensi ed al deposito della stessa, oltre che per esame e studio ai fini della presentazione della richiesta di liquidazione, sul rilievo che trattavasi di voci non previste dalle tariffe professionali; 2) per la partecipazione ad una udienza “di mero rinvio” doveva liquidarsi il compenso facendo applicazione del punto 2 della tariffa penale, anziché del punto 5.


Con il ricorso per cassazione si denuncia la nullità dell’ordinanza siccome in contrasto con l’art. 82 d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 in relazione a quanto previsto dalla tariffa professionale. Secondo il ricorrente, sotto il primo profilo, spetterebbe il compenso anche per l’esame, lo studio, la redazione e il deposito dell’istanza di liquidazione, trattandosi di attività comunque compiuta nell’interesse dell’assistito; sotto l’altro profilo, illegittimamente sarebbe stata considerata di “mero rinvio” un’udienza che tale era stata per motivi indipendenti dalla volontà del difensore.


Innanzitutto rileva il Collegio che va affrontato il punto relativo alla ammissibilità del ricorso, avendo il P.G. presso questa Corte concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.


Or bene, come è noto, una recente pronuncia delle Sezioni unite di questa Corte (sent. 28 maggio 2003, P.), che il Collegio condivide, risolvendo un contrasto di giurisprudenza, ha preso esplicita posizione nel senso della ricorribilità per cassazione per violazione di legge ex art. 111 Cost. dei provvedimenti emessi dal Tribunale o dalla corte d’appello in sede di opposizione avverso il decreto di liquidazione del compenso al difensore, sul rilievo che questi, pur non essendo formalmente qualificati come sentenze, hanno carattere decisorio e capacità di incidere in via definitiva su diritti soggettivi. La Corte, va aggiunto, per doverosa completezza, nell’ammettere la possibilità del ricorso, ha anche delimitato l’ambito di quanto deducibile davanti al giudice di legittimità: i suindicati provvedimenti sono ricorribili per cassazione solo per violazione di legge, ai sensi dell’art. 111 della Costituzione, ma dovendosi fare rientrare in tale vizio anche la mancanza o la mera apparenza della motivazione, atteso che in tal caso si prospetta la violazione della norma che impone l’obbligo della motivazione nei provvedimenti giurisdizionali (motivazione mancante o meramente apparente).


Venendo al caso di specie, ne deriva che il ricorso è ammissibile, ma non è fondato, giacché il provvedimento impugnato risulta basato su una esatta interpretazione della normativa di settore.


Infatti, nella parte in cui ha escluso la liquidabilità dei compensi afferenti la presentazione dell’istanza di liquidazione, la decisione gravata poggia su una corretta interpretazione dell’art. 82 D.P.R. n. 115/2002, laddove questo, per il computo della liquidazione, richiama la tariffa penale vigente (quella approvata con D.M. 5 ottobre 1994 n. 585). Or bene, dalla disciplina de qua non è rinvenibile alcuna indicazione, esplicita o implicita, che possa consentire di comprendere nei compensi liquidabili anche quelli afferenti le attività connesse alla presentazione dell’istanza di liquidazione, la quale non può rientrare, per la sua natura, tra le istanze ricomprese al punto 6 della tariffa, “che esauriscono l’attività” né, in mancanza di esplicita previsione, nella più generica attività di assistenza.


Infondata è anche l’altra censura, giacché la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione della suddetta disciplina, nella parte in cui questa statuisce i limiti del compenso allorché si verta in tema di udienze di mero rinvio. È noto in proposito che per la partecipazione del difensore ad udienze camerali o dibattimentali di discussione devono liquidarsi i compensi previsti dal numero 5 della tabella allegata alla tariffa penale approvata con D.M. 5 ottobre 1994 n. 585 (con la precisazione che l’onorario va corrisposto per ogni udienza di discussione, anche per quelle in cui la trattazione è svolta dal pubblico ministero o da difensori diversi); per la partecipazione alle udienze dove venga svolta solo attività istruttoria, devono liquidarsi i compensi di cui al precedente numero 4 della tabella, che riguarda tutte le attività difensive che si svolgono nella fase preprocessuale nonché tutte le attività istruttorie che si svolgono nella fase propriamente processuale; per la partecipazione alle udienze di mero rinvio, invece, l’attività defensionale va retribuita soltanto ai sensi del numero 2 della tabella, che prevede i compensi per esame e studio “prima della partecipazione ad ogni udienza in camera di consiglio o dibattimentale” (Cass., Sez. III, 29 novembre 2001, Proc. Rep. Trib. Catania in proc. B.; nonché, Sez. III, 13 marzo 2002, G.). Deve solo aggiungersi, per smentire la fondatezza della doglianza, che la circostanza che trattasi di udienza di mero rinvio (valutazione rimessa all’evidenza al giudice di merito) prescinde dal fatto che questa tale sia stata per cause indipendenti dalla volontà del difensore: ciò che rileva, infatti, è il fatto “oggettivo” dell’essersi trattato di udienza di tal genere. Né ciò si risolve in un pregiudizio per il difensore: infatti, l’attività di studio e di preparazione svolta dal difensore stesso, e non valutata appieno in sede di liquidazione nel caso di udienza del tipo di che trattasi, non potrà che essere considerata in sede di liquidazione delle udienze di trattazione successivamente svolte (cosa che nella specie risulta essere stato fatto).


Il ricorso va pertanto rigettato.


P.Q.M.


rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 2 marzo 2004.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IN DATA 20 MAG. 2004.