REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 IL TRIBUNALE DI TRANI
SEZIONE DI CANOSA di PUGLIA


In Persona del Giudice Unico, dott. Paolo Rizzi, ha pronunziato la presente


SENTENZA


 nella causa civile iscritta al numero 16146 del registro generale per gli affari contenziosi dell’anno 2001 posta in deliberazione all’udienza del 27 giugno 2003, con contestuale assegnazione dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica scaduto il 31 ottobre 2003 e vertente


TRA


G. M., titolare della N. S. M., , elett.te domiciliato in Canosa di Puglia, via “omissis”, presso lo studio dell’avv. V. P. che lo rappresenta e difende come da procura a margine dell’atto di citazione;attore


E


C. C. D. P., in persona del Sindaco pro-tempore, elett.te domiciliato in Canosa di Puglia, via “omissis”, presso lo studio dell’avv. S. P., che lo rappresenta e difende come da procura a margine della comparsa di costituzione e risposta; CONVENUTO


OGGETTO: risarcimento danni.


CONCLUSIONI
All’udienza del 27 giugno 2003 così i procuratori delle parti hanno precisato le rispettive conclusioni:
per l’attore: “chiede che la causa venga decisa”;
per il convenuto: “si riporta alle conclusioni rassegnate all’udienza del 12.3.03”.


SVOLGIMENTO  DEL  PROCESSO


Con citazione notificata il giorno 11 aprile 2001 G. M., titolare della N. S. M., ha convenuto in giudizio il C. di C. di P. esponendo che: con contratto n. (omissis) del (omissis) il convenuto affidava all’attore per quattro anni la gestione dei campi sportivi c. “S. S.” e “S. M.” alle condizioni fissate nel capitolato di appalto approvato con deliberazione della G.M. n. (omissis) del (omissis), successivamente modificato; poiché l’e. c. non provvedeva ad istruire e completare le pratiche amministrative finalizzate all’ottenimento della agibilità dello stadio S. S. e quelle necessarie alla piena fruibilità della struttura “M.”, asseritamente in corso di perfezionamento, l’istante chiedeva il risarcimento dei danni patiti nella misura di lire 300.000.000; a seguito di trattative, si addiveniva alla sottoscrizione di un nuovo contratto che prorogava la scadenza della concessione al 30 giugno 2006 e poneva a carico dell’attore la realizzazione di talune opere presso lo stadio “M.” e il M. rinunciava ad ogni pretesa connessa alla mancata agibilità degli impianti; pur essendo passati ulteriori quattro anni il C. C. non ha provveduto al conseguimento della promessa agibilità, cagionando con tale condotta rilevanti danni alla S. attrice.
Tutto ciò premesso ha concluso chiedendo “1) – accertare e dichiarare illegittimo il contegno contrattuale del C. C. 2) – Condannare il convenuto al risarcimento dei danni nella misura di L.300.000.000 ovvero di quell’altra non inferiore a L.80.000.000 pari all’utile minimo ipotizzato in sede precontrattuale di L.20.000.000 per ciascun anno di gestione, oltre interessi e rivalutazione monetaria. 3) – Condannare controparte al pagamento delle spese e competenze del giudizio”.
Si è costituito in giudizio il C. di C. , in persona del sindaco pro-tempore, contestando la domanda, in fatto ed in diritto e chiedendone, pertanto, il rigetto.
Ha evidenziato che l’attore era a conoscenza del fatto che gli impianti sportivi per cui è causa erano sprovvisti dell’agibilità e che al momento dell’aggiudicazione la pratica per l’ottenimento era in corso, tanto che l’ente pubblico stabilì con delibera di Giunta n. (omissis) del (omissis) che l’affidamento della gestione degli impianti avrebbe avuto decorrenza dalla data di ottenimento  della prescritta agibilità.
Ha dedotto che, ciò nonostante, la ditta aggiudicataria aveva chiesto di procedere alla stipula del contratto di concessione ed alla consegna delle strutture impegnandosi a non utilizzarle per alcun motivo fino all’ottenimento dell’agibilità, senza nulla pretendere dal Comune per il mancato impiego delle stesse e provvedendo al mantenimento degli impianti, ottenendo il consenso dell’ente.
Quindi, ha soggiunto che a seguito della richiesta attorea di risarcimento del danno per la mancata agibilità le parti hanno provveduto alla stipula di un nuovo contratto in cui si è dato atto del ritardo nelle agibilità per cause non imputabili al convenuto e si è pattuita una maggiore durata del rapporto contrattuale con rinunzia del M. a far valere i diritti derivanti dal parziale utilizzo dei campi sportivi e ai mancati incassi.
Inoltre ha evidenziato che la mancata agibilità per lo stadio S. S. è dovuta alla lievitazione dei costi dei lavori necessari, stimati in circa lire 1.000.000.000 a fronte di una previsione di spesa di lire 300.000.000 e per lo stadio S. M. è limitata ad una sola parte della gradinata.
Infine, ha eccepito l’infondatezza della domanda risarcitoria in quanto la somma di lire 80.000.000 è riferita a valutazioni precontrattuali irrilevanti e perché la manutenzione degli impianti spetta all’attore sul quale ricadono le conseguenze dannose delle relative omissioni.
Ha concluso chiedendo: “rigettare tutte le domande attrici, infondate in fatto e in diritto e condannare il M. a rifondere al C. C. le spese, i diritti e gli onorari di giudizio, con spese generali, CNAP ed IVA come per legge”.
La causa è stata istruita documentalmente e, quindi, omessa ogni altra attività istruttoria, all’udienza del 27 giugno 2003 è stata trattenuta in decisione sulle contrapposte conclusioni rassegnate dalle parti, con contestuale assegnazione dei termini di cui all’art.190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.


MOTIVI DELLA DECISIONE


La domanda è fondata e deve essere accolta per quanto di ragione.
Infatti, è pacifico ed incontestato che gli impianti sportivi attribuiti in gestione alla N. S. M. sono rimasti privi della necessaria agibilità, la cui pratica era stata definita dall’ente pubblico in “corso di perfezionamento”.
Tanto risulta inoltre comprovato dalla delibera di G.M. n. (omissis) del (omissis), che ha modificato la delibera di G.M. n. (omissis) del (omissis), nonché dal contratto di concessione n. (omissis) del (omissis) e da quello n. (omissis) del (omissis)
In particolare, l’assenza della detta agibilità era stata presa in considerazione dalle parti sotto un duplice profilo: per un verso, si era stabilito che la decorrenza dell’affidamento della gestione avrebbe avuto inizio con il conseguimento della agibilità (contratto del (omissis) cit.); per altro verso, il M., giusta art.6 del contratto n. (omissis) del (omissis), aveva rinunziato ai danni per il mancato parziale utilizzo dei campi sportivi sforniti di agibilità e, pur avendo conseguito la disponibilità materiale delle strutture, si era impegnato a non farne utilizzo fino all’ottenimento della agibilità stessa (cfr. contratto allegato al fascicolo di parte convenuta e delibera del commissario del C. C. P. n. (omissis) del (omissis)).
Dalla documentazione in atti emerge che l’attore, a conoscenza della pendenza dell’iter amministrativo finalizzato all’ottenimento della agognata agibilità, aveva sollecitato il Comune ad attivarsi, richiedendo contestualmente il risarcimento dei danni patiti a seguito dell’inutilizzabilità dello stadio “S. S.” e, sia pure in parte, del “S. M.”.
Pertanto, l’ente territoriale, a fronte della rinuncia del M. al risarcimento dei danni asseritamente subiti, aveva deciso di prolungare la durata del rapporto concessorio, autorizzando il concessionario alla esecuzione di talune opere.
Orbene, osserva il Tribunale che nel contesto menzionato la mancata attivazione per l’ottenimento della citata agibilità – risultante per tabulas – sostanzia la violazione, da parte del concedente, di uno specifico obbligo di condotta diligente orientata secondo il canone della buona fede nella esecuzione delle obbligazioni contrattualmente assunte.
Infatti, coerentemente con gli obblighi di salvaguardia discendenti dai principi di buona fede ex artt.1175, 1374 e 1375 c.c., ciascuna delle parti deve attivarsi in modo da preservare gli interessi dell’altra, pure a prescindere da specifici obblighi contrattuali, nei limiti in cui ciò non importi un apprezzabile sacrificio.
Secondo quanto affermato dalla prevalente dottrina e, oramai, dalla giurisprudenza – di merito e di legittimità – alla buona fede ed alla diligenza deve essere attribuita importanza primaria in sede di integrazione del rapporto, da cui sorge uno specifico obbligo giuridico il cui contenuto si specifica in relazione al regolamento contrattuale degli opposti interessi ed all’attuazione della complessiva operazione economica che le parti, per mezzo del contratto, intendono attuare (Cass. civ., sez. I, 22 maggio 1997, n.4598).
Nel senso precisato la buona fede opera sul piano oggettivo, quale regola o criterio di valutazione del comportamento delle parti anche nei contratti in cui è parte la Pubblica Amministrazione (Cass. civ., sez. I, 23 novembre 1992, n.12513) (1).
Osserva il Tribunale che nel caso di specie incombeva sulla P.A. convenuta uno specifico dovere di attivarsi in termini concreti ed efficaci al fine di perfezionare l’iter amministrativo diretto all’ottenimento della agibilità degli impianti sportivi attribuiti in gestione all’attore, incombendo pacificamente su di essa il relativo onere.
Ovvero, doveva diligentemente porre in essere un comportamento idoneo al raggiungimento di tale finalità.
Così facendo non avrebbe potuto essere chiamata a rispondere per il caso che, nonostante la propria condotta attenta e scrupolosa, il procedimento si fosse concluso con esito negativo.
Infatti, oggetto del contratto di concessione era la gestione di impianti destinati per loro naturale vocazione ad ospitare gare sportive ovvero altre manifestazioni che, notoriamente, si svolgono negli stadi (ad esempio i concerti), ciò che necessariamente presupponeva il rilascio della agibilità ovvero la realizzazione delle opere necessarie a tal fine.
In considerazione dello scopo del negozio in esame il C. C. si era contrattualmente obbligato a contribuire alle spese di manutenzione delle strutture che, per gli ulteriori oneri, gravavano interamente sul concessionario, il quale avrebbe dovuto fare propri gli utili di gestione (cfr. artt.4 e 6 del Capitolato, delibera G.M. n. (omissis) del (omissis), rettificata dalla delibera di G.M. n. (omissis) del (omissis)).
Pertanto, dall’esame del regolamento negoziale deve con certezza escludersi che il M. abbia inteso acquisire due beni da cui sarebbero derivati solo oneri (per altro intuibilmente gravosi), tanto che lo stesso nella prospettiva dell’imminente completamento della pratica di agibilità, ebbe a richiedere l’affidamento della custodia degli impianti e la stipula del contratto di concessione al fine di “provvedere alla regolare manutenzione degli impianti, per il grave deterioramento e consequenziali ulteriori costi a carico” dell’Amministrazione (cfr. delibera del Commissario Prefettizio n. (omissis) del (omissis)).
In tale complessivo contesto devono essere valutate le ulteriori pattuizioni negoziali trasfuse nell’art. 6 del contratto del (omissis), a cui fa riferimento la citata delibera del Commissario straordinario n. (omissis)
Infatti, la rinuncia del Masciulli “a tutti i danni vantati, derivati dal parziale utilizzo dei Campi Sportivi “S. S.” e “S. M.”, sforniti di agibilità, nonché “a tutti i mancati incassi che deriveranno dalla circostanza che i campi sportivi non sono dotati di agibilità e che, quindi, non potranno essere utilizzati” – con gli ulteriori corollari dell’impegno del concessionario a non utilizzare le strutture prima dell’agibilità e a mantenere fede agli impegni assunti anche “nel caso in cui l’agibilità non fosse rilasciata, o lo fosse parzialmente, per l’intera durata del contratto” – è  ragionevolmente da correlarsi alla circostanza del ritardato o mancato rilascio dell’agibilità per cause non riferibili all’amministrazione che avrebbe dovuto comunque curare l’iter e cercare di condurlo al suo esito positivo.
La stessa clausola in esame non può, invece, essere interpretata nel senso indicato dal C. convenuto, come rinuncia incondizionata ad ogni pretesa risarcitoria del titolare della N. S., indipendentemente dalla valutazione della corretta condotta della P.A.
Ad opinare diversamente, infatti, emergerebbe una assetto sostanziale degli interessi sottostanti alla stipula del contratto certamente incoerente rispetto alla finalità assegnata dai contraenti al negozio, che era nitidamente quella di sgravare almeno in parte il C. delle spese di gestione degli impianti sportivi, affidata ad un soggetto privato il quale, a titolo di corrispettivo avrebbe trattenuto per sé gli utili di gestione, contribuendo anche all’assolvimento di una finalità di interesse generale (tanto si desume dalle premesse delle deliberazioni di G. M. con cui è stata decisa la gara per l’assegnazione della gestione degli stadi comunali).
L’evidenziata finalità, comune alle parti, ha poi condotto alla effettiva stipula del contratto di concessione – pur mancando l’agibilità – che ha consentito al privato attore di affrontare da subito le spese di manutenzione delle strutture nella prospettiva di un impiego prossimo delle stesse ed al Comune di evitare ulteriori costi (cfr. delibera del Commissario Prefettizio n. (omissis), richiamata).
Quindi, tale essendo l’assetto di interessi regolato dal contratto, del tutto irragionevole e contraria ai doveri di salvaguardia derivanti dal principio di buona fede è da intendersi il comportamento della P.A. che non ha provveduto a coltivare le pratiche di agibilità lasciando al M. due immobili del tutto inidonei alla produzione di alcuna utilità.
Alla medesima conclusione si perviene pure sulla scorta della giustificazione addotta dal C. secondo cui la realizzazione delle opere necessarie per il conseguimento dell’agibilità avrebbe reso il contratto “ai limiti della economicità”.
Infatti, l’esposta circostanza, per un verso, è del tutto priva di adeguati riscontri probatori, e, per altro verso, avrebbe dovuto indurre il C. a rivalutare l’intero rapporto con il M. risistemando l’assetto negoziale degli interessi in modo tale da consentire anche a costui di conseguire una utilità economica.
In ogni caso non risulta idonea a giustificare l’inerzia dell’ente pubblico che, comunque, avrebbe dovuto adoperarsi per rendere agibile gli impianti ovvero porre nel nulla il contratto di concessione.
Infatti, il rifiuto di eseguire le opere in oggetto, lungi dal costituire il frutto di una valutazione discrezionale autorizzata dal contratto concessorio, ha inciso sull’oggetto dello stesso determinandone il venir meno, giacché ben può affermarsi che lo stadio privo dell’agibilità non può venire in considerazione in quanto tale.
L’asserita antieconomicità della esecuzione degli interventi de quo, inoltre, non trova alcuna valida giustificazione ex se poiché il convenuto non  ha chiarito se ed in che misura i costi relativi sono lievitati rispetto alle previsioni iniziali (ciò che potrebbe anche essere in frutto dell’applicazione di criteri di cattiva amministrazione, giacché è noto che trascurare le opere edili ne provoca il deterioramento e rende più gravoso i costi di ripristino) e se non potevano essere comunque recuperati attraverso una razionale e lucida politica di sfruttamento economico delle opere.
Non può, poi, sottacersi che certamente è maggiormente dannosa per il patrimonio collettivo la sussistenza di un opera pubblica inutilizzabile piuttosto che l’effettuazione di un investimento economico, pur significativo, che conduca alla utilizzazione del bene con positive ricadute per la collettività.
Il comportamento descritto, in quanto cosciente e volontario, si è tramutato in un ostacolo al soddisfacimento del diritto del concessionario e, ripercuotendosi negativamente sul risultato finale avuto di mira dal regolamento contrattuale, ha integrato una sicura violazione dell’obbligo di buona fede (2) che, in quanto tale, dà luogo a responsabilità contrattuale governata dai principi di cui all’art.1218 c.c., ed obbliga il danneggiante a risarcire i danni cagionati all’altro contraente (3).
Conseguentemente, incombeva sul convenuto l’onere di dimostrare positivamente che l’inadempimento è dipeso da fatto ad esso non imputabile, mentre nessuna prova è stata articolata nel caso di specie.
Ad esonerare l’ente pubblico dall’obbligo risarcitorio non soccorre la rinuncia contrattuale ad ogni risarcimento da mancato rilascio dell’agibilità di cui all’art.6 del richiamato contratto n. (omissis).
Come già evidenziato, infatti, la clausola in oggetto deve essere interpretata nel senso di esonerare la P.A. dal risarcimento del danno derivante all’attore dal mancato rilascio dell’agibilità da parte degli organi competenti sempre che la stessa abbia posto in essere una condotta idonea al conseguimento della finalità  prefissata ovvero che il mancato rilascio sia dipeso da fatto non imputabile al soggetto pubblico o avrebbe comportato un inaccettabile sacrificio economico, pure in considerazione dell’interesse della controparte negoziale.
Non può, invece, estendersi alla mera inerzia di chi, colpevolmente, omette del tutto di portare avanti l’iter amministrativo e rifiuta l’esecuzione di quanto necessario al suo completamento, senza adeguatamente offrire alcun elemento giustificativo.
Tale condotta ha esposto il M. ad un complesso di rilevanti oneri economici e responsabilità, discendenti dalla esecuzione dei lavori di manutenzione ordinaria degli impianti, cui non corrispondeva neppure una aspettativa concreta ed attuale di ricevere l’utile sperato e che, ragionevolmente, avrebbe potuto attendersi (a tale utile si fa riferimento pure nei contratti di concessione).
Un correttivo non può neppure essere apportato dalla pattuita efficacia del rapporto concessorio a far data dal rilascio della agibilità, in quanto, secondo quanto riferito dal convenuto, non vi è allo stato neppure la possibilità futura del conseguimento della agibilità stessa, ostandovi la valutazione di antieconomicità opposta dall’ente pubblico.
Pertanto l’attore avrebbe dovuto manutenere gli impianti fino al 2006, data di scadenza della concessione senza speranza di conseguire utili con una perdita economica “secca” di tutta evidenza.
Orbene, circa la quantificazione dell’importo dovuto a M. a titolo risarcitorio occorre tenere presente che il contratto è stato stipulato nel 1996 e che in tale anno gli sono stati consegnati gli impianti.
Pertanto, apprezzato il comportamento inerte della P.A. nonché l’esposizione a rilevati disagi del concessionario a causa di tale inerzia in cui si è sostanziata la violazione dei doveri di diligenza e più generalmente di buona fede del contraente pubblico, ritiene il Tribunale equo liquidare l’importo di € 50.000,00.
Detta somma tiene conto dei costi approssimativi di manutenzione degli impianti (a cui il C. avrebbe dovuto partecipare nella misura di lire 78.000.000 annue) nonché dei ricavi che l’attore avrebbe potuto conseguire dal loro sfruttamento (le tariffe relative sono state stabilite dalla P.A.).
Inoltre, nella cifra indicata si è tenuto conto del fatto che il danno è insito nella stessa circostanza di conseguire la gestione di un bene che non potrà mai essere impiegato, perdurante l’inerzia della P.A.
A tale scopo, occorre evidenziare che il ricorso alla liquidazione equitativa del danno trova una sua specifica giustificazione nella rilevante difficoltà per l’attore di dimostrare esattamente il preciso ammontare del danno subito (4)  tenuto conto del fatto che la pretesa risarcitoria è stata avanzata essenzialmente al fine di ottenere ristoro non già dei mancati guadagni ma delle ulteriori conseguenze dannose discendenti dalla violazione del dovere di correttezza della P.A. che ha posto l’istante in una posizione soggettiva estremamente difficile  e frustrante da cui è conseguita la dispersione di energie personali ed economiche per un lasso di tempo rilevante.
Per quanto attiene al periodo intercorrente tra la data della presente sentenza e la data dell’effettivo pagamento, sul totale delle somme sopra liquidate dovranno essere corrisposti, per effetto della pronuncia di liquidazione del danno che attribuisce al quantum dovuto natura di debito di valuta, in applicazione dell’art.1282 c.c.,  gli interessi annui al tasso legale.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.


P.Q.M.


Il Giudice unico di Trani, sezione di Canosa di Puglia, definitivamente pronunziando sulla domanda proposta da G. M., titolare della N. S. M., con atto di citazione notificato il 11 aprile 2001 nei confronti del C. di C. , in persona del Sindaco pro-tempore, rigettata ogni altra istanza, così provvede:
Accoglie la domanda e per l’effetto condanna il C. di C. , in persona del Sindaco pro-tempore, al pagamento in favore di G. M., titolare della N. S. M. della somma di € 50.000,00 oltre interessi legali dalla domanda all’effettivo soddisfo;
Condanna il C. di C. di P., in persona del Sindaco pro-tempore, al pagamento in favore di G. M., titolare della N. S. M. delle spese di lite che liquida in complessivi € 6.710,50 di cui € 210,50 per spese, € 1.000,00 per diritti ed € 5.500,00 per onorari di avvocato, oltre accessori di legge.
così deciso in Canosa di Puglia, addì 28 novembre 2003.


   Il Giudice
       Dott. Paolo RIZZI


Note richiamate in sentenza










  1. Cass. Civ., sez. L,.,14 maggio 1998, n.4894: “il criterio  sussidiario di valutazione equitativa del danno, di cui all’art.  1226  cod.  civ.,  è  utilizzabile  – semprechè sia certa l’esistenza  di  un  danno  –  solo  se la sua precisa determinazione incorra   in  una  impossibilità  probatoria  o,  quanto  meno,  sia ostacolata  da  una  rilevante difficoltà, mentre non è sufficiente la  semplice  complessità,  che renda necessaria l’ammissione di una consulenza  tecnica  o  il  ricorso a valutazioni di tipo presuntivo; inoltre  il giudice, nel procedere alla liquidazione equitativa, deve innanzitutto  vagliare tutti gli elementi di prova raccolti in ordine all’ammontare  del  danno  (al  fine  di rendere la liquidazione, per quanto  possibile, corrispondente alla reale entità del pregiudizio) e  quindi indicare, almeno sommariamente e sia pure con l’elasticità propria  dell’istituto  e dell’inerente ampio potere discrezionale, i criteri seguiti per determinare l’entità del danno”.