LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dai Sigg.ri Magistrati:
Dott. Vincenzo CARBONE Primo Presidente
Dott. Vittorio DUVA Presidente di sezione
Dott. Vincenzo PROTO Consigliere
Dott. Francesco SABATINI Consigliere
Dott. Michele LO PIANO Consigliere
Dott. Roberto Michele TRIOLA Consigliere
Dott. Guido VIDIRI Consigliere
Dott. Giuseppe MARZIALE Cons. relatore
Dott. Stefano Maria EVANGELISTA Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FALLIMENTO L.L., in persona del curatore, elettivamente domiciliato in Roma, Via D. Azuni n. 9, presso l’avv. P. D. C., unitamente all’avv. M. P. L., che lo rappresenta e difende in virtù di procura a margine del ricorso; – ricorrente –
contro
S.M., elettivamente domiciliata in Roma, Via Maddalena Ranieri n. 12,presso l’avv. S. F., unitamente all’avv. A. P., che la rappresenta e difende in virtù di procura a margine del controricorso;- controricorrente –
avverso la sentenza n. 752/00, emessa dalla Corte d’appello di Bari il 3 agosto 2000;
Udita, nella pubblica udienza del 4 marzo 2004, la relazione del cons. dott. Giuseppe Marziale;
Uditi, per le parti, l’avv. L. e l’avv. S. P. con delega;
Udito il P.M., in persona dell’avvocato generale Dott. Domenico lannelli, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso
Fatto-Diritto
1 – Con atto notificato il 30 agosto 1991, la signora S.M. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Trani, il signor L.L., esponendo:
– che, con scrittura privata del 28 maggio 1988, aveva promesso di cedere in permuta al convenuto, un suolo edificatorio sito in Canosa dell’estensione di circa 1784 mq.;
– che il convenuto si era obbligato, a sua volta, a cedere in controprestazione ad essa attrice o a persona da nominare la proprietà di una delle palazzine che sarebbero state costruite sull’area in questione “finita e rifinita in ogni sua parte e al pagamento di un conguaglio in denaro”;
– che una parte del conguaglio era stata versata al momento della sottoscrizione del preliminare;
– che l’area sopra indicata era stata trasferita con due distinti atti rogati, rispettivamente, il 10 settembre 1988 e il 20 gennaio 1989;
– che alla scadenza aveva, senza esito, sollecitato il convenuto a trasferire il fabbricato, previa verifica della sua rispondenza a quanto concordato.
Tanto premesso, l’attrice chiedeva che fosse disposto, ai sensi dell’art. 2932 c.c., il trasferimento della palazzina con condanna del convenuto all’esecuzione delle opere necessarie a rendere la costruzione conforme a quanto convenuto, al pagamento delle (residue) somme dovute a titolo di conguaglio e al risarcimento dei danni.
1. 1 – Il convenuto non si opponeva al trasferimento del fabbricato, ma deduceva:
– che il ritardo era stato determinato dalla sospensione dei lavori e da alcune modificazioni del progetto originario disposte dalla Sovrintendenza a seguito del ritrovamento nel sottosuolo di reperti archeologici;
– che i lavori supplementari eseguiti per la realizzazione delle nuove opere richieste avevano comportato una spesa ulteriore di circa L. 41.000.000.
Chiedeva, pertanto, che fosse disposto il trasferimento delta palazzina con le modifiche richieste dalla Sovrintendenza e che l’attrice fosse condannata a rimborsarlo delle maggiori spese sostenute per l’esecuzione delle nuove opere, con rivalutazione e interessi.
1. 2 – Il Tribunale, con sentenza del 17 febbraio 1998, disponeva il trasferimento dell’immobile in favore dell’attrice e condannava il convenuto al pagamento, a titolo di conguaglio, della complessiva somma di L. 45.304.595, con gli interessi legali dalla domanda. La pretesa risarcitoria era invece respinta, osservandosi che i ritardi nell’esecuzione dell’opera erano dipesi da causa non imputabile al convenuto. Sorte non diversa aveva la domanda di rimessione in pristino, sul rilievo che le difformità lamentate non costituivano difetti o vizi dell’opera, né irregolarità che incidevano (negativamente) sulla funzionalità del bene. Con la stessa sentenza veniva ordinato al Conservatore di procedere alla prescritta trascrizione.
La domanda era stata trascritta il 31 agosto 1991.
2 – Il 25 marzo 1999 il Tribunale di Trani dichiarava il fallimento del convenuto. La Curatela proponeva appello, dichiarando che intendeva sciogliersi dal contratto, ai sensi dell’art. 72, quarto comma, l. fall.
Chiedeva pertanto che, in riforma della sentenza impugnata, anche le domande riconosciute fondate dal Tribunale fossero respinte o che, quanto meno, fosse dichiarata la cessazione della materia del contendere.
La S.M. si opponeva all’accoglimento del gravame, assumendo che l’art. 72, l. fall., era nella specie inapplicabile, sia perché tale disposizione riguardava la vendita e non la permuta, sia perché la sentenza pronunciata dal Tribunale era comunque opponibile al fallimento. E proponeva, a sua volta appello incidentale chiedendo che la Corte, ove avesse ritenuta fondata la pretesa del curatore di sciogliersi dal preliminare, dichiarasse anche lo scioglimento dei contratti con i quali era stato disposto (il 10 settembre 1988 e il 20 gennaio 1989) il trasferimento dell’area in favore del L.L..
2. 1 – La Corte territoriale rigettava l’appello principale, proposto dalla Curatela, osservando che la facoltà accordata al curatore del fallimento dall’art. 72, quarto comma, I. fall. può essere esercitata, rispetto ai contratti di permuta, solo se nessuno dei due beni oggetto di scambio reciproco, sono passati in proprietà della controparte e che, nel caso di specie, l’area edificabile era stata invece già trasferita al Lembo. L’appello incidentale era dichiarato assorbito.
2. 2 – La Curatela chiedeva la cassazione di tale sentenza con un unico motivo di gravame, illustrato con memoria, al cui accoglimento la S.M. si opponeva con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.
Il ricorso, assegnato inizialmente alla prima sezione civile, era successivamente rimesso all’esame delle Sezioni Unite, in considerazione dell’esistenza, in materia, di non univoci precedenti giurisprudenziali di questa Corte.
Motivi della decisione
3 – La Curatela fallimentare – denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 72, quarto comma, r.d. 16 marzo 1941, n. 267, nonché vizio di motivazione – censura la sentenza impugnata per aver negato che avesse il diritto di sciogliersi dal contratto ai sensi dell’art. 72, quarto comma, I. fall., senza considerare: a) che, in base a quanto disposto da tale disposizione, l’esecuzione della prestazione da parte del contraente in bonis, in caso di fallimento del venditore, non è di ostacolo all’esercizio della facoltà di scelta, da parte del curatore, tra l’esecuzione del contratto e il suo scioglimento; b) che tale principio, formulato esplicitamente per il contratto di compravendita e riconosciuto (pacificamente) applicabile anche al contratto preliminare, è da ritenersi operante anche rispetto al preliminare di permuta; c) che, conseguentemente, non poteva esservi dubbio che, nel caso di specie, il curatore potesse legittimamente optare per lo scioglimento del contratto, sebbene la controparte avesse già provveduto al trasferimento della proprietà dell’area in favore del fallito, posto: c1) che la posizione di quest’ultimo era assimilabile a quella del venditore e che doveva, quindi, farsi applicazione del principio sancito dall’art. 72, quarto comma, I. fall.; c2) che, in ogni caso, quando tua stato stipulato un contratto preliminare, l’esercizio della facoltà di scioglimento del contratto da parte del curatore del promettente venditore può essere impedito solo se, in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento, sia stato concluso il contratto definitivo, ovvero sia passata in giudicato la statuizione giudiziale che tenga luogo di quella stipulazione; c³) che lo stesso effetto preclusivo non può invece essere riconosciuto alla trascrizione, sempre prima della dichiarazione di fallimento, della domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto.
4 – Il Collegio, al quale il ricorso era stato assegnato, ha ritenuto che in ordine alla soluzione di tale specifica questione fossero emersi orientamenti non univoci della giurisprudenza di questa Corte ed ha chiesto, pertanto, che il ricorso fosse assegnato a queste Sezioni Unite.
Tali disarmonie si sarebbero manifestate, in particolare, tra le sentenze Cass. 4 aprile 1973, n. 934; 3 giugno 1993, n. 6207, 25 gennaio 1995, n. 871 (secondo le quali l’adempimento del contraente non fallito non sarebbe ostativo all’esercizio della facoltà di recesso del curatore ai sensi dell’art. 72, quarto comma, I. fall.) e la sentenza 8 novembre 1974, n. 3422, che avrebbe invece escluso, nell’ipotesi considerata, detta possibilità.
5 – Le decisioni richiamate, per la verità, non affrontano, quanto meno esplicitamente, tale questione. L’esistenza di dissonanze, anche inconsapevoli, nella giurisprudenza di questa Corte in ordine all’applicazione del citato art. 72, quarto comma, I. fall. rispetto ai contratti preliminari è peraltro innegabile, come si porrà in evidenza nei paragrafi seguenti. Una riconsiderazione delle soluzioni fino a questo momento seguite appare quindi opportuna, anche in considerazione della particolare importanza della questione, la cui soluzione non di rado viene ad incidere sulla soddisfazione di un interesse primario, come quello legato all’acquisto di una casa di abitazione, riconosciuto dalla no Carta costituzionale meritevole di particolare protezione (art. 47 Cost.) e che iniziative legislative all’esame del Parlamento, confluite nel disegno di legge, recante “Delega al Governo per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire” (atto S. 2195), si propongono di tutelare in modo più incisivo di quanto non sia consentito dalle norme attualmente in vigore.
6 – L’art. 72 l. fall., il cui contenuto precettivo si sostanzia nell’attribuzione al curatore del contraente fallito del potere di sciogliersi dal contratto di vendita stipulato prima della dichiarazione di fallimento, non è di agevole lettura.
Stando alla rubrica, che fa riferimento alla vendita “non ancora eseguita da entrambe le parti”, dovrebbe ritenersi che i contratti presi in considerazione, sono (soltanto) quelli non eseguiti o non compiutamente eseguiti sia dall’uno che dall’altro contraente, così come si afferma nella Relazione ministeriale, osservandosi che “la semplice esecuzione unilaterale si risolve in un credito della parte che ha eseguito verso l’altra, e i crediti si fanno valere secondo le norme proprie del fallimento” (ivi, § 18), vale a dire secondo le regole del concorso.
Nei primi tre commi, che hanno riferimento al fallimento del compratore, si afferma chiaramente che la possibilità, per il curatore, di optare per lo scioglimento del contratto, presuppone, innanzi tutto, che la vendita sia ancora ineseguita o “non compiutamente” eseguita “da entrambe le parti”: ne deriva, come è del resto chiarito esplicitamente dal primo comma della norma in esame, che l’integrale esecuzione della prestazione, da parte del venditore o da parte dell’acquirente, preclude al curatore di optare per lo scioglimento dei contratto. Il contenuto della disposizione è quindi, sotto tale riguardo, pienamente in linea con le indicazioni che possono trarsi dalla rubrica e dalla Redazione.
6. 1 – Nel quarto comma dello stesso art. 72 l. fall, relativo al fallimento del venditore, si dispone che, se la cosa venduta “è già passata in proprietà del compratore”, il contratto “non si scioglie”.
Ci si può chiedere, allora, se lo stesso effetto non si determini anche per il solo fatto che il compratore abbia eseguito la propria prestazione. Ma il dubbio, ancorché comprensibile (l’adempimento di tale prestazione impedisce, infatti, di considerare il contratto “non compiutamente” eseguito “da entrambe le parti”), è infondato.
Il legislatore ha precisato, infatti, che “se la cosa venduta non è passata in proprietà del compratore, il curatore ha la scelta fra l’esecuzione e lo scioglimento del contratto”. Appare quindi evidente che nell’ipotesi inversa tale possibilità di scelta non è concessa e che il dato rilevante, in caso di fallimento del venditore, per l’esercizio del potere di scioglimento del contratto da parte del curatore fallimentare, è costituito (non dalla mancata esecuzione, totale o parziale, del contratto “da entrambe le parti”, ma) dal mancato trasferimento della proprietà della cosa venduta al compratore. Vi è quindi nella norma in esame un’innegabile asimmetria, rilevata sin dal suo primo apparire, la cui giustificazione non appare affatto chiara. E’ tuttavia evidente, tenuto conto del tenore della rubrica e della Relazione che, dei due criteri passati in rassegna, quello fondato sulla totale o parziale inesecuzione del contratto “da entrambe le parti” riveste, rispetto all’altro criterio previsto dalla stessa norma, carattere di generalità.
6. 2 – L’applicabilità alla permuta dell’art. 72 l. fall. è data per scontata dalla giurisprudenza di questa Corte, anche se con enunciazioni generiche, che prescindono da ogni riferimento alla questione che viene m considerazione nel presente giudizio (Cass. 25 gennaio 1995, n. 871; 3 giugno 1993, n. 6207; e già: Cass. 8 novembre 1974, n. 3422; 4 marzo 1973, n. 934).
Su ciò può convenirsi, tenuto conto delle affinità tra i due contratti. Non vi è dubbio, tuttavia, che la disposizione in esame debba essere posta in correlazione con l’art. 1555 c.c., il quale stabilisce, in via generale, che le norme stabilite per la vendita si applicano alla permuta “in quanto…compatibili” con tale contratto.
Nel precedente paragrafo si è posto in evidenza che il citato art. 72 I. fall., nel regolare gli effetti del fallimento sui contratti di vendita stipulati prima della dichiarazione di fallimento, detta una disciplina differenziata, a seconda che il fallimento riguardi il venditore o il compratore. Ma nella permuta non è rinvenibile una siffatta distinzione di ruoli, in quanto il reciproco trasferimento delle cose (o dei diritti) oggetto del contratto comporta che ciascuno dei contraenti assuma, al tempo stesso, la posizione di alienante e di acquirente.
Deve quindi escludersi che l’incidenza del fallimento possa, in tal caso, essere diversamente regolata, a seconda che a fallire sia l’una o l’altra parte. Gli effetti della dichiarazione del fallimento saranno quindi regolati, sia nell’una che nell’altra ipotesi, in modo uniforme e secondo un criterio che non può non essere individuato in quello fondato sulla mancata o incompleta esecuzione del contratto “da entrambe le parti”, posto che trattasi del criterio che assume, rispetto all’altro previsto dall’art. 72 l. fall., carattere di minore specificità (retro, § 6.1).
6. 3 – La censura sopra puntualizzata alla lettera c¹), del § 3 è pertanto infondata, dovendo ritenersi, per le ragioni esposte nel precedente paragrafo, che il principio sancito dal quarto comma dell’art. 72, l. fall. è inapplicabile ai contratti di permuta stipulati prima della dichiarazione di fallimento e che, pertanto, quale che sia il contraente fallito, il curatore può sciogliersi dal contratto solo se quest’ultimo è “ancora ineseguito (o non compiutamente eseguito) da entrambe le parti”.
7 – Non meno infondata è la doglianza specificata alla lettera c²) dello stesso § 3, che attiene alla individuazione dei presupposti in base ai quali può ritenersi eseguita, nei contratti preliminari, la prestazione dei promissario.
L’applicabilità dell’art. 72 l. fall. ai contratti preliminari non è stata mai posta in dubbio e trova oggi una testuale conferma nell’art. 3, sesto comma, d.l. 31 dicembre 1996, n. 669 (convertito nella legge 28 febbraio 1997, n. 30) che ha aggiunto a tale articolo un comma ulteriore, specificamente riferito proprio al contratto in esame. In relazione ad esso si afferma, con orientamento ormai costante, che l’integrale pagamento del prezzo, da parte del promissario acquirente, non giustifica l’affermazione che la prestazione che tale parte è tenuta ad effettuare sia stata integralmente eseguita, in quanto il suo oggetto specifico è dato dalla prestazione del consenso alla stipulazione del contratto definitivo (Cass. 13 1982, n. 3001; 9 gennaio 1987, n. 70; 13 maggio 1999, n. 4747; 8 febbraio 2000, n. 1376).
L’affermazione muove dall’implicita premessa che il contenuto del contratto preliminare si esaurisca nell’assunzione, da parte dei contraenti, dell’obbligo di addivenire alla conclusione di un futuro contratto, destinato a costituire la fonte esclusiva dei diritti e degli obblighi riconducibili all’operazione negoziale programmata. La circostanza che le parti abbiano reciprocamente assunto l’obbligo di effettuare il pagamento del prezzo e di dar luogo all’immissione nel possesso del bene prima del trasferimento della proprietà non sarebbe idonea, secondo l’orientamento espresso da tali decisioni, ad infimare la validità della conclusione appena formulata, in quanto si tratterebbe di effetti “solo formalmente connessi al contratto preliminare, ma sostanzialmente prodromici e anticipatori dell’assetto di interessi prefigurato nella prevista stipulazione del contratto definitivo e con questo destinato ad essere attuato” (così, testualmente: Cass. 4747/99, cit).
7. 1 – Già con la sentenza 28 novembre 1976, n. 4478, questa stessa Corte aveva peraltro puntualizzato che “l’anticipazione della consegna, come l’anticipato pagamento del prezzo, entra a far parte integrante del preliminare, costituendone un’obbligazione, che ha un suo titolo diverso da quello di vendita…in perfetta coerenza con la regola generale che riconosce alle parti la più ampia libertà nella predisposizione del contenuto negoziale”: da tale premessa veniva tratto argomento per riconoscere al promissario il diritto di chiedere, anziché la risoluzione del contratto, la condanna del promittente ad eliminare, a proprie spese, i vizi della cosa.
Muovendo dagli stessi presupposti, si è successivamente affermato che il promissario, di fronte all’inesatto adempimento del promettente nell’approntare la cosa promessa, ha la possibilità di esperire l’azione diretta all’eliminazione dei vizi o quella di riduzione del prezzo, anche contemporaneamente all’esercizio dell’azione di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto, prevista dall’art. 2932 c.c. (Cass. 5 agosto 1977, n. 3560; 9 aprile 1980, n. 2268). La sentenza 29 marzo 1982, n. 1932 ha, a sua volta, dichiarato ammissibile l’esecuzione in forma specifica di un preliminare di permuta di area edificabile con un appartamento da costruire sulla stessa area, la cui superficie era risultata superiore a quella pattuita, subordinatamente all’offerta, da parte del promissario, di un conguaglio in denaro pari alla differenza tra la superficie promessa e quella accertata.
Questo orientamento interpretativo, confermato dalle Sezioni Unite, anche con riferimento al preliminare “puro” (sent. 27 febbraio 1985, n. 1720), si è consolidato (Cass. 27 giugno 1987, n. 5716; 5 febbraio 2000, n. 1296; 19 dicembre 2000, n. 15958; 16 luglio 2001, n. 9636; 17 aprile 2002, n. 5509; 2 luglio 2003, n. 10454).
7. 2 – E’ così maturato progressivamente il convincimento che l’impegno assunto con il preliminare non ci esaurisce nello scambio dei consensi richiesto per la stipulazione del contratto definitivo. Non solo perché l’interesse delle parti è diretto alla realizzazione dell’operazione economica programmata, rispetto alla quale il contratto definitivo assume un rilievo meramente strumentale. Ma (e soprattutto) perché la conclusione di detto contratto non è neppure indispensabiIe per il raggiungimento del risultato perseguito dalle parti, avendo il legislatore previsto che lo stesso obbiettivo possa essere raggiunto mediante la pronuncia di una sentenza produttiva degli effetti del contratto “non concluso” (art. 2932 c.c.).
Il contratto preliminare e quello definitivo, pur rimanendo distinti, si configurano pertanto quali momenti di una sequenza procedimentale diretta alla realizzazione di un’operazione unitaria (Cass. 27 giugno 1987, n. 5716). E in termini non diversi si pongono i rapporti tra il contratto preliminare e la sentenza destinata a surrogare il contratto “non concluso”, dal momento che la natura giurisdizionale dell’atto non esclude che il rapporto da essa derivante abbia pur sempre natura contrattuale. Questo spiega, tra l’altro, perché (superando il dogma della immodificabilità del contratto preliminare, il quale postula che l’aspetto definitivo dell’operazione coincida esattamente con quello prefigurato nel preliminare) sia stata ammessa dalle sentenze appena ricordate, in presenza di difformità non sostanziali e di vizi incidenti (non sulla sua effettiva utilizzabilità ma solo) sul relativo valore e su qualche secondaria modalità di godimento, la possibilità di introdurre, nel giudizio promosso ai sensi del citato art. 2932 c.c., domande dirette a modificare o ad integrare il contenuto delle prestazioni delle parti.
7. 3 – Appare allora evidente che il trasferimento, della proprietà del bene effettuato prima della stipula del contratto definitivo di permuta, determinando l’insorgere degli effetti finali della operazione programmata con il preliminare, realizza (sia pure rispetto ad uno soltanto dei contraenti) lo stesso risultato giuridico ricollegato, nella previsione delle parti, alla stipulazione del contratto definitivo. E non può esservi quindi dubbio che in detta ipotesi, contrariamente a quel che sembrerebbe potersi desumere dalla sentenza 4747/99 e dalle altre decisioni richiamate nel § 7, il trasferimento del bene comporti, per la parte che lo effettua, l’integrale esecuzione della prestazione dovuta, con tutte la conseguenze che ne derivano in ordine all’applicazione dell’art. 72, l. fall.
8 – Resta l’ultima doglianza, puntualizzata nella lettera c³ del § 3, con la quale viene mosso alla sentenza impugnata il rilievo di non aver considerato che neppure la trascrizione della domanda diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre, eseguita dal contraente in bonis prima della dichiarazione di fallimento, preclude al curatore la possibilità di sciogliersi dal contratto preliminare stipulato con il fallito ai sensi del citato art. 72, l. fall.
L’assunto muove dal convincimento che, dopo la dichiarazione di fallimento del promittente, la domanda del promissario, anche se trascritta in precedenza, non possa più trovare accoglimento e che, pertanto, non vi sarebbero ostacoli all’apprensione, da parte del curatore fallimentare, del bene promesso in vendita (Cass. 10 maggio 1958, n. 1542; 14 febbraio 1966, n. 436; 18 gennaio 1973, n. 172; 10 giugno 1982, n. 3509; 29 maggio 1989, n. 1497; Cass., sez. un., 14 aprile 1999, n. 239; Cass. 12 maggio 1997, n. 4105; 16 maggio 1997, n. 4358; 13 maggio 1999, n. 4747; 22 aprile 2000, n. 5287).
L’esattezza di questo indirizzo interpretativo, anche se da tempo consolidato, deve essere riconsiderata.
8. 1 – E’ opportuno premettere che la domanda diretta ad ottenere, in costanza di fallimento, l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto è estranea alle previsioni dell’art. 51 l. fall., a norma del quale “nessuna azione individuale esecutiva può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento”.
Si è ormai chiarito, infatti, che l’art. 2932 c.c. mette capo ad un provvedimento di natura cognitiva che ha la caratteristica di produrre direttamente l’effetto giuridico richiesto, dando concreta attuazione al diritto accertato, indipendentemente da ogni attività riconducibile alla nozione di esecuzione, quale considerata nel libro terzo del codice di rito: proprio per questo tale sentenza, come si riconosce nella stessa Relazione al codice (ivi, § 1187), avrebbe potuto essere più propriamente inquadrata, invece che tra i provvedimenti esecutivi, tra le sentenze “costitutive” contemplate dall’art. 2908 c.c. (Cass. 15 marzo 1995, n. 3045; 23 gennaio 1998, n. 615).
Deve quindi escludersi che il divieto posto dal citato art. 51 l. fall. interferisca con la proposizione della domanda in esame.
8. 2 – Il suo accoglimento, secondo le sentenze sopra richiamate nel § 8, troverebbe tuttavia un ostacolo insormontabile nei peculiari effetti della sentenza dichiarativa di fallimento che, “cristallizzando” il patrimonio del fallito al momento dell’apertura della procedura concorsuale (art. 42 l. fall.), impedirebbero il perfezionamento della fattispecie integrata dalla pronuncia della sentenza contemplata dall’art. 2932 c.c. Ostacolo, che non verrebbe meno neppure in presenza dalla trascrizione, prima della dichiarazione di fallimento, della domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre, essendo gli effetti di tale adempimento pubblicitario condizionati alla trascrizione della sentenza di accoglimento che, per le ragioni già esposte, non potrebbe essere pronunciata dopo la dichiarazione di fallimento del convenuto.
8. 3 – Tali considerazioni non sono condivisibili.
Il “meccanismo pubblicitario” previsto dall’art. 2652, n. 2, c.c. si articola in due momenti: quello iniziale, costituito dalla trascrizione della domanda giudiziale e quello finale, rappresentato dalla trascrizione della sentenza di accoglimento. E, indubbio che la particolare efficacia della trascrizione della domanda resta subordinata alla trascrizione della sentenza e può, pertanto, manifestarsi solo se tale adempimento viene effettuato. Ma è non meno certo che gli effetti della sentenza di accoglimento, quando sia trascritta, retroagiscono alla data della trascrizione della domanda. Invero, “fermando” alla data della trascrizione della domanda giudiziale “la situazione controversa, sì da renderla insensibile ai successivi mutamenti posti in essere dal convenuto o dai terzi, in ordine al bene oggetto della pretesa, si è inteso “preservare l’attore vittorioso dal pregiudizio, cui altrimenti sarebbe esposto durante il tempo necessario per il riconoscimento, e, nel caso dell’art. 2932, per l’attuazione del suo diritto” (Cass. 3 gennaio 1975, n. 1).
Non può quindi esservi dubbio che sia la trascrizione della domanda (e non della sentenza) ad assumere rilievo decisivo ai fini dell’opponibilità ai terzi del trasferimento, attuato con la pronuncia, ai sensi dell’art. 2932 c.c., della sentenza che produce gli effetti del contratto “non concluso”. E che l’adempimento di tale formalità sia sufficiente a far prevalere il diritto acquistato dall’attore, una volta trascritta la sentenza, sui diritti contrari o incompatibili venutisi nel frattempo a creare in capo al terzo (Cass. 1/75 cit; 15 gennaio 1990, n. 101; 5 aprile 1994, n. 3229; 13 agosto 1996, n. 7553; 5 gennaio 1998, n. 42; 14 aprile 2000, n. 4819).
8. 4 – Il sistema del codice civile circa gli effetti della trascrizione delle domande giudiziali trova il suo completamento nell’art. 2915, secondo comma, c.c., che risolve il conflitto tra il creditore pignorante (e i creditori che intervengono nel processo di espropriazione) e i terzi, i cui diritti siano accertati con sentenza in epoca successiva al pignoramento, in base alla data della trascrizione della domanda e, quindi, adottando lo stesso criterio accolto dall’art. 2652 c.c. e dall’art. 2653 c.c.. Anche in questo caso, pertanto, la trascrizione della domanda introduttiva del giudizio ha l’effetto di “prenotare” gli effetti della futura sentenza di accoglimento, che saranno pertanto opponibili ai creditori procedenti se la trascrizione della domanda è stata effettuata prima del pignoramento.
8. 5 – L’art. 45 l. fall. non si pone in antitesi con la disciplina appena illustrata, ma la integra (così, in particolare: Cass. 1/75 e 101/90, citt.). Con tale disposizione si è statuito, infatti, che “le formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi, (solo) se compiute dopo la data della dichiarazione di fallimento “sono senza effetto rispetto ai creditori”. Il che lascia intendere che, nel caso opposto, tali formalità sono invece opponibili.
Nella sentenza 1/75, appena richiamata, si osserva, e il rilievo non può non essere condiviso, che il riferimento agli adempimenti necessari per l’opponibilità degli “atti” ai terzi si traduce nella formulazione di un criterio assolutamente generico, il quale richiede, per poter essere concretamente applicato, “di essere puntualmente specificato” a mezzo di quelle norme che, di volta in volta, a seconda della fattispecie considerata, stabiliscono quali siano le “formalità necessarie”. L’unica particolarità è data dalla circostanza che, non essendo la sentenza dichiarativa di fallimento oggetto di trascrizione o di iscrizione, l’anteriorità dell’atto dovrà essere verificata, come del resto risulta in modo inequivoco dalla formulazione della disposizione in esame, in relazione alla data di deposito della sentenza dichiarativa di fallimento e non a quella della sua annotazione nei pubblici registri ai sensi dell’art. 88, secondo comma, I. fall., essendo tale adempimento previsto per finalità di mera pubblicità – notizia (Cass. 1/75; 101/90, citt.).
9 – La giurisprudenza di questa Corte è univoca nel ritenere che l’art. 45 l. fall. si coordini (non solo con gli artt. 2652 e 2653 c.c., ma anche) con l’art. 2915, secondo comma, c.c. e che, pertanto, sono opponibili ai creditori fallimentari (non solo gli atti posti in essere e trascritti dal fallito, prima della dichiarazione di fallimento, ma anche) le sentenze pronunciate dopo tale data, se le relative domande sono state in precedenza trascritte (in tal senso, oltre le sentenze richiamate nel paragrafo precedente: Cass. 28 gennaio 1966, n. 322; 19 ottobre 1967, n. 2529; 5 agosto 1977, n. 3537; 5 giugno 1987, n. 4915; 9 dicembre 1998, n. 12396). Proprio muovendo da queste premesse si è statuito che la domanda di risoluzione di un contratto di compravendita per inadempimento dell’acquirente non trova ostacolo nella sopravvenienza del fallimento del convenuto qualora essa risulti “quesita” prima della sentenza dichiarativa del fallimento attraverso la trascrizione della relativa domanda giudiziale (Cass. 12396/98, cit.). Deve anzi notarsi, a tale riguardo, la tendenza a considerare le ragioni del contraente “in bonis”, che agisca in risoluzione, prevalenti, rispetto a quelle dei creditori fallimentari, per il solo fatto che la domanda sia stata proposta prima della dichiarazione del fallimento e, quindi, anche oltre l’ambito di applicazione della disciplina della trascrizione delle domande giudiziali (Cass. 13 giugno 1983, n. 4045; 21 febbraio 1994, n. 1648; 17 gennaio 1998, n. 376; 16 maggio 2002, n. 7178).
9. 1 – Rispetto alla domanda di “esecuzione specifica” dell’obbligo a contrarre la giurisprudenza di questa Corte, come si è anticipato, giunge invece ad una conclusione opposta, escludendo, in modo altrettanto univoco, che la trascrizione della domanda, effettuata prima della dichiarazione di fallimento, valga a rendere opponibile alla massa dei creditori l’eventuale sentenza di accoglimento trascritta dopo la dichiarazione e di fallimento (retro, § 8).
Tale approdo interpretativo non appare però persuasivo. Tanto più che la proponibilità, anche nei confronti del fallimento, dell’azione prevista dall’art. 2932 c.c. è esplicitamente riconosciuta in un’ipotesi (quella del mandante che agisca per conseguire il trasferimento in suo favore degli immobili acquistati per suo conto dal mandatario) che, come non si è mancato di rilevare, si inquadra perfettamente nello schema dell’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre (art. 79, terzo comma, l. fall. in relazione all’art. 1706, secondo comma, c.c.).
9. 1. 1 – A sostegno di tale orientamento ci si è richiamati, innanzitutto, alla “intangibilità” del patrimonio del fallito, osservando che i suoi beni, essendo vincolati al soddisfacimento dei crediti indicati nell’art. 111, l. fall., non potrebbero essere destinati, neppure in parte, ad una finalità diversa.
E’ agevole replicare, tuttavia, che, contrariamente a quel che sembrerebbe doversi desumere dal primo comma dell’art. 42, l. fall., l’intangibilità (o, se si preferisce, l’indisponibilità) del patrimonio fallimentare non riguarda tutti i beni appartenenti al fallito alla data della dichiarazione di fallimento, sia perché alcuni di essi sono (o possono essere) esclusi dal fallimento (artt. 46 e 47, l. fall.); sia perché sono ricompresi nel fallimento anche i beni che pervengono al fallito, “durante” lo svolgimento di tale procedura (art. 42, secondo comma, l. fall.); sia, infine, perché l’individuazione dei beni ricompresi nel patrimonio fallimentare non può prescindere dalla considerazione di quanto stabilito dall’art. 45 l. fall., essendo evidente che l’atto, se “opponibile”, è idoneo ad incidere negativamente sulla consistenza della massa attiva fallimentare e a ridurre, quindi, la consistenza dei beni sui quali i creditori fallimentari possono soddisfarsi, non diversamente da quanto previsto per i beni pignorati (art. 2915, secondo comma, c.c.).
9. 1. 2 – Considerazioni analoghe valgono per il principio della “parità di trattamento” dei creditori fallimentari, che certo rappresenta uno degli aspetti caratterizzanti della disciplina del fallimento. Anche la portata di tale principio deve essere infatti determinata (non già in modo aprioristico, ma) tenendo conto del contenuto di (tutte) le disposizioni che regolano il concorso dei creditori e, quindi, anche dell’art. 45 l. fall.. Articolo che oltretutto è, a sua volta, espressione di un più generale principio, il quale risponde all’esigenza di evitare che la durata del processo “torni a danno di chi ha ragione”. Principio, la cui operatività, già individuabile nel vigore dei codici abrogati, ha ricevuto in quelli vigenti un più ampio riconoscimento proprio in virtù della generalizzazione del principio della trascrizione delle domande giudiziali, prima prevista solo alcune ipotesi (domande di revocazione, rescissione e risoluzione) specificamente indicate (art. 1933, n. 3, c.c. 1865). E il cui rilievo è stato negli anni ulteriormente rafforzato, sia dalla ratifica (con la l. 4 agosto 1955, n. 848) della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, che annovera tra i diritti fondamentali dell’individuo, la cui violazione dà titolo al riconoscimento di un’equa “soddisfazione” (art. 41), anche del diritto alla durata “ragionevole” del processo (art. 6. 1); sia dal nuovo testo dell’art. 111, secondo comma, Cost., che ha assunto la “durata ragionevole” del processo quale connotato “necessario” dell’attività giurisdizionale.
Se, invero, l’interesse delle parti alla più sollecita definizione del giudizio ha acquistato un rilievo così pregnante da giustificare il riconoscimento di un indennizzo in favore delle parti che a causa dell’eccessivo protrarsi del processo abbiano risentito ragione di danno, appare evidente che in sede interpretativa debba essere privilegiata l’applicazione delle norme che, come quelle in tema di trascrizione delle domande giudiziali, sono dirette ad evitare proprio che la durata del processo possa compromettere la realizzazione di quella “piena tutela”, di cui la parte ha diritto di godere secondo il diritto sostanziale.
Nel caso di specie il fallimento del convenuto è stato dichiarato il 25 marzo 1999, mentre la domanda era stata trascritta il 31 agosto 1991 e la sua fondatezza era stata riconosciuta dal Tribunale con sentenza del 17 febbraio 1998.
9. 1. 2 – Maggiore concretezza riveste l’argomento che è stato tratto dall’art. 72 l. fall., il quale riconosce al curatore del contraente fallito, in relazione ad alcune ipotesi, il potere di sciogliersi dal contratto (retro, § 6). Ma neppure esso appare sufficiente a giustificare l’accoglimento dell’opinione appena riferita.
E’ evidente, infatti, che anche tale disposizione debba essere coordinata con quanto stabilito dal citato art. 45, l. fall.. Ne deriva che, quando la domanda diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto è stata trascritta prima della dichiarazione di fallimento, la sentenza che l’accoglie, anche ne trascritta successivamente, è opponibile alla massa dei creditori e impedisce l’apprensione del bene da parte del curatore, che non può quindi avvalersi del potere di scioglimento accordatogli, in via generale, dall’art. 72 l. fall..
Non varrebbe osservare che la facoltà di recesso del curatore, ai sensi dell’art. 72, quarto comma, I. fall., non è impedita neppure dalla stipulazione di un contratto definitivo di compravendita ad effetti obbligatori (come nelle ipotesi previste dagli artt. 1378, 1472 e 1478 c.c.), se prima della data della dichiarazione di fallimento non si è prodotto l’effetto traslativo, per la decisiva ragione che in dette ipotesi gli effetti reali si determinano al verificarsi delle situazioni specificamente considerate dalle norme sopra richiamate e non retroagiscono, mentre, per quanto si è detto, gli effetti derivanti dalla sentenza di accoglimento della domanda trascritta, pronunciata ai sensi dell’art. 2932 c.c., retroagiscono alla data di trascrizione della domanda (retro § 9): se, quindi, la trascrizione è stata eseguita prima della dichiarzione di fallimento deve ritenersi che il trasferimento della proprietà del bene promesso in vendita sia avvenuto prima di tale momento, integrando gli estremi della situazione considerata dallo stesso art. 72. quarto comma, I. fall. come ostativa all’esercizio della facoltà di recesso da parte del curatore.
Quanto, infine, al rilievo che il contratto preliminare si atteggerebbe “quale momento di una fattispecie traslativa complessa e non ancora conclusa”, il cui processo di formazione la dichiarazione di fallimento sarebbe idonea ad arrestare in modo definitivo, “anche indipendentemente dal disposto dell’art. 72, l. fall. (così, in particolare, Cass. 18 gennaio 1973, n. 172; 1542/58, cit), può replicarsi che il contratto preliminare si inserisce certamente nel, processo di formazione del contratto, ma è individuato dalla conclusione di un accordo; accordo che, pur essendo strumentale alla conclusione di un futuro contratto, è caratterizzato dall’efficacia vincolante sancita dall’art. 1372 c.c., dalla quale le parti possono sciogliersi solo “per mutuo consenso” o “nei casi previsti dalla legge”. Il vincolo che da esso deriva non è quindi meno intenso di quello proprio degli altri contratti c.d. definitivi e deve pertanto escludersi che la sua forza di resistenza rispetto al potere di recesso del curatore sia più attenuata.
10 – Il ricorso è quindi infondato sotto ogni profilo e deve essere conseguentemente rigettato.
L’esistenza delle dissonanze e dei contrasti rilevati nella giurisprudenza di questa stessa Corte giustifica la compensazione delle spese di questa ulteriore fase di giudizio.
P.Q.M
La Corte di cassazione, pronunciando a sezioni unite, rigetta il ricorso e compensa le spese di giudizio.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 4 marzo 2004.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IN DATA 7 LUG. 2004.
Nota alla sentenza dell’avv. Sabino Palmieri nella Sezione Argomenti Giuridici