REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 IL TRIBUNALE DI TRANI
SEZIONE DI ANDRIA


In Persona del Giudice Unico, dott. Paolo Rizzi, ha pronunziato la presente


SENTENZA


nella causa civile iscritta al numero 2167 del registro generale per gli affari contenziosi dell’anno 1998 posta in deliberazione all’udienza del 4 aprile 2003, con contestuale assegnazione dei termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica scaduto il 23 giugno 2003 e vertente


TRA


M. D. C. e V. M., elett.te domiciliati in Andria, p.zza “omissis”, presso lo studio dell’avv. L. C. che li rappresenta e difende, come da mandato a margine dell’atto di citazione;attori


E


O. V., elett.te domiciliato in Andria, via “omissis”, presso lo studio dell’avv. G. T., che lo rappresenta e difende, come da procura a margine della comparsa di costituzione e risposta;CONVENUTO


NONCHE’


Ditta M. M. e F. S.n.c., in persona del legale rappresentante pro-tempore sig. M. M., elett.te domiciliata in Andria, via “omissis”, presso lo studio dell’avv. M. G., che la rappresenta e difende, come da procura a margine della comparsa di costituzione e risposta;CONVENUTA


E


D. di D. N. R. e C. S.a.s., in persona del legale rappresentante sig. R. D. N., elett.te domiciliato in Andria, via “omissis”, presso lo studio dell’avv. G. T., che lo rappresenta e difende, come da procura a margine della comparsa di costituzione e risposta;CONVENUTA


OGGETTO:risarcimento danni.


CONCLUSIONI
All’udienza del 4 aprile 2003 i procuratori delle parti hanno precisato le rispettive conclusioni riportandosi a quelle precedentemente rassegnate.


SVOLGIMENTO  DEL  PROCESSO


Con citazione notificata il 26-27 agosto 1998 M. D. C. e V. M., come generalizzati in epigrafe, hanno convenuto in giudizio O. V., la D. di D. N. R. & C. S.a.s., in persona del socio accomandatario e legale rappresentante pro-tempore R. D. N. e la ditta M. M. & F. S.n.c., in persona del legale rappresentante pro-tempore, esponendo che: nel 1995 acquistarono dalla D. S.a.s. di N. R. & C. un appartamento ubicato in Andria, alla via “omissis”. Verso la fine del 1996 comparvero numerose macchie di umidità, principalmente nel vano cucina e nel bagno in corrispondenza o in vicinanza delle colonne montanti, che provocarono fenomeni di muffa e salsedine e diversi danni all’immobile. Di tali fenomeni sono stati resi edotti la società venditrice e il proprietario dell’immobile sovrastante che ebbe a riferire che la causa delle infiltrazioni era dovuta alla scadente qualità dell’impianto idrico fognario realizzato dalla M. M. & f. Successivamente ad un accertamento tecnico preventivo, sono state eseguite le opere necessarie per consentire il godimento dell’immobile il cui costo è stato pari a lire 9.579.000.
Tutto ciò premesso hanno concluso chiedendo la condanna dei convenuti “previo accertamento delle lamentate infiltrazioni, al risarcimento di tutti i danni subiti dagli istanti, nella misura che sarà provata in corso di causa…oltre interessi legali dalla domanda al saldo…condannare al pagamento delle spese e competenze del presente giudizio, da attribuirsi al sottoscritto procuratore antistatario”. 
Si è costituito in giudizio O. V., contestando la domanda, in fatto ed in diritto, e chiedendone il rigetto con vittoria di spese, competenze ed onorari di lite.
Ha dedotto che tutti gli appartamenti dell’immobile di via “omissis” hanno subito i medesimi inconvenienti dell’attore ed i proprietari, tratte uno, hanno concluso transattivamente l’insorgenda controversia con la M. M. & F. che ha realizzato gli impianti idraulici.
Ha concluso chiedendo ” – rigettare la domanda risarcitoria proposta dagli attori contro V. O., previo riconoscimento della responsabilità esclusiva dell’impresa M.; – in via subordinata, accogliere la domanda di garanzia spiegata da V. O. contro la suddetta impresa e, per l’effetto, condannare l’impresa “M. M. e F. S.n.c.”a tenere indenne V. O. da ogni esborso che questi dovesse sopportare nei confronti dei coniugi D. C. – Condannare l’impresa “M. M. e F. S.n.c. alla rifusione delle spese processuali, con distrazione in favore del sottoscritto procuratore “.
Si è costituita depositando rituale comparsa la ditta M. M. e F. S.n.c., in persona del legale rappresentante pro-tempore M. M., eccependo l’infondatezza della domanda.
Preliminarmente, ha dedotto di non avere avuto mai alcun rapporto con gli attori ma solo con la D. S.a.s. per la realizzazione del manufatto.
Quindi, ha eccepito l’intervenuta prescrizione dell’azione per essere decorso un anno dalla denuncia dei vizi.
Inoltre, ha soggiunto che la D. ha omesso di comunicare la denuncia alla M. M. e F. entro i termini di cui all’art.1670 c.c.
Nel merito, ha affermato l’insussistenza degli inconvenienti lamentati dagli attori ed ha contestato il quantum della pretesa risarcitoria.
Ha così concluso: “1) rigettare la domanda attorea nei confronti della deducente per difetto di legittimazione passiva estromettendola dal giudizio de quo; 2) in ogni caso rigettare la domanda attorea proposta contro la M. M. & F. S.n.c. per i motivi enunciati; 3) in ogni caso vittoria di spese e competenze di causa”.
Infine, si è costituita la D. di D. N. R. & C. S.a.s., in persona del legale rappresentante D. N. R., eccependo la nullità dell’atto di citazione perché non contiene l’esposizione dei motivi di proposizione della domanda nei confronti dell’esponente.
Quindi, ha soggiunto che la responsabilità non può gravare su essa venditrice dell’immobile, atteso che l’azione relativa di garanzia è prescritta e che l’edificio è stato interamente e pacificamente costruito dalla M. M. e F.
Ha chiesto “1) dichiarare la nullità dell’atto introduttivo per l’omessa indicazioni delle ragioni di diritto su cui la domanda si fonda. 2) Dichiarare inammissibile la domanda nei confronti della D. 3) Condannare gli attori alla rifusione delle spese del giudizio nei riguardi della D., distraendole in favore del sottoscritto procuratore antistatario”.
La causa è stata istruita mediante produzioni documentali e prova per testi mentre i convenuti hanno omesso di comparire all’udienza per l’assunzione della prova per interpello deferitagli senza addurre alcun legittimo impedimento.
È stata disposta C.T.U., sono stati chiesti chiarimenti al consulente di ufficio e, all’udienza del 4 aprile 2003, omessa ogni altra attività istruttoria, la causa è stata trattenuta in decisione sulle conclusioni rassegnate dalle parti, con contestuale assegnazione di termini di 60 giorni per il deposito delle comparse conclusionali e di 20 per il deposito delle memorie di replica.


MOTIVI DELLA DECISIONE


Preliminarmente, occorre rilevare che gli attori hanno rinunciato alla domanda proposta nei confronti di O. V., atteso che nel verbale allegato al verbale dell’udienza del 16 luglio 2002, richiamato all’udienza di precisazione delle conclusioni del 4.4.2003, hanno specificamente ed analiticamente precisato le proprie conclusioni, omettendo di chiedere la declaratoria di responsabilità del Vitale per i danni subiti e la condanna dello stesso al risarcimento dei danni, limitando la propria domanda ai soli convenuti M. e D.
Per fattispecie analoghe la giurisprudenza della Suprema Corte ha affermato che “nel caso in cui le conclusioni vengano precisate in forma analitica, deve  intendersi abbandonata ogni precedente domanda od eccezione precedentemente formulata,  e  non  riproposta nelle  conclusioni” (Cass. civ., sez. III, 11 marzo 1998, n.2673) e che “qualora  il difensore  della  parte  abbia, ai  sensi  dell’art. 189 c.p.c., precisato le proprie conclusioni  in modo specifico, ogni altra  diversa  domanda od  eccezione  non riproposta deve ritenersi rinunciata o abbandonata” (Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 1998, n.788).
Detta presunzione di abbandono può essere vinta sulla scorta di specifici elementi sintomatico della effettiva volontà della parte di riproporre anche la domanda non espressamente richiamata all’udienza per la precisazione delle conclusioni che, però, non possono essere tratti dalle comparse conclusionali la cui unica funzione è quella di limitarsi ad illustrare le conclusioni già precisate (“la omessa riproposizione, nella udienza di precisazione delle conclusioni, di una domanda formulata nel corso del giudizio implica una presunzione di abbandono della istanza non riproposta che, fondandosi sulla interpretazione della volontà delle parti, può essere vinta solo da specifici elementi sintomatici di una contraria volontà della parte…questi elementi non possono, però, essere tratti dalla comparsa conclusionale che ha solo funzione di illustrare le conclusioni già presentate”: Cass. civ., sez. II, 3 maggio 1996, n.4111).
Orbene, nel caso di specie, pur essendo la responsabilità del V. astrattamente ricollegabile a quella degli altri convenuti, tuttavia si fonda su un autonomo titolo di talché l’omessa riproposizione, all’udienza per la precisazione delle conclusioni, della domanda formulata contro tale convenuto ben può fondare l’evidenziata presunzione di abbandono, pure sulla scorta della C.T.U. e dei relativi chiarimenti che hanno posto in luce specifiche responsabilità nella causazione dei danni lamentati dagli attori.
Sempre preliminarmente deve essere rigettata la eccezione di nullità dell’atto introduttivo del giudizio, sollevata dal convenuto D., per violazione dell’art.163 n.4 c.p.c.
Infatti, è pacifico che quanto alla esposizione dei fatti, e dunque della c.d. causa petendi, è sufficiente l’indicazione in citazione delle circostanze di fatto che la parte pone a base delle sua richiesta e che consente, per un verso, la sussunzione della fattispecie sottoposta alla cognizione del giudice nell’ambito applicativo di una norma giuridica e, per altro verso, al convenuto di apprestare una idonea difesa in punto di fatto. Quanto, invece, alla indicazione degli elementi di diritto su cui la domanda si fonda questa può essere anche estremamente generica ovvero implicita, in quanto non vincolante per il Giudice e suscettibile di modificazione secondo la regola iura novit curia.
Nel caso in esame l’atto di citazione è stato redatto nel pieno rispetto dei parametri indicati, tanto in fatto quanto in diritto, avendo per altro consentito al convenuto D. di svolgere le proprie difese in modo puntuale ed esaustivo proprio in relazione agli elementi fattuali offerti dagli attori.
 Quanto al merito, la domanda è fondata e deve essere accolta per quanto di ragione.
Infatti, la causa delle infiltrazioni lamentate dagli attori e descritte nella relazione di accertamento tecnico preventivo allegata al fascicolo attoreo deve essere individuata nella mediocre qualità delle tubazioni allestite dalla convenuta M. M. e F., appaltatrice dei lavori di edificazione dello stabile in cui è ubicato l’appartamento dei coniugi D. C. e M.
A tale conclusioni può agevolmente pervenirsi sulla scorta della relazione di C.T.U. che ascrive le infiltrazioni subite dagli attori alla “fuoriuscita, dalle tubazioni della rete idrico/fognario dell’appartamento, di acqua trasportata dagli stessi impianti idrici dei due piani”, tanto che “per il ripristino di una condizioni ottimale per l’utilizzo delle funzionalità del vano bagno e del vano cucinino è opportuno e necessario rimuovere l’impianto idrico/fognario degli stessi vani e sostituirlo con un altro che garantisca la massima sicurezza” (cfr. pag. 7 dell’elaborato peritale dell’11 maggio 2001.
A tali conclusioni il C.T.U. perviene sulla scorta delle osservazioni effettuate in sede di operazioni finalizzate alla stesura della relazione di A.T.P., a seguito delle quali rileva che “oltre alle tubazioni dell’impianto idrico a servizio del vano bagno e del vano cucinino, non vi è altra presenza di manufatti o condutture varie che possano determinare la presenza di liquidi dentro e sulle pareti/soffitti dei predetti vani”.
Chiamato a rendere chiarimenti in ordine alla causa che avrebbe prodotto la descritta fuoriuscita di liquidi dalle tubazioni, pure sulla scorta degli accertamenti peritali espletati da altro C.T.U. in una causa relativa ad fenomeni infiltrativi subiti da altri appartamenti del medesimo stabile, il consulente di ufficio all’udienza del 4 aprile 2003 ha affermato che “il fenomeno di degrado chimico rilevato sulle pareti del soffitto del vano bagno e cucina dell’abitazione dei ricorrenti è riconducibile, anche sulla scorta della lettura della relazione di C.T.U. del geom. A., riguardante l’ispezione dell’appartamento sovrastante e della quale il sottoscritto ha preso visione e con cui concorda nei presupposti e nelle conclusioni, alla cattiva posa in opera dell’impianto idrico nonché alla scadente qualità delle tubazioni utilizzate (tubi M. in ferro, non più in uso da diversi anni) di cui tutte le unità immobiliari sono dotate”.
Quale ulteriore elemento di convincimento circa la causa delle infiltrazioni soccorre la sentenza n.71/99 del 24 maggio 1999 della Pretura circondariale di Trani, sezione distaccata di Andria, con cui è stata definita la controversia tra L. L. e la M. M. e F. relativa “ad infiltrazioni di umidità a carico dell’appartamento di sua proprietà…sito al piano dell’edificio condominiale di via “omissis”, ovvero lo stesso in cui è ubicata l’unità abitativa degli attori.
In detta sentenza si afferma che la causa delle lamentate infiltrazioni riscontrate dal C.T.U. nell’appartamento del L. sono ascrivibili alla “mediocre qualità delle tubazioni allestite dalla S.n.c. M. M. e F. nella comprovata veste di appaltatrice dei lavori di edificazione dello stabile condominiale (v. l’acquisito contratto stipulato in data 18|12|1992) – nonché alla loro inadeguata posa in opera: in particolare il consulente tecnico ha riscontrato sia la presenza di connessioni saldate – laddove la società appaltatrice avrebbe dovuto utilizzare “tubi senza saldature con rivestimento a caldo di zinco” in conformità alla normativa UNI 8863/87 ed UNI 5745/86 – sia “la mancanza di guaina protettiva” ritenuta “nociva alla curabilità delle tubazioni poiché probabile che il tubo possa venire direttamente in contatto con materiali edili notoriamente corrosivi” (cfr. sentenza allegata al fascicolo di O. V. e la relazione di A.T.P. in atti).
Orbene, la circostanza che in fattispecie del tutto analoga a quella per cui è causa relativa ad un immobile ubicato nel medesimo fabbricato condominiale dell’appartamento attoreo il C.T.U. ha riscontrato l’impiego da parte dell’appaltatore di materiali mediocri nella realizzazione delle tubazioni induce a ritenere che lo stesso materiale è stato impiegato anche per le tubazioni a servizio del bene di proprietà dei coniugi D. C.-M.
A tal fine peculiare rilievo assume pure l’affermazione del C.T.U. geometra P. che ha rinvenuto lo stesso tipo di tubatura in tutto l’edificio condominiale.
Inoltre, ad ulteriore conforto delle esposte considerazioni soccorre l’intervenuta transazione tra la M. M. e F. e G. P., N. S. e O. V. diretta a conciliare l’insorgenda lite attinente alle infiltrazioni subite dagli appartamenti che, unitamente a quello degli attori, compongono l’immobile condominiale ed in relazione alla quale era stata espletata l’A.T.P. menzionata nella trascritta sentenza.
A tale proposito il teste G. P., escusso all’udienza del 1 dicembre 2000 ha affermato che le cause delle infiltrazioni dallo stesso subite “furono riscontrate nella cattiva esecuzione e posa in opera, sin dall’origine, degli impianti idrico e fognante”.
La circostanza evidenziata induce a ritenere che tutto lo stabile realizzato dalla M. ha riportato il medesimo difetto costruttivo costituito proprio dalla scadente qualità dell’intero impianto idrico-fognario, pure perché sarebbe davvero singolare che tale impianto si è presentato scadente e di mediocre qualità per tre appartamenti mentre per il quarto è stato eseguito a regola d’arte.
I fenomeni descritti dalla relazione del consulente di ufficio sono sicuramente inquadrabili nell’ambito di operatività dell’art.1669 c.p.c. 
Occorre premettere che “In  tema  di  appalto,  la  norma  di cui all’art. 1669 cod. civ. ha, nonostante  la  relativa “sedes  materiae”, natura indiscutibilmente extracontrattuale (essendo diretta a tutelare l’interesse, di carattere  generale,  alla conservazione ed alla funzionalità degli edifici e degli altri immobili destinati, per loro natura, ad una lunga durata), e trascende il rapporto negoziale (di appalto, di opera, di vendita) in base al  quale il bene sia pervenuto, dal costruttore,  nella  sfera  di  dominio  di  un  soggetto  che, dalla “rovina”, dall'”evidente pericolo di rovina” o dai “gravi difetti” dell’opera,  abbia  subito  un  pregiudizio” (Cass. civ., sez. II, 20 novembre 1998, n.12106).
Naturalmente, perché l’appaltatore ovvero il costruttore venditore debba rispondere ai sensi della norma richiamata è necessario che sussistano in concreto “dei vizi costruttivi che incidono negativamente in  maniera  profonda  sugli  elementi  essenziali  di struttura e di funzionalità  dell’opera,  influendo sulla sua solidità, efficienza e durata” (Cass. civ., sez. II, 1 marzo 2001, n.3002).
La giurisprudenza, di merito e legittimità, ha interpretato la disposizione di cui all’art.1669 c.c. abbandonando le rigidità iniziali che avevano portato a ritenere la sua applicazione solo ai casi in cui dalle deficienze costruttive fosse derivata una apprezzabile menomazione del bene, tale da comprometterne la statica ovvero la stessa conservazione. Nel corso del tempo, invero, si è affermata una diversa esegesi della fattispecie normativa in esame sintetizzata nella seguente massima: “i  gravi  difetti di costruzione che a norma dell’art. 1669 cod. civ. possono  dare luogo all’azione di responsabilità del committente nei confronti   dell’appaltatore  non  si  identificano  soltanto  con  i fenomeni  che  incidono  sulla  stabilità  dell’edificio, ma possono consistere  in alterazioni che pur riguardando direttamente una parte dell’opera,    incidono   in  modo  globale  sulla  sua  struttura  e funzionalità    e    ne   menomano  apprezzabilmente  il  godimento” (Cass. civ., sez. III, 12 maggio 1999, n.4692).
Orbene, nel caso di specie, è lo stesso geom. P. che ritenendo necessaria l’integrale sostituzione delle condutture idriche al fine di evitare il ripetersi del fatto dannoso, sottolinea l’idoneità del vizio riscontrato alla compromissione significativa del godimento dell’immobile (“tra  i  gravi difetti di costruzione per i quali è operante a carico dell’appaltatore  la  garanzia  prevista  dall’art.  1669  cod.  civ. rientrano  le  infiltrazioni  d’acqua  determinate  da  carenze della impermeabilizzazione perché incidono sulla funzionalità dell’opera menomandone il godimento”, Cass. civ., sez. II, 8 gennaio 2000, n.117).
Il verificarsi degli eventi descritti verso la fine del 1996, rende tuttora efficace la garanzia di cui all’art.1669 c.c., atteso che l’immobile è stato realizzato sicuramente dopo il 1986 sol che si consideri che il relativo contratto di appalto è del 1992 e che la concessione edilizia è stata rilasciata dal Comune di Andria il 27 agosto 1992 (cfr. contratto di acquisito allegato al fascicolo di parte attrice).
All’accoglimento della domanda non osta l’eccezione di decadenza sollevata dalla convenuta M., atteso che secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità che il Tribunale condivide “in  tema  di  appalto,  ai  fini  di una tempestiva contestazione del difetto  di costruzione dell’opera ex art. 1669 cod. civ., il termine previsto  “ex  lege”  per la relativa denuncia non può che decorrere dalla  data  del  deposito  della  relazione  del C.T.U. (anche se le indagini  risultino  eseguite  in  un  diverso  e coevo procedimento) tutte  le volte in cui un’adeguata conoscenza del difetto e delle sue specifiche cause (nonché della    sua   gravità)  consegua indefettibilmente all’espletamento di  indagini  tecniche,  non potendo,   all’uopo,  ritenersi  sufficiente  la  sola  esistenza  di iniziali  manifestazioni  di un fenomeno disgregativo della “res”, in corso d’aggravamento, ma dotate, allo stato, di scarsa rilevanza” (Cass. civ., sez. II, 29 maggio 1998, n.5311).
Dagli atti di causa non vi è alcun elemento che induce a ritenere che gli attori avessero compiuta conoscenza della derivazione eziologica dei danni subiti dalla carenza evidenziata dal C.T.U. prima dell’introduzione del giudizio e della riferibilità degli stessi a fatto dell’impresa costruttrice.
Né tale certezza è stata offerta della relazione di ATP del 18 giugno 1997 che si è limitato a descrivere i fenomeni di umidità riscontrati nell’immobile attoreo, senza formulare alcuna ipotesi sulla causa degli stessi.
Inoltre, non può risultare significativa sotto il profilo considerato la missiva indirizzata al procuratore degli attori dal difensore di O. V. in quanto  contenete una mera affermazione priva di adeguati riscontri oggettivi idonei a rendere gli attori medesimi edotti della causa di quanto lamentato in citazione.
Quanto al soggetto responsabile dei danni subiti dagli istanti, secondo la dizione letterale dell’art.1669 c.c., questo deve essere con certezza identificato nella ditta Minerva Matteo e figli in quanto appaltatore dell’immobile condominiale, come emerge dal contratto di appalto del 18.12.1992 (cfr. fascicolo D.).
 La domanda, invece, non può essere accolta nei confronti della D., quale venditore dell’appartamento – così come chiarito dagli istanti in sede di precisazione delle conclusioni – in quanto a fronte dell’eccezione di prescrizione dell’azione eccepita dalla convenuta ai sensi dell’art.1495, comma 3 c.c. gli attori non hanno provato la tempestiva proposizione della domanda o l’avvenuta interruzione del termine prescrizionale pur gravando sugli stessi il relativo onere.
Per ciò che attiene alla determinazione dell’ammontare dei danni, si può certamente prendere in considerazione la quantificazione effettuata dal C.T.U. con riferimento alle spese necessarie per il ripristino dell’appartamento ed a quelle per il mancato godimento dello stesso, come pure richiesto dai coniugi M. e D. C.
In particolare, tale ultimo danno deve essere risarcito agli attori, atteso che il teste G. M. ha confermato che essi dal mese di gennaio 1997 al mese di maggio 1998 hanno dovuto abbandonare l’abitazione a causa delle infiltrazioni e dei danni relativi.
Le precedenti considerazioni consentono, dunque, di quantificare il pregiudizio occorso agli istanti in complessivi euro 6.956,35.
Costituendo espressione di un debito di valore, le suddette somme devono essere rivalutate all’attualità – con decorrenza dalla data di espletamento della consulenza tecnica d’ufficio (11 maggio 2001) – sulla base dell’indice I.S.T.A.T. relativo ai prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati (Cass. civ., sez. II, 23 maggio 2000, n.6682).
Oltre alla rivalutazione del credito, già riconosciuta, è stato chiesto anche il riconoscimento degli interessi sul credito, con decorrenza dalla data della domanda.
Tale questione deve essere valutata alla luce dell’orientamento espresso dalla Suprema Corte con la sentenza, a Sezioni Unite, n.1712 del 17.2.1995.
Tale sentenza, infatti, da un lato, richiamando il combinato disposto degli artt. 2056 e 1223 c.c., riconosce in caso di ristoro per equivalente del danno da fatto illecito la risarcibilità del danno derivante da ritardo e dunque dal mancato godimento dell’equivalente monetario del bene perduto (lucro cessante) “per tutto il tempo che intercorre fra il fatto e la sua liquidazione”, danno liquidabile anche con l’attribuzione di interessi, e, dall’altro, esclude che si possa assumere a base del calcolo di tale danno la somma liquidata come capitale nella misura rivalutata definitivamente al momento della pronuncia, dovendo calcolarsi gli interessi sulla somma rivalutata di anno in anno ovvero calcolando indici medi di rivalutazione.
In conformità al combinato disposto degli artt.2056, 1223, 1226 e 1227 c.c., il danno da ritardo in materia di responsabilità da fatto illecito non è presunto ex lege (non essendo applicabile, come precisato dalla Suprema Corte nella citata sentenza, l’art. 1224 I comma c.c.), ma deve essere allegato e provato facendo ricorso anche e soltanto a presunzioni semplici ed al criterio equitativo di cui all’art. 2056, comma 2, c.c.
Orbene, per la esiguità delle somme dovute ed in relazione alla mancata allegazione di elementi di fatto da cui desumere un impiego delle somme de quo diverso da quello diretto alla riparazione dell’immobile di cui gli attori sono proprietari non ritiene il Tribunale di riconoscere l’interesse richiesto.
Per quanto attiene, poi, al periodo intercorrente tra la data della presente sentenza e la data dell’effettivo pagamento, sul totale delle somme sopra liquidate dovranno essere corrisposti, per effetto della pronuncia di liquidazione del danno che attribuisce al quantum dovuto natura di debito di valuta, in applicazione dell’art. 1282 c.c.,  gli interessi annui al tasso legale.
Sussistono giusti motivi e d’equità per compensare le spese di lite tra gli attori e i convenuti O. V. e , mentre per ciò che attiene alle altre parti, le spese medesime verranno interamente compensate.


P.Q.M.


Il Giudice unico di Trani, sezione di Andria, definitivamente pronunziando sulla domanda proposta da M. D. C. e V. M., con atto di citazione notificato in data 26-27 agosto 1998 nei confronti di O. V., la D. di D. N. R. & C. S.a.s., in persona del socio accomandatario e legale rappresentante pro-tempore R. D. N. e la ditta M. M. & F. S.n.c., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rigettata ogni altra istanza, così dispone:
Accoglie parzialmente la domanda e per l’effetto dichiara la ditta M. M. & F. S.n.c., in persona del legale rappresentante pro-tempore dei danni subiti dall’appartamento di M. D. C. e V. M.;
condanna la ditta M. M. & F. S.n.c., in persona del legale rappresentante pro-tempore al pagamento in favore di M. D. C. e V. M. della somma complessiva di € 6.956,35 da rivalutarsi all’attualità con decorrenza dal 11 maggio 2001, sulla base dell’indice I.S.T.A.T. relativo ai prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza fino all’effettivo soddisfo;
Compensa le spese di lite tra M. D. C. e V. M., O. V. e la D. di D. N. R. & C. S.a.s., in persona del socio accomandatario e legale rappresentante pro-tempore R. D. N., ivi comprese le spese di C.T.U.;
condanna a ditta M. M. & F. S.n.c., in persona del legale rappresentante pro-tempore al pagamento in favore di M. D. C. e V. M. delle spese di lite che liquida in complessivi € 1.208,67, di cui € 1.506,96 per spese, comprensive della già liquidata ATP, € 1.800 per diritti ed € 2.500,00 per onorari di avvocato, oltre accessori di legge, ed oltre alla C.T.U. già liquidata, da distrarsi in favore del procuratore anticipatario.
così deciso in Andria, addì 8 luglio 2003.


   IL GIUDICE
       Dott. Paolo RIZZI