COMMISSIONE MINISTERIALE PER LA RIFORMA DELLE PROCEDURE CONCORSUALI


Schema di disegno di legge recante “Delega al Governo per la riforma organica
della disciplina della crisi di impresa e dell’insolvenza”


Relazione generale


Sommario
1.  La disciplina vigente sulle crisi d’impresa. Le esigenze di riforma.
2. I modelli stranieri. Gli accordi stragiudiziali.
3.  Le linee essenziali della riforma.
4.  I contenuti della riforma.
4.1.  Gli istituti di allerta e di prevenzione
4.2. La procedura di composizione concordata della crisi
a. I soggetti
b. Il presupposto oggettivo
c. Le modalità di accesso. Il piano di regolazione della crisi. Il controllo sulla gestione. La formazione del consenso dei creditori.
d. L’omologazione
e. La procedura semplificata
4.3. La procedura di liquidazione concorsuale
a. I soggetti
b. La competenza
c. Il piano di regolazione dell’insolvenza
d. La procedura di esecuzione concorsuale semplificata con finalità esdebitoria
e. Gli organi delle procedure
f. La tutela giurisdizionale
g. Gli effetti a carico del debitore
h. Le azioni revocatorie
i. I rapporti giuridici pendenti
l. Gli effetti nei confronti dei creditori
m. L’accertamento dei diritti dei creditori e dei terzi
n. Le azioni di responsabilità
o. La liquidazione e la ripartizione dell’attivo
p. La chiusura della procedura
q. La crisi e l’insolvenza nei gruppi
5. La disciplina penale
6. Le disposizioni tributarie, previdenziali e assistenziali


1.  La disciplina vigente sulle crisi d’impresa. Le esigenze di riforma
   Le esigenze di riforma delle procedure concorsuali e, più in generale, dell’intera disciplina di regolazione delle crisi d’impresa nascono dalla percezione delle carenze che affliggono questo importante settore del più ampio complesso di regole  normalmente definito come “Statuto dell’imprenditore”.
  Le procedure concorsuali sono disciplinate, come è noto, dal regio decreto 16 marzo 1942, n.267, che regola il fallimento, il concordato preventivo e l’amministrazione controllata nonchè la procedura di liquidazione coatta amministrativa. Ma il panorama degli istituti che governano le crisi d’impresa è assai più ampio ed articolato. Costituiscono una peculiarità del  nostro ordinamento, e si intrecciano con la stessa storia politica, economica e sociale del paese, gli innumerevoli interventi normativi diretti a regolare particolari situazioni di crisi ed il frequente ricorso all’intervento pubblico per la soluzione di tali crisi.
   Questo processo ha origini lontane. Lo sviluppo economico dei primi decenni del secolo scorso fu caratterizzato da un diffuso ricorso al sostegno dello Stato: in quegli anni e nei decenni successivi divennero sempre più strette le relazioni tra grande industria e alta banca e tra il settore bancario e i pubblici poteri. Si andò così delineando un processo di integrazione tra pubblico e privato che avrebbe costituito la premessa per le soluzioni assunte nelle grandi crisi degli anni ’20 e ‘30 e consolidato  un atteggiamento generalizzato, non a torto definito  di “economia dei salvataggi”.
   La grande crisi del 1929 e degli anni successivi determinò, come è noto, effetti disastrosi  sull’economia nazionale per lo  stretto intreccio di relazioni che si era creato tra banche e industrie. Lo Stato intervenne per evitare il crollo del sistema bancario, che si era andato a sua volta caratterizzando attraverso il diffondersi della banca mista, proprietaria di imponenti partecipazioni industriali. La crisi del sistema industriale divenne crisi del sistema bancario e la costituzione  dell’IRI nel 1933, quale ente di gestione e di finanziamento delle imprese industriali nelle quali lo Stato aveva assunto le partecipazioni di controllo cedute dalle banche, costituì l’espressione più imponente dell’intervento pubblico nei settori dell’economia in crisi.
   Nel periodo successivo al secondo conflitto mondiale, una volta spentasi la spinta della ricostruzione postbellica, si determinarono crisi economiche negli anni ’70 che portarono a interventi legislativi mirati alla soluzione delle crisi di settori rilevanti dell’economia e alla costituzione di organismi pubblici diretti a soccorrere le imprese in crisi. Queste strutture pubbliche sono andate esaurendo le loro funzioni e sono state pressoché totalmente smantellate. I principi dell’economia di mercato, il cui affermarsi nel nostro paese è stato favorito anche dal progressivo avvicinamento dei sistemi economici dei paesi europei e dal diffondersi delle regole comunitarie, hanno comportato una graduale riduzione della presenza pubblica nell’economia del paese. Ma di fronte alle crisi delle imprese esiste una diffusa concezione che tende a privilegiare strumenti di intervento facenti capo ad autorità amministrative, e ciò in ragione sia della specialità di determinati settori dell’economia sia delle dimensioni delle crisi. Avviene così che le crisi delle imprese appartenenti al settore finanziario latamente inteso (assicurazioni, banche, intermediari finanziari) siano governate da procedure facenti capo alle autorità di vigilanza del settore (Isvap, Banca d’Italia, Consob) e che le crisi delle imprese commerciali con un numero di addetti superiore alle duecento unità siano gestite con  una procedura, l’amministrazione straordinaria, posta sotto la direzione e il controllo dell’autorità governativa.
   Questo complesso sistema normativo ha diverse motivazioni, in larga misura comprensibili e condivisibili, che si riconducono alla storia stessa del nostro paese, alla specialità di determinati settori dell’economia, alle oggettive carenze del sistema tradizionale delle procedure concorsuali ed alla sua inadeguatezza a fronteggiare le esigenze che scaturiscono dalle crisi che  non siano di proporzioni modeste. Ed in effetti questa inadeguatezza è per molti aspetti evidente.
   Il fallimento è una procedura squisitamente liquidatoria, che lascia poco spazio alle opportunità di ricollocazione sul mercato dei complessi aziendali di imprese cadute in stato di insolvenza. L’apertura della procedura coincide normalmente con la cessazione dell’impresa e con la sua eliminazione dal contesto economico; l’esercizio provvisorio, così come attualmente disciplinato, costituisce un’ipotesi marginale ed è considerato con sostanziale sfavore dal legislatore. Ma sono soprattutto i modesti risultati ed i tempi straordinariamente dilatati entro i quali questi risultati vengono conseguiti a impressionare. Le statistiche ci dicono che mediamente le procedure fallimentari comportano il soddisfacimento dei creditori chirografari nella misura del 10% ed una durata media di circa 6-7 anni; ma non costituiscono una straordinaria eccezione procedure che durano oltre dieci – quindici anni. Numerosi sono inoltre i fallimenti destinati a non arrecare sostanzialmente alcun vantaggio ai creditori stante l’esiguità dell’attivo, e tuttavia comportanti un impegno gravoso delle strutture giudiziarie. E quanto ai tempi di durata, se è vero che essi sono in larga misura condizionati dalla lunghezza dei giudizi ordinari che vedono coinvolte le procedure, non è men vero che l’attuale legge fallimentare non ha in alcun modo considerato le opportunità di riduzione dei tempi di svolgimento di tali giudizi.  
   Le procedure concorsuali minori, concordato preventivo e amministrazione controllata, sono a loro volta caratterizzate da rigidità che ne impediscono un uso diffuso e positivo. Il concordato preventivo richiede per i creditori privilegiati il soddisfacimento integrale e per i creditori chirografari la distribuzione di una percentuale minima del 40%, senza alcuna possibilità di suddivisione di tali creditori in classi omogenee e di un loro trattamento differenziato, secondo quanto si verifica invece in molte legislazioni, e senza possibilità quindi per il debitore di sfuggire all’alternativa del fallimento mediante l’offerta di una percentuale inferiore al 40%, ma pur sempre migliore di quella risultante da una eventuale procedura fallimentare.               L’amministrazione controllata soffre a sua volta del grave difetto di dover prevedere la capacità del debitore di soddisfare integralmente i creditori al termine della procedura: un’eventualità questa, che ben difficilmente può verificarsi laddove invece il risanamento potrebbe ritenersi avvenuto, al termine della gestione controllata, anche in presenza di accordi con i creditori diretti a prevedere riduzioni di debiti e pagamenti dilazionati nel tempo. La previsione di questi accordi non trova alcuna regolamentazione nella disciplina dell’amministrazione controllata, e il debitore è così sovente costretto a seguire la perigliosa trafila della consecuzione delle procedure.
   La prospettiva del risanamento dell’impresa in dissesto è perseguita, come è noto, dalla nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria. Gli obiettivi alternativi che il legislatore si è proposto con questa procedura sono ambiziosi: cercare di risanare l’impresa e al tempo stesso di soddisfare tutti i creditori, mediante il ritorno in bonis dell’impresa; ovvero, qualora questo risultato non sia raggiungibile, cercare di collocare i complessi aziendali presso terzi consentendone così la conservazione. Nel primo caso gli obiettivi sono assai simili a quelli propri dell’amministrazione controllata; nel secondo caso essi consistono nella ricerca della migliore soluzione possibile per le sorti dell’impresa, o almeno di una sua parte, in presenza di una situazione di insolvenza irreversibile.
   Uno degli aspetti che più colpisce di questa procedura è l’estraneità sia dell’imprenditore sia dei creditori agli atti, operazioni e comportamenti diretti al raggiungimento degli scopi indicati dalla legge. E’ il soggetto nominato dalla pubblica autorità a darsi conto della ricerca delle vie e degli strumenti più idonei per il superamento o la regolazione della crisi, e ciò, merita ancora una volta ricordarlo, per ogni dissesto che riguardi un’impresa di una qualche significativa dimensione.
   L’attuale sistema normativo si caratterizza,  oltre che per la pluralità di procedure troppo rigidamente concepite, altresì per una vasta area di esenzioni soggettive che hanno relegato tradizionalmente l’applicazione degli istituti concorsuali al medio-grande imprenditore commerciale. Alcune esenzioni non appaiono più giustificabili, come quella relativa all’imprenditore agricolo; altre, come quella relativa al piccolo imprenditore, hanno finito per creare complessi problemi definitori tali da ridurre notevolmente ogni ipotizzato beneficio deflattivo che esse avrebbero dovuto comportare.
   In una economia sempre più dominata da rapporti commerciali e finanziari pervasivi, anche le crisi del debitore civile esigono un trattamento concorsuale come accade in altri ordinamenti,  nella prospettiva esdebitatoria anche quale strumento di contrasto di diffuse e deleterie pratiche usurarie.


2.  I modelli stranieri. Gli accordi stragiudiziali
 Nella piena consapevolezza di questo quadro d’insieme, la Commissione si è anzitutto posta l’interrogativo di quali indicazioni relative ad alcuni tra i più significativi ordinamenti stranieri potessero in qualche misura contribuire a delineare le linee portanti di una rilevante riforma delle nostre procedure concorsuali. E ciò pur nella consapevolezza che le soluzioni adottate in questi ordinamenti non si possono ricondurre ad un unico modello, costituendo esse il naturale riflesso di tradizioni ed impostazioni a volte molto differenti tra loro. Esistono sistemi maggiormente orientati a considerare le aspettative dei creditori (e che vengono definiti creditor oriented), e sistemi più sensibili alle ragioni dell’impresa (debtor oriented). In alcuni ordinamenti viene riconosciuto largo spazio agli accordi tra debitore e creditori; in altri i creditori hanno un ruolo marginale nella gestione della crisi; in altri ancora il ruolo del magistrato è preponderante oppure, al contrario, lontano dalle scelte operative.
  Gli ordinamenti presi in particolare esame sono stati quattro: due appartenenti al mondo anglosassone, due appartenenti all’area dell’Europa continentale.
  E’ ben noto il particolare interesse che hanno suscitato la legislazione statunitense sull’insolvenza e, soprattutto dopo la riforma del 1978, la procedura disciplinata dal Cap. 11 del nuovo Bankruptcy Code, universalmente nota come Corporate Reorganization. La via indicata dal “Chapter 11” può riassumersi in questi termini:
– largo spazio ai possibili accordi tra debitore e creditori, al riparo da ogni iniziativa di autonoma tutela del ceto creditorio; suddivisione dei creditori in classi per interessi omogenei e trattamento differenziato delle singole classi; aperto favore verso le soluzioni tese a consentire all’imprenditore caduto in insolvenza una nuova opportunità o, come viene comunemente detto, “a fresh start”; 
– riconoscimento al giudice di una funzione di tutela della regolarità della procedura e di osservanza delle regole di priorità, ma anche, in qualche misura, di costrizione sui creditori il cui dissenso rispetto alle proposte dell’imprenditore sia ritenuto dal giudice non giustificato (regola del “cram down”);
e dunque un sistema fortemente impostato sulla libertà degli accordi tra le parti coinvolte nel dissesto, ma che ha visto nella prassi rafforzarsi la figura del giudice nelle vesti di supremo regolatore delle sorti della crisi. Un sistema pensato più per i casi di crisi temporanea  e quindi superabile, che per le ipotesi di irreversibile insolvenza, ma che è stato con sempre maggiore frequenza adottato in situazioni di vero e proprio dissesto e che si è così trasformato, nella prassi dei tribunali, da strumento di prevenzione in modello per la sistemazione delle insolvenze. E, ciò che può apparire stupefacente  nell’ottica della nostra disciplina, un sistema adattabile sia all’insolvenza del “corner grocer’s shop” e addirittura del consumer sia ai dissesti delle grandi corporations (si pensi ai recenti casi clamorosi di Enron, WorldCom, United Airlines, Conseco).
   Interessanti indicazioni provengono anche dalla legislazione inglese, caratterizzata da un largo favore per le soluzioni alternative alla liquidazione fallimentare e improntata, da un lato, a disponibilità e attenzione verso il debitore onesto e sfortunato che sia rimasto vittima delle congiunture del mercato (con larga utilizzazione, al pari di quello americano, dell’istituto della “discharge”), e dall’altro lato a severità nei confronti del debitore fraudolento.
   Particolare interesse riveste il modello di governo delle crisi d’impresa attuato mediante l’accordo tra le banche coinvolte nei dissesti, noto come London Approach. La Banca d’Inghilterra ha assunto il ruolo di coordinamento del settore del credito nei tentativi di salvataggio delle imprese in  crisi. Il metodo è caratterizzato dall’assenza di regole precostituite e dettagliate, e consiste in principi generali non scritti che governano l’atteggiamento delle banche di fronte alle imprese in difficoltà. Le banche si impegnano ad assumere atteggiamenti comuni, a non chiudere i rubinetti del credito, ad offrire all’imprenditore in crisi il tempo e gli strumenti per progettare l’uscita dalla crisi, naturalmente allorché ne sussistano le condizioni di base.
  Il sistema trova la ragione principale del suo successo nell’autorità riconosciuta alla Banca d’Inghilterra, chiamata ad esercitare una funzione determinante di moral suasion. Merita ricordare che esso ha trovato in qualche modo applicazione, con le dovute differenze, in Germania ed anche nel nostro paese, con il “Codice di comportamento tra banche e imprese” varato dall’ABI nel 1999 e con le Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia per le ristrutturazioni finanziarie.
  I due sistemi continentali esaminati sono quello tedesco e quello francese, che presentano caratteristiche assai diverse.
  La  nuova legge tedesca sull’insolvenza prevede l’esistenza di un’unica procedura, chiamata appunto procedura dell’insolvenza, la quale peraltro può aprirsi, su iniziativa dell’imprenditore collettivo, anche nei casi di difficoltà che denotino semplicemente un rischio concreto di insolvenza.
  Una volta iniziata, la procedura prosegue nei termini classici, secondo gli schemi fallimentari e nella direzione della liquidazione del patrimonio del debitore insolvente, ma nell’ambito di questa procedura può inserirsi in ogni momento, e quindi sin dall’inizio, all’atto stesso della dichiarazione di insolvenza, la proposta di un piano alternativo, chiamato appunto “piano dell’insolvenza”, dal contenuto più vario (ristrutturazione dell’impresa, cessione parziale o totale dei beni, liquidazione pura e semplice), ma avente comunque lo scopo di offrire una soluzione più appetibile per i creditori rispetto a quella che deriverebbe dalla liquidazione atomistica  fallimentare. Il piano può essere formulato dal debitore o da una parte dei creditori stessi, ovvero anche dal curatore in via autonoma o su sollecitazione di una determinata percentuale dei creditori.
  La presentazione del piano, se ritenuta meritevole di essere sottoposta ai creditori, comporta la sospensione della procedura di liquidazione ed anche, ove ritenuto conveniente, la conservazione dell’imprenditore a capo dell’impresa. Il consenso dei creditori si tende ad ottenere previa suddivisione dei creditori in classi per posizione giuridica ed interessi omogenei, secondo il modello americano, ma con regole un po’ più severe.            
  La Francia ci offre il modello del Réglement amiable, che è fondamentalmente un accordo tra l’imprenditore in difficoltà, ma  non ancora in stato di insolvenza, e il ceto creditorio, da realizzarsi in un breve arco  di tempo. L’accesso alla procedura comporta la nomina di un conciliatore con il compito di favorire l’accordo e di sorvegliare il funzionamento dell’impresa, ma anche con la possibilità di sostituire l’imprenditore nella gestione ove ritenuto opportuno. Durante il tempo richiesto per il raggiungimento dell’accordo viene disposta la sospensione provvisoria delle iniziative esecutive sul patrimonio del debitore.
  Il Réglement amiable è ormai divenuta una vera e propria procedura concorsuale , ove il ruolo del magistrato diventa primario. La differenza rispetto al nostro concordato preventivo sta in ciò, che nel Reglement amiable l’accordo intercorso con una parte dei creditori non si estende automaticamente ai creditori non consenzienti, ma può solo favorire l’imprenditore mediante l’applicazione da parte del giudice a questi creditori delle norme civilistiche che consentono automatiche dilazioni di pagamento.
  La legislazione francese conosce inoltre istituti di prevenzione e di allerta che costituiscono uno dei suoi tratti caratteristici e che si reggono su due presupposti significativi: un efficiente sistema di controlli sull’impresa attuato da controllori indipendenti (i commissaires aux comptes) e la presenza dei tribunali di commercio, ove il presidente, anch’egli commerciant, viene considerato soggetto idoneo a comprendere meglio di altri le ragioni dell’impresa in difficoltà ed a svolgere un’opera di persuasione sull’imprenditore per indurlo ad operare per il superamento della crisi. E seppure i giudizi sull’efficacia di queste misure di prevenzione siano contrastanti, le attuali  tendenze riformatrici della legislazione francese vanno nella direzione di un potenziamento di queste misure, al punto di considerarle come “la nuova frontiera” della disciplina delle crisi d’impresa.
  In presenza dell’insolvenza (la cessation des paiements) la disciplina del Redressement judiciaire impegna gli organi della procedura nella ricerca di soluzioni alternative alla liquidazione dei beni in tutti i casi (e si tratta naturalmente di una minoranza, seppure consistente) nei quali la prospettiva di conservazione dell’impresa si renda plausibile. Ciò avviene con l’eventuale ausilio di esperti ed anche, se del caso, dello stesso imprenditore.
  Questa fase preliminare richiede un tempo limitato, normalmente non più di qualche mese, ma prolungabile in caso di necessità. Essa è saldamente nelle mani del giudice, al punto di far addirittura temere che questi tenda a trasformarsi in un supermanager de l’entreprise. I creditori giocano invece un ruolo tutto sommato marginale, poiché la soluzione alternativa alla liquidation può essere adottata anche in assenza di un loro consenso.
  Innumerevoli spunti sono quindi derivati alla Commissione dall’esame degli aspetti salienti di questi importanti ordinamenti. Ma il panorama delle possibili soluzioni alle crisi d’impresa non ha neppure escluso le indicazioni provenienti dagli accordi stragiudiziali, dei quali sono ben noti gli indubbi vantaggi rispetto alle tradizionali procedure concorsuali.
  L’assenza di vincoli precostituiti, la possibilità di prendere atto della diversità di interessi presente nell’ambito dei creditori e la conseguente tendenza a prevedere trattamenti differenziati, la rapidità delle soluzioni e la loro estrema varietà in funzione delle peculiarità della crisi consentono agli accordi stragiudiziali di raggiungere risultati a volte impensabili con gli attuali strumenti giudiziali. Ma sono altrettanto noti i rischi insiti nei tentativi stragiudiziali: la trattativa privata può non dare i risultati sperati, vuoi perché non si verifica il consenso di tutti i creditori vuoi perché alcuni tasselli della complessa costruzione giuridica, economica e finanziaria non si sono realizzati. Ma poiché la ricerca delle possibili soluzioni delle crisi complesse richiede normalmente tempi non brevi e nel frattempo l’impresa continua ad operare, v’è il rischio che la dichiarazione giudiziale di insolvenza intervenga allorché siano già stati eseguiti pagamenti parziali ovvero si sia verificato un aggravamento del dissesto. Ed il rischio può in tali casi trasferirsi addirittura sul terreno penale.
Questi indubbi inconvenienti non impediscono tuttavia di riconoscere i vantaggi che le soluzioni stragiudiziali comportano e lo spazio rilevante che esse si sono ormai stabilmente conquistato. In seno alla Commissione, in una prima fase, era stata ipotizzata una disciplina autonoma degli accordi stragiudiziali, al di fuori di ogni omologazione dell’autorità giudiziaria e con effetti non vincolanti per i creditori non aderenti, ma comunque esclusi, a certe condizioni, da revocatorie e conseguenze penali.
E’ prevalsa invece l’idea che si dovessero valorizzare gli aspetti positivi delle soluzioni stragiudiziali, assoggettandole peraltro nella fase finale ad un vaglio giudiziario che ne garantisse correttezza e trasparenza. Si è ritenuto che l’insegnamento  derivante dai modelli stranieri fosse proprio questo: le soluzioni giudiziali possono raccogliere in sè stesse buona parte delle caratteristiche positive delle soluzioni stragiudiziali, possono cioè recepire in misura significativa , se non in toto, il connotato di elasticità che contraddistingue le seconde, conservando tuttavia quel contesto di certezze e di garanzie che è tipico della procedura giudiziale. Ciò vale, come è evidente, essenzialmente per la gestione delle crisi che consentono ancora al debitore di essere un interlocutore credibile di fronte ai creditori.


3. Le linee essenziali della riforma
I lavori della Commissione si sono protratti a lungo, ma ben presto si sono delineate le linee essenziali della riforma e sono state operate le scelte di fondo sulla base di un ampio consenso. Su alcuni aspetti rilevanti all’interno della Commissione sono peraltro maturate opzioni difformi che hanno opposto la maggioranza ad una consistente minoranza e di ciò si darà correttamente conto in prosieguo in questa relazione generale. Questi, in sintesi, gli obiettivi  condivisi della riforma:
– superamento della contrapposizione tra tutela dei creditori e conservazione degli organismi produttivi. Le nuove regole devono offrire l’opportunità di contemperare nei limiti del possibile  entrambe le esigenze, rifiutando sia le soluzioni che avviliscano le attese dei creditori sia quelle che trascurino interessi che gravitano a vario titolo attorno alla vita dell’impresa. Tanto più che queste posizioni si rivelano a volte assai meno confliggenti di quanto si possa in teoria supporre, costituendo la conservazione dell’impresa un valore anche per i creditori, i quali spesso proprio dalla conservazione di quel valore potranno sperare di conseguire un più  congruo soddisfacimento del credito in sofferenza. Il giusto equilibrio deve peraltro essere ricercato attraverso il consenso dei creditori ogniqualvolta sia possibile evitare una procedura liquidatoria,  e non essere ad essi imposto;
– adeguata attenzione verso i modelli stranieri, seppure nella consapevolezza delle ragioni storiche, economiche e di sistema che costituiscono peculiarità del nostro ordinamento;
– individuazione di possibili ed effettivi strumenti di prevenzione e di allerta che consentano interventi tempestivi nelle crisi d’impresa, seppur nella consapevolezza dell’estrema difficoltà di soluzioni veramente appaganti in questo campo, che deve veder salvaguardata l’autonomia dell’imprenditore sino a quando l’insolvenza non si sia manifestata in termini inequivoci;
– costruzione di un sistema di regole che induca l’imprenditore in crisi ad accedere tempestivamente ad un meccanismo di protezione (il cosiddetto “ombrello”), idoneo a consentirgli di proporre e raggiungere il migliore accordo possibile con i creditori. Un sistema costituito essenzialmente da misure premiali ma anche da qualche sanzione in caso di colpevole ritardo;
– per i casi nei quali l’accordo non sia possibile, attivazione di una procedura liquidatoria che introduca sostanziali modifiche all’attuale disciplina del fallimento, sia più snella e flessibile, consenta un più rapido soddisfacimento dei creditori e valorizzi le opportunità di collocazione degli organismi produttivi nell’interesse generale , sia del sistema sia dei creditori;
– articolazione,  pertanto, della  nuova disciplina su due sole procedure:
a.  una procedura di composizione concordata della crisi, ad iniziativa del debitore e tesa a consentire l’accordo tra debitore e creditori, omologato dal tribunale. Una procedura avente la seguente fisionomia:
– apertura ad ogni possibile contenuto del piano di sistemazione della crisi, che veda protagonisti il debitore e i creditori e riservi al giudice un ruolo più defilato di quello rivestito nelle vigenti procedure cosiddette minori;
– previsione di tempi certi e ragionevolmente rapidi per la definizione degli accordi;
– indicazione, nell’ambito di questa procedura, di percorsi ancor più rapidi e semplificati allorché il debitore abbia preventivamente raggiunto l’accordo con una parte significativamente rilevante e qualificata dei creditori;
b.  una procedura di liquidazione concorsuale, ad iniziativa del debitore , dei creditori e dell’autorità giudiziaria, per i casi di insolvenza non regolati attraverso un accordo tra debitore e creditori, ed avente le seguenti caratteristiche:
– realizzazione di un percorso più agile di quello che oggi contraddistingue il fallimento, teso ad abbreviarne i tempi di svolgimento , e quindi diretto a produrre un più rapido soddisfacimento dei creditori;
– favore per la cessione dell’azienda a terzi e per forme più agili e moderne di liquidazione dei beni;
– consenso, anche nell’ambito della procedura liquidatoria, verso soluzioni alternative alla liquidazione “fallimentare”, mediante l’accordo tra debitore e creditori ovvero anche su autonoma iniziativa dei soli creditori o di terzi;
– indicazione di un diverso rapporto tra gli organi della procedura, riconoscendo un ruolo più rilevante nella gestione al curatore e ai rappresentanti dei creditori;
– esclusione di qualsiasi carattere sanzionatorio della procedura in quanto tale, favorendo anzi il reinserimento dell’imprenditore insolvente nel circuito produttivo impianto.
   Un impianto che, già da queste sommarie indicazioni, risulta significativamente diverso rispetto a quello vigente. Il consenso della Commissione su queste linee di fondo della Riforma è stato generale.
 Ciò non ha, tuttavia, evitato che maggioranza e minoranza della Commissione siano pervenute ad approvare due testi diversi che, seppure presentano ampi profili di convergenza, mantengono tuttavia differenze su aspetti rilevanti, come quelli relativi al ruolo del giudice nella conduzione delle procedure,  all’ambito di applicazione delle revocatorie, all’estensione della procedura di liquidazione al socio tiranno e all’amministratore di fatto e alle azioni di responsabilità esercitabili dal curatore.
   Nelle pagine che seguono verranno illustrati gli aspetti più significativi dello schema di disegno di legge delega approvato a maggioranza e che sarà indicato come “il Testo”; nel contempo si darà conto delle differenze più significative emerse nella “Proposta alternativa” della minoranza, che è stata rappresentata organicamente nella fase finale dei lavori.
   Per una più compiuta analisi dei due schemi, non può che rinviarsi ovviamente ai commenti sui singoli articoli delle relative proposte.



4. I contenuti della riforma
  Il Testo delega il Governo a sostituire le attuali procedure concorsuali con i nuovi istituti previsti dalla riforma: le misure di allerta e di prevenzione, la procedura di composizione concordata della crisi e la procedura di liquidazione concorsuale.
Nello spirito che sorregge l’intero impianto della riforma, e nel convincimento che essa debba essere ritenuta applicabile anche alle crisi di maggiori dimensioni, viene conseguentemente prevista una significativa riduzione dello spazio riservato alla procedura di amministrazione straordinaria, che dovrà applicarsi unicamente alle crisi di rilevanza nazionale.
  La Commissione ha preso atto della peculiarità delle discipline speciali relative alla liquidazione coatta amministrativa delle imprese di assicurazione, delle banche e delle società che esercitano la raccolta e la gestione del credito e del risparmio. Il Testo prevede peraltro che anche per queste procedure venga assicurata la giurisdizione del giudice ordinario nella fase di accertamento del passivo e nei procedimenti di rendiconto degli organi e di cessazione delle procedure, rappresentando in tal modo il convincimento della maggioranza della  Commissione che la parità di trattamento venga maggiormente salvaguardata mediante il controllo del giudice ordinario.
   La “Proposta alternativa” della minoranza ritiene invece che queste discipline speciali debbano essere salvaguardate nella loro interezza per ragioni di efficienza (considerata la normale mole dei rapporti con la clientela) e per ragioni sistematiche (collocazione dei detti intermediari in un più ampio sistema di vigilanza pubblica, di cui è parte anche la gestione della crisi,. riservando il controllo del giudice ordinario in sede successiva e contenziosa.
   I principi direttivi che ispirano la  riforma trovano concreta applicazione nel Testo e nella “Proposta alternativa”. Ad essi si è già fatto riferimento nell’esposizione delle linee guida della riforma e sugli stessi si ritornerà nell’illustrazione degli aspetti salienti delle discipline proposte.


4.1. Gli istituti di allerta e di prevenzione
  Gli istituti di allerta e di prevenzione sono stati pensati tenendo conto dell’importanza che la tempestività dell’intervento sulla crisi dell’impresa riveste al fine di una soluzione positiva della crisi stessa, e comunque di un esito più favorevole per tutte le parti coinvolte. Ma anche nella consapevolezza delle oggettive difficoltà che questo terreno presenta allorché si passi dalle enunciazioni di principio all’individuazione di misure realmente efficaci.
  Già esistono, attualmente, alcuni strumenti di allerta (il bollettino dei protesti, le procedure esecutive immobiliari in corso). A questi il Testo aggiunge l.’obbligo di amministrazioni pubbliche di iscrivere in apposito registro e di comunicare tempestivamente all’autorità giudiziaria i crediti, iscritti a ruolo o muniti di titolo esecutivo, di importo superiore a un determinato significativo ammontare; ciò a pena di decadenza dalle cause di prelazione agli effetti del concorso e analogamente a quanto previsto nell’ordinamento francese.
   La “Proposta alternativa”, pur mantenendo l’indicato obbligo di pubblicità, esclude forme di inoltro specifico all’autorità giudiziaria nonché la sanzione della decadenza della prelazione.
  Ma è soprattutto all’interno dell’impresa che si guarda per stimolare iniziative di allerta e di prevenzione. Per le imprese collettive nelle quali sono presenti organi di controllo o revisori viene prescritto a tali soggetti di attivarsi tempestivamente al fine di indurre gli organi competenti dell’impresa ad adottare le misure ritenute necessarie per affrontare la crisi. La previsione di questa iniziativa si aggiunge al complesso degli obblighi imposti agli organi di controllo dalla recente riforma societaria e vale ad accentuare l’indipendenza di tali organi.
  Nel caso in cui queste iniziative di allerta interne all’impresa rimangano senza esito, il Testo prevede che i soggetti preposti al controllo riferiscano la situazione di crisi all’autorità giudiziaria, alla quale è riservato il potere di convocare l’imprenditore per sollecitarlo ad adottare iniziative di risanamento, compreso l’avvio della procedura di composizione concordata della crisi.
  L’eventualità di questo intervento del magistrato costituisce una delle novità della riforma proposta nel Testo, che fa assegnamento su un nuovo ruolo del giudice particolarmente delicato in un contesto (la situazione di crisi che non sia ancora degenerata in vera e propria insolvenza) esso stesso delicato, ove occorrono competenza, fermezza, ma anche discrezione.    
   La “Proposta alternativa” esclude, invece, che all’autorità giudiziaria debbano essere segnalate situazioni di semplice crisi, limitando l’obbligo degli organi di controllo e di revisione, esauriti i rimedi interni, alla denuncia all’autorità giudiziaria dei soli fatti rivelatori dell’insolvenza.   
    Il Testo prevede infine che il legislatore debba favorire la costituzione di istituzioni pubbliche e private con compiti di analisi delle situazioni di crisi delle imprese e di supporto alla loro soluzione. Competerà al legislatore delegato dare concretezza a questa indicazione di carattere generale.  La “Proposta alternativa” estende la funzione di tali istituzioni anche  a compiti di assistenza , consulenza e promozione di soluzioni concordate nelle situazioni di crisi, ritenute particolarmente utili per le piccole imprese.


4.2.  La procedura di composizione concordata della crisi
  La procedura di composizione concordata della crisi costituisce una delle parti più significative e innovative della riforma. Essa è intesa ad offrire lo strumento per affrontare con la tempestività e le elasticità necessarie le crisi di impresa, e del quale si  è giustamente lamentata l’assenza nell’ambito delle tradizionali procedure concorsuali. Con la sua formulazione il nostro legislatore intende riguadagnare il tempo perduto nei confronti di altri ordinamenti che hanno saputo fronteggiare con maggiore tempestività le moderne esigenze poste dalle situazioni di crisi.


a.  Ogni imprenditore, piccolo o grande che sia, esercente un’impresa commerciale o agricola, deve poter contare sulla protezione derivante dall’apertura di una procedura che gli consenta di offrire ai creditori una soluzione alla crisi per essi più favorevole della liquidazione concorsuale. Il presupposto soggettivo vede pertanto ampliato l’ambito dei soggetti tradizionalmente destinatari delle procedure concorsuali: non più  soltanto l’imprenditore commerciale, ma anche l’imprenditore agricolo, il cui statuto non si differenzia sostanzialmente più da quello dell’imprenditore commerciale. Ed anche il piccolo imprenditore, al quale dovranno applicarsi regole semplificate.


b.  Il presupposto oggettivo può consistere sia nello stato di insolvenza sia anche soltanto in una condizione di squilibrio (economico, patrimoniale e finanziario) che non possa essere superata mediante operazioni di ristrutturazione e il normale ricorso al credito, e che richieda una generale moratoria nei confronti dei creditori.    


c.  Una delle caratteristiche innovative della procedura risiede nelle modalità di accesso.     La procedura si apre a seguito della dichiarazione del debitore di volersene avvalere, e pertanto l’accesso non è sottoposto ad alcuna valutazione di ammissibilità da parte del giudice.
   Il Testo riconosce peraltro al tribunale il potere di interrompere in ogni momento la procedura allorché emergano atti di frode o risultino insussistenti o siano venuti meno i presupposti per la sua prosecuzione.  La “Proposta alternativa” dispone  che questo potere debba essere esercitato, nelle stesse ipotesi indicate, con il limite che in caso di atti di frode, violazioni di legge o irregolarità risulti compromessa l’utile prosecuzione della procedura.
  Anche sui tempi di presentazione del piano si è manifestata una certa divergenza di posizioni. Il Testo richiede che il piano venga presentato immediatamente, e ciò al fine di consentire una più tempestiva valutazione da parte del commissario e degli organi di giustizia della serietà della proposta (perfezionabile , peraltro, nel corso della procedura);  la “Proposta alternativa” ha invece ritenuto che possa  in ogni caso concedersi al debitore un breve termine, dopo l’apertura della procedura, per la formulazione del piano (così come prevede il modello americano).
  Il consenso è stato invece generale sull’attribuzione di maggiori poteri al consiglio dei creditori, al quale è riconosciuta la facoltà di autorizzare gli atti di straordinaria amministrazione e lo scioglimento dei rapporti in corso ritenuti non più utili per il buon esito della procedura. Si tratta di uno degli aspetti qualificanti della procedura, che vede in tal modo spostato il suo asse portante dal rapporto debitore – commissario – giudice delegato al rapporto debitore – consiglio dei creditori.
  La manifestazione del consenso dei creditori può avvenire, come già si è detto, previa divisione dei creditori in classi per posizione giuridica ed interessi omogenei. La “Proposta alternativa” prevede che l’eventuale dissenso di una parte minoritaria delle classi possa essere superato da una valutazione comparativa del tribunale sul trattamento che potrebbe derivare a questi creditori dissenzienti da una eventuale procedura liquidatoria (il cosiddetto “best of creditor’s interest test” della Corporate Reorganization).   Il Testo non aderisce a questa soluzione  considerata invasiva della volontà del ceto creditorio.


d.  Il maggior punto di contrasto in seno alla Commissione ha peraltro riguardato i poteri di omologazione del tribunale.
  Il Testo propone che al tribunale debba essere riservato un potere autonomo di valutazione della fattibilità del piano, e ciò sulla premessa che l’estensione dell’efficacia del piano ai creditori dissenzienti (e a quelli che non si siano espressi) sia costituzionalmente legittima solo in presenza di un giudizio autonomo dell’autorità giudiziaria, che prescinda dal consenso già espresso dalla maggioranza dei creditori.        La “Proposta alternativa” attribuisce al Tribunale solo poteri di rettifica e integrazione del procedimento di approvazione, limitando il controllo giurisdizionale alla legittimità del piano e dell’intero procedimento ed escludendo ogni verifica di merito, sulla convenienza o fattibilità del piano, nel presupposto che essa sia stata compiutamente effettuata sia dal commissario giudiziale sia dalla maggioranza per classi dei creditori, con l’unica eccezione dell’ipotesi già ricordata di “cram down”.


e.  Questa divergenza di posizioni  si è riflessa sulla diversa regolamentazione della procedura semplificata per l’ipotesi in cui il consenso di una maggioranza qualificata dei creditori si sia formato prima dell’apertura della procedura: il Testo propone che l’accordo, del quale il tribunale, prende atto senza formulare alcuna valutazione autonoma, debba riguardare soltanto i creditori consenzienti e che per gli altri creditori debba prevedersi il soddisfacimento immediato e integrale, previa valutazione del commissario sulla disponibilità degli importi necessari. la “Proposta alternativa” non prevede l’intervento del commissario giudiziale e consente che il pagamento dei creditori estranei all’accordo avvenga secondo le scadenze negoziali. Ai creditori estranei è peraltro attribuito il diritto di sollecitare, attraverso la tempestiva proposizione di una motivata opposizione, la specifica valutazione del tribunale in merito alla idoneità del piano ad assicurare il superamento dello stato di crisi (con soddisfacimento delle proprie ragioni di credito).
   Ulteriori divergenze  tra maggioranza e minoranza emergono infine con riguardo agli effetti della risoluzione e dell’annullamento del piano,  con particolare riferimento alla consecuzione delle procedure.
   Queste divergenze non eliminano peraltro la volontà espressa della Commissione di proporre l’impianto innovativo di una procedura diretta a porre in primo piano, per tutte le situazioni di crisi, l’eventualità di un accordo tra debitori e creditori.


4.3. La procedura di liquidazione concorsuale
   La procedura di liquidazione concorsuale sostituisce il fallimento, del quale conserva naturalmente le caratteristiche essenziali ( e sulle quali, pertanto, questa Relazione non si soffermerà), ma con i miglioramenti nella direzione della maggiore rapidità, elasticità ed efficienza che costituiscono una delle finalità della Riforma.


a. La procedura riguarda tutti gli imprenditori che possono accedere alla procedura di composizione concordata della crisi e dei quali venga accertato lo stato di insolvenza, nonché i soci illimitatamente responsabili.
   Per il piccolo imprenditore dovranno essere previste forme semplificate di svolgimento della procedura.
   Il Testo propone inoltre l’estensione della procedura anche a chi, ancorché socio limitatamente responsabile, abbia fraudolentemente disposto della società come di cosa propria ovvero, nell’interesse proprio o di terzi, abbia dolosamente attuato una gestione idonea a determinare l’insolvenza, con responsabilità per tutte le obbligazioni sorte nel periodo.
   Si tratta di due ipotesi distinte. La prima riguarda il soggetto che ha abusato della personalità giuridica, stravolgendone le regole di funzionamento ed andando quindi ben al di là dell’attività di direzione e coordinamento prevista dalla nuova legge societaria. Quest’ultima, come è noto, consente al socio “forte” di dirigere la società, ma colloca questa figura nell’ambito di regole di trasparenza e di rispetto della disciplina fondamentale della persona giuridica che invece il cosiddetto maitre de l’affaire non rispetta affatto. E dunque, al di là dell’apparenza, questi è il vero imprenditore e secondo il Testo approvato dalla Commissione si reputa corretto che ne subisca le conseguenze, rispondendo direttamente dei debiti della società e subendo la procedura concorsuale al pari del socio illimitatamente responsabile.
   La seconda ipotesi riguarda il soggetto che ha volutamente condotto la società al fallimento. La maggioranza della Commissione ha ritenuto che la prospettiva risarcitoria fosse insufficiente alla tutela degli interessi in gioco e ha proposto l’estensione della procedura liquidatoria.
   La “Proposta alternativa” della minoranza ritiene, invece, che tanto il problema del “socio tiranno” quanto i problemi dell’amministratore di fatto debbano essere affrontati in termini di accertamento di responsabilità e di risarcimento danni che ne conseguono e non già in termini di imputazione dell’attività o di utilizzazione sanzionatoria della procedura.
   Secondo la “Proposta alternativa”, infatti, all’impostazione fatta propria dalla maggioranza è di ostacolo non solo la disciplina recente dettata in tema di direzione e coordinamento di società, che affronta gli aspetti dell’abuso delle relative regole sul piano della responsabilità risarcitoria, ma anche la tendenza a generalizzare il beneficio della responsabilità limitata (società per azioni unipersonale, patrimoni destinati) che, se per un verso legittima azioni risarcitorie in caso di violazione delle relative regole, per altro verso mal si concilia con la ricerca di un imprenditore “effettivo” dietro lo schermo societario. Viene, infine, ritenuto opportuno che questioni così delicate siano oggetto di un ordinario giudizio risarcitorio piuttosto che di un giudizio necessariamente sommario, quale è quello dichiarativo dell’insolvenza.


b. Anche per la procedura di liquidazione concorsuale è prevista la competenza del tribunale del capoluogo di provincia nel cui territorio si trova la sede effettiva dell’impresa. Il Testo propone inoltre che in caso di opposizione alla sentenza dichiarativa dell’insolvenza il giudice possa, per gravi motivi, inibire parzialmente l’attività di gestione e di liquidazione, evitando in tal modo che l’eventuale accoglimento dell’opposizione possa essere vanificato dall’intervenuta liquidazione del patrimonio.


c. Una volta iniziata, la procedura prosegue con finalità liquidatorie, ma il Testo propone subito la disciplina del Piano di regolazione dell’insolvenza, a sottolineare l’importanza attribuita anche nell’ambito della procedura liquidatoria ad accordi alternativi alla liquidazione atomistica dei beni.
   Le indicazioni del Testo sono peraltro al riguardo restrittive rispetto alla “Proposta alternativa” espressa dalla minoranza  della Commissione. Costituisce affermazione comune che il piano possa essere proposto , oltre che dal debitore, da un gruppo di creditori ed anche da terzi (e ciò rappresenta una significativa novità, che neppure la legge tedesca si è spinta ad introdurre). Ma il Testo limita la legittimazione del debitore all’ipotesi in cui questi non sia ricorso alla procedura di composizione concordata della crisi (e ciò al fine di imporre serietà agli accessi a quella procedura) e pone per tutti i soggetti legittimati il limite temporale della chiusura dello stato passivo ( al fine di evitare che proposte non serie intralcino la liquidazione). La “Proposta alternativa” non ritiene invece queste ragioni sufficienti ad impedire il massimo favore del legislatore verso accordi che possano intervenire nel corso della liquidazione.               
   Il possibile contenuto del piano è analogo a quello del piano di composizione concordata della crisi, ed analoga è la previsione di formazione del consenso dei creditori, che possono essere suddivisi in classi. Ma la Commissione è stata unanime nel proporre che il piano debba essere sottoposto alla valutazione di convenienza del tribunale, sul presupposto che l’esistenza di una procedura liquidatoria già in corso consenta di porre a raffronto i possibili esiti di tale procedura con il contenuto del piano.


d.  Nell’ambito di queste indicazioni generali sulla procedura di liquidazione il Testo colloca una delle novità più significative della Riforma, alla quale la “Proposta alternativa” intende dare ancora maggior risalto, attraverso una autonoma collocazione della relativa disposizione, al fine di esaltarne gli specifici elementi distintivi rispetto alla disciplina dell’imprenditore. Si tratta della procedura di esecuzione concorsuale semplificata sull’intero patrimonio del debitore non imprenditore e del piccolo imprenditore non assoggettabile alle procedure maggiori in presenza di un indebitamento inferiore ad una determinata soglia che il legislatore delegato dovrà indicare. Questa procedura è finalizzata ad una tempestiva esdebitazione del debitore ed è attivabile su iniziativa dello stesso debitore o, sussistendo un indebitamento superiore ad una soglia minima, dei suoi creditori muniti di titolo esecutivo. In tal modo si intende conseguire un duplice importante risultato: concentrare le iniziative esecutive in un’unica procedura sull’intero patrimonio del debitore e liberare quest’ultimo, ove non particolarmente demeritevole, dai residui debiti eventualmente non soddisfatti. Con riferimento allo svolgimento delle funzioni di gestione della procedura, la “Proposta alternativa”, in luogo del rinvio all’art. 159 c.p.c., rimette alla fonte regolamentare l’individuazione dei soggetti abilitati.


e. La disciplina degli organi della procedura attribuisce all’autorità giudiziaria funzioni di regolazione dei conflitti e di direzione della procedura.  La “Proposta alternativa”  ritiene opportuno che al giudice delegato sia sottratto il potere di decidere sui reclami per le questioni attinenti alla convenienza economica e che al consiglio dei creditori sia esteso il compito di autorizzazione dei principali atti di amministrazione. Queste indicazioni riflettono un’impostazione di fondo propensa ad affidare anche nella procedura di liquidazione la gestione, e quindi anche la valutazione di convenienza economica, nelle mani del curatore e del consiglio dei creditori.
   Il Testo riflette invece l’opinione della maggioranza della Commissione, secondo la quale, se un tale assetto di rapporti è considerato opportuno nella procedura di composizione concordata della crisi, ove i creditori sono in buona misura arbitri della procedura stessa, la situazione si presenta nettamente diversa nella procedura di liquidazione, ove il giudice deve continuare a rivestire un ruolo centrale.
   Al di là di questa divergenza, resta il fatto che la fisionomia generale della procedura è impostata nel senso di riconoscere maggiori poteri agli organi gestori: basti pensare al potere riconosciuto al consiglio dei creditori di esprimere pareri vincolanti in relazione all’importanza delle materie. Uno degli obiettivi principali della riforma consiste proprio nella trasformazione dell’attuale comitato dei creditori da organo evanescente in soggetto attivo della procedura. Secondo la maggioranza della Commissione, la previsione della possibilità di delega a professionisti consente di guardare positivamente alla progressiva formazione di professionalità nella funzione di partecipazione ai consigli dei creditori, ed all’eventualità di un futuro ulteriore allargamento dei  loro poteri.


f. La tutela giurisdizionale, che vede la Commissione sostanzialmente concorde fatta salva la significativa divergenza, già richiamata, per quanto attiene alle valutazioni  sulla convenienza economica degli atti impugnati, è impostata sul diffuso ricorso alle forme dei procedimenti in camera di consiglio avverso i provvedimenti degli organi giurisdizionali della procedura, restando peraltro ferme le disposizioni del processo a cognizione piena per le controversie su diritti soggettivi di terzi estranei alla .procedura di liquidazione, ma con la previsione anche di procedimento sommario non cautelare, esperibile anche in pendenza del processo di cognizione ed eventualmente idoneo a definirlo, che si conclude con un provvedimento esecutivo. Obiettivo della Riforma è, con tutta evidenza, la riduzione dei tempi di svolgimento dei giudizi che ne possono derivare, con conseguente accorciamento dei tempi di durata della stessa procedura. Un obiettivo, questo, che potrebbe essere favorito dall’istituzione delle sezioni specializzate nelle materie considerate dalla Riforma.


g. Gli effetti a carico del debitore sono disciplinati in termini tali da attuare l’interesse dei creditori, assicurando peraltro l’esercizio dei diritti del debitore compatibili con le necessità di ordinata gestione e di celere liquidazione dei beni. Scompare pertanto ogni residuo significato afflittivo nei confronti del debitore, ma il Testo propone, e per ragioni di moralità economica, che le incapacità personali siano estese ai gestori dell’impresa ed anche per un periodo successivo alla chiusura della procedura qualora non sussistano le condizioni di meritevolezza  all’esdebitazione.
   La nuova disciplina societaria, che ha introdotto la figura giuridica dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, rende necessaria la regolazione dell’insolvenza di questi patrimoni separati, non prevista dal codice. La liquidazione concorsuale riguarda un patrimonio in assenza della dichiarazione di insolvenza di un soggetto titolare del patrimonio, e si tratta quindi, nella sostanza, di un “fallimento senza il  fallito”; ma questa apparente anomalia è conseguenza della specialità della nuova figura giuridica introdotta dal codice, alla quale la disciplina concorsuale deve far fronte. In caso di insolvenza del patrimonio destinato, e nel permanere delle condizioni per la separazione rispetto al patrimonio della società, la liquidazione di tale patrimonio va attuata secondo le regole della concorsualità. E se viene attuata la liquidazione concorsuale della società, la liquidazione del patrimonio prevista dalla legge civile viene affidata al curatore o ad altro soggetto designato dal giudice delegato.  
  Nel caso di violazione delle regole della separatezza tra patrimonio sociale e patrimonio destinato l’insolvenza della società consentirà ai creditori del patrimonio destinato di partecipare al concorso sui beni sociali una volta esauritisi i beni del patrimonio destinato.  


h.  Il tema delle azioni revocatorie ha costituito oggetto di approfondito dibattito nella Commissione. Il Testo approvato dalla maggioranza della Commissione differisce su alcuni, peraltro significativi, punti rispetto alle indicazioni della “Proposta alternativa” della minoranza.
 Vediamo anzitutto gli aspetti sui quali il consenso è sostanzialmente unanime. Essi riguardano l’inefficacia degli atti a titolo gratuito compiuti nei due anni anteriori all’apertura della procedura; la presunzione di onerosità delle garanzie contestuali, anche se rilasciate per debiti altrui; l’inefficacia dei pagamenti di debiti con scadenza successiva all’apertura della procedura effettuati nei diciotto mesi anteriori; la previsione di forme di revocatoria aggravata nei confronti delle parti correlate; il termine di prescrizione triennale, con decorrenza del periodo sospetto dall’apertura della procedura di composizione della crisi nel caso di consecuzione delle procedure (avvenuta senza soluzione di continuità); l’esenzione dalla revocatoria per ipotesi oggettivamente determinate e connesse ad interessi costituzionalmente rilevanti; la legittimazione del curatore all’esercizio della revocatoria ordinaria; l’applicazione della  nuova disciplina alle sole controversie derivanti da procedure aperte successivamente all’entrata in vigore dei decreti delegati.
   I punti di divergenza riguardano invece il periodo sospetto per gli atti anormali e assimilati (previsto in diciotto mesi dal Testo e in dodici mesi dalla “Proposta alternativa”), e soprattutto la revocabilità degli atti normali e dei pagamenti.
La “Proposta alternativa” dispone che la revocabilità di questi atti (naturalmente ove la scientia decoctionis sia provata) è possibile solo se essi hanno arrecato un effettivo pregiudizio al patrimonio del debitore ovvero se hanno determinato un’ingiustificata alterazione della parità di trattamento dei creditori. In ogni caso devono essere escluse dalla revocatoria le operazioni di semplice interposizione di pagamento e gli atti compiuti nell’ambito di rapporti contrattuali continuativi coerenti con l’ordinaria gestione dell’impresa e limitando, per i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, l’ammontare complessivo dell’importo revocabile alla misura dell’effettiva riduzione dell’esposizione nel periodo sospetto. Di quest’ultimo si prevede inoltre la riduzione a sei mesi.
   Il Testo di maggioranza esclude invece dalla revocabilità soltanto i pagamenti compiuti nell’ambito di rapporti contrattuali continuativi per i quali siano provati la corretta esecuzione ed il regolare andamento nell’insorgenza e nell’estinzione  dei crediti ovvero effettuati per prestazioni essenziali alla continuazione normale dell’attività se l’oggetto di tali prestazioni sia stato acquisito dal curatore ovvero sussista nel patrimonio del debitore al momento dell’apertura della procedura di crisi o comunque sia stato necessario per l’ammissione della relativa domanda. Il periodo sospetto è poi indicato in nove mesi.
   E’ di tutta evidenza come si pongano così a confronto due diversi modi di intendere la funzione della revocatoria. Da un lato v’è la preoccupazione di arginare le conseguenze, a volte indubbiamente eccessive, della teoria antindennitaria e di porre un freno agli effetti moltiplicatori che determinate applicazioni dell’istituto operate da una consistente parte della giurisprudenza di legittimità e di merito hanno comportato con riguardo ai rapporti continuativi e segnatamente bancari, e che finiscono per trasformare la tutela della par condicio in un ingiustificato arricchimento di una parte del ceto creditorio. Dall’altro lato si argomenta che gli atti normali della gestione ed i pagamenti compiuti dal debitore insolvente con soggetti che siano consapevoli dell’insolvenza costituiscono normalmente la principale ragione dell’aggravamento del dissesto (che l’esperienza insegna essere il più frequente addebito formulato nei confronti dei gestori dell’impresa con le azioni di responsabilità). E poiché tutto l’impianto della Riforma ruota attorno alla creazione delle opportunità poste a disposizione dell’imprenditore per il tempestivo accesso alla protezione offerta dall’apertura della procedura di composizione concordata della crisi, nell’ambito della quale gli atti della gestione possono trovare normale svolgimento, risulterebbe  giustificato porre un freno alla continuazione della gestione con l’appoggio di soggetti consapevoli dell’irreversibile dissesto. Di qui anche il rifiuto di contenere l’ammontare complessivo dell’importo revocabile nella misura dell’effettiva riduzione dell’esposizione. Ed è quest’impostazione di fondo ad ispirare le soluzioni accolte nel Testo approvato dalla maggioranza della Commissione.
   A base della soluzione accolta nella “Proposta alternativa”, al contrario, è la convinzione che un esteso rischio di revoca degli atti normali possa semmai contribuire al più rapido declino dell’impresa proprio nei momenti più delicati, nei quali la stessa versi in situazioni di difficoltà che, in quanto ancora reversibili, consentono la regolare continuazione dei rapporti con le controparti commerciali. In tal senso, peraltro, la revocatoria di tali atti non troverebbe giustificazione nel carattere “illecito” degli stessi, come invece si finirebbe per supporre in base alle precedenti argomentazioni.


i. Per quanto attiene alla sorte dei rapporti giuridici in corso di esecuzione alla data di apertura della procedura le indicazioni della Commissione sono sostanzialmente concordi. All’attuale impianto della legge fallimentare, che disciplina la sorte di singoli rapporti, il Testo sostituisce regole generali: sospensione dei contratti in corso con fissazione da parte del giudice, su richiesta della controparte, di un termine al curatore per la decisione tra subingresso e scioglimento (con esclusione, in tal caso, di obblighi di risarcimento); per i contratti di durata previsione della prededuzione solo per le prestazioni effettuate nel corso della procedura; particolare tutela dei rapporti di lavoro; previsione di regole specifiche in ragione delle particolari caratteristiche del rapporto,della qualità delle parti e della compatibilità con la procedura concorsuale. La “Proposta alternativa”, al fine di assicurare una maggiore certezza delle situazioni giuridiche coinvolte, introduce un termine certo per la decisione del curatore in ordine alla prosecuzione dei rapporti e presenta, peraltro, una disciplina più articolata. Al fine di superare l’approccio casistico dell’attuale legge fallimentare, vengono stabilite regole di generale applicazione distinte per macroaree di rapporti pendenti, rappresentate dai contratti di durata o a prestazioni continuate o periodiche e dagli altri contratti, rispettivamente non eseguiti da alcuna delle parti ovvero eseguiti integralmente da una sola parte ovvero parzialmente da una o da entrambe le parti.


l. La disciplina degli effetti della procedura sui creditori, che vede la Commissione unanime sulle soluzioni adottate, ripropone il contenuto, a tutti noto, della vigente legge fallimentare.


m. Unanimità è stata anche registrata nella formulazione delle regole riguardanti l’accertamento dei diritti dei creditori e dei terzi, le quali presentano importanti profili di novità e sono state pensate per dare concreta attuazione all’esigenza di maggiore speditezza delle procedure.
  Una prima significativa novità consiste nella previsione che si possa dar corso all’accertamento del passivo in presenza di un prevedibile attivo da realizzare e da distribuire ai creditori. Molte procedure saranno quindi destinate ad aprirsi con una dichiarazione di insolvenza (eventualmente rilevante ai fini di eventuali procedimenti penali) ed a chiudersi rapidamente, alleggerendo in misura auspicabilmente rilevante le strutture giudiziarie da inutile attività.
   Una seconda significativa novità risiede nel ricorso alla forma dei procedimenti in camera di consiglio per le due fasi del procedimento di accertamento: l’una, necessaria, davanti al giudice delegato, l’altra,eventuale, avanti al tribunale.
   Un’ulteriore novità consiste nella posizione del curatore, al quale è attribuito il compito di predisporre un progetto di stato passivo ( con pronuncia del giudice delegato nelle eventuali controversie che dovessero insorgere con i creditori) ed è riconosciuta la legittimazione ad impugnare i crediti ammessi. Il curatore assume quindi un ruolo caratterizzato da autonomia nei confronti del giudice.
   La celerità nell’accertamento dei crediti è poi favorita dalla previsione che le domande tardive siano soggette ad un determinato termine di decadenza.  


n.   La disciplina delle azioni di responsabilità ha invece registrato diversità di posizioni in seno alla Commissione. La “Proposta alternativa “ della minoranza  ritiene che le regole di responsabilità  siano interamente ed adeguatamente contenute, anche per l’ipotesi di procedura concorsuale, nella recente legge societaria e che pertanto sia inopportuno ripeterle e ancor più modificarle a così breve distanza. Il Testo approvato dalla Commissione prevede invece una specifica disciplina delle azioni di responsabilità, stabilendo la legittimazione esclusiva del curatore (e quindi anche per l’azione sociale nelle procedure riguardanti le società a responsabilità limitata, che la legge societaria non prevede in capo alla società) ad eccezione di quelle che competono ai soci nell’interesse proprio, nonché ai terzi in quanto non creditori. In tal modo si intendono privilegiare le aspettative del ceto creditorio rispetto a quelle dei terzi che, pur avendo ragioni autonome di credito verso gli amministratori, sono destinati a fruire dell’iniziativa collettiva del curatore in quanto appunto creditori. L’esigenza di dare concretezza alle iniziative recuperatorie del curatore ha inoltre indotto a configurare l’inefficacia degli atti a titolo gratuito e la revocabilità degli atti anormali compiuti dai soggetti destinatari dell’azione di responsabilità. Viene inoltre prevista la legittimazione del curatore a far valere la responsabilità dei creditori e dei terzi che abbiano con frode contribuito all’approvazione dei piani di composizione concordata sottoposti all’omologazione, al fine di tutelare la corretta formazione delle valutazioni degli interessati sui piani medesimi. 


o. Le disposizioni sulla realizzazione e sulla ripartizione dell’attivo presentano anch’esse rilevanti novità, tutte rivolte nella direzione della semplificazione degli adempimenti procedurali, della ridefinizione del ruolo degli organi della procedura, della speditezza nella realizzazione dell’attivo.
   Il Testo propone uno spostamento dei poteri decisionali a favore del curatore e del consiglio dei creditori, spostamento che nella “Proposta alternativa” è ancora più marcato. Al curatore vengono attribuiti poteri di scelta delle operazioni di realizzo e al consiglio dei creditori poteri di esprimere pareri ( ai quali la “Proposta alternativa” attribuisce carattere vincolante). Al giudice delegato e al tribunale sono attribuiti poteri di controllo sulla regolarità della procedura adottata e di autorizzazione agli atti di straordinaria amministrazione (che la “Proposta alternativa” propone di  limitare a quelli di considerevole valore).
   Il Testo prevede che la liquidazione si svolga secondo uno specifico programma, redatto e attuato dal curatore e approvato dal consiglio dei creditori e dal giudice delegato. Si tratta di un punto importante: la Riforma intende far sì che le procedure abbiano in tal modo un avvio immediato nella direzione della liquidazione. La “Proposta alternativa” prevede peraltro che il programma non sia sottoposto all’approvazione del giudice delegato, nell’ottica, già richiamata, di una più accentuata responsabilizzazione del ceto creditorio.
   La Commissione è comunque unanime nel prevedere che al consiglio dei creditori sia riservato il potere di approvare gli atti di rilevante valore e al giudice delegato quello di disporre la sospensione della vendita nel caso in cui il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello ritenuto giusto.
   Una volta approvato il programma, eventualmente modificabile nel corso della procedura, compete al curatore e al consiglio dei creditori darvi esecuzione. Il pericolo che essi rallentino le operazioni di liquidazione (che in base al programma possono iniziare anche prima della esecutività dello stato passivo) viene scongiurata dalla previsione, contenuta nell’art. 6, di poteri di intervento sostitutivo del tribunale in caso di inerzia.
   Le misure dirette al miglior realizzo dei beni riguardano l’esercizio provvisorio, l’affitto dell’azienda o di rami di essa (con indicazione della mera facoltatività del riconoscimento all’affittuario del diritto di prelazione sulla vendita), la possibilità del conferimento in una o più società , anche di nuova costituzione e con procedura semplificata, di beni, crediti, complessi aziendali con i rapporti contrattuali in corso, esclusa la responsabilità dell’alienante ai sensi dell’art. 2560 c.c., la cessione , anche in blocco, a terzi delle azioni revocatorie già proposte e di diritti e azioni suscettibili di determinare incrementi patrimoniali del debitore.     
   Competerà al legislatore delegato completare il quadro delle regole dirette alla semplificazione del sistema di liquidazione (ed a prevedere anche la possibilità di accantonamenti in caso evidenti esigenze di cautela), in armonia con le indicazioni dei principi fondamentali contenuti nel Testo.     


p.  Ulteriori significative disposizioni innovative sono previste per la chiusura della procedura. La Commissione è unanime nel ritenere che la chiusura possa avvenire anche in pendenza di giudizi (salva la possibilità di accantonamenti) e che essa faccia salve le incapacità non strettamente strumentali allo svolgimento della procedura. Ed è soprattutto concorde nel proporre che anche nel nostro ordinamento trovi ingresso l’istituto dell’esdebitazione, a seguito della chiusura della procedura, allorché sia stata estinta una significativa percentuale dei debiti chirografari (che il Testo indica nella misura del 20%), e sempre che il debitore non abbia assunto, prima e durante la procedura, comportamenti demeritevoli.
   Troverà quindi ingresso anche nella nostra disciplina l’istituto della discharge, e si sarà così completato quel lungo percorso che nei secoli ha portato dalla configurazione penalistica degli istituti del fallimento (“Est decoctor, ergo fraudator!” ammoniva Baldo degli Ubaldi) alla moderna considerazione della crisi dell’impresa quale evento normale dell’economia, che va gestito senza traumi ed anche con il proposito di favorire il recupero dell’imprenditore non demeritevole, consentendogli un nuovo fresh start.


q.  Anche sulla disciplina della crisi e dell’insolvenza nei gruppi il consenso è diffuso. Il gruppo viene individuato secondo i parametri indicati dall’art. 80 del d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, che disciplina la procedura di amministrazione straordinaria e la competenza viene indicata nel tribunale del capoluogo di provincia ove ha sede il soggetto dichiarato insolvente che esercita la direzione e il coordinamento. Sono inoltre previste la preposizione alle procedure degli stessi organi di gestione e di controllo, nonché la possibile integrazione del consiglio dei creditori, ferma restando l’autonomia delle singole masse attive e passive. Il Testo propone infine che venga disciplinata, anche in deroga al codice civile,la responsabilità del soggetto cui fa capo l’attività di direzione e di coordinamento, nonché dei suoi amministratori ed organi di controllo, per abuso di direzione unitaria e per abuso della personalità giuridica delle società appartenenti al gruppo secondo le disposizioni del codice civile e della procedura di amministrazione straordinaria. La “Proposta alternativa” esclude tale specifica disciplina, per le medesime ragioni ricordate in tema di azioni di responsabilità attivabili dagli organi della procedura.


5.   La disciplina penale    
   La disciplina penale è dominata dal rispetto del principio dell’offensività, di natura patrimoniale che si riscontra sia nella tutela degli interessi creditorî, che nel riconoscimento quali attenuanti, del ristoro del pregiudizio economico. L’impianto, nelle sue linee fondamentali, non si discosta dall’attuale assetto normativo: così la premessa oggettiva dei delitti di bancarotta (non sono previste contravvenzioni), consiste nella pronuncia giudiziale dell’insolvenza mentre nella procedura di composizione concordata assumono interesse specifico soltanto particolari atti di fraudolenza commessi nel corso della stessa.
   E’ punito il comportamento causativo del dissesto non soltanto di un soggetto collettivo nella procedura di liquidazione concorsuale ma, come figura generale permeata da frode, quale delitto ad evento riferibile a qualsiasi persona assoggettata alla procedura stessa. Le altre situazioni di bancarotta fraudolenta, patrimoniale e documentale, non si discostano di molto nella descrizione della condotta dall’attuale art. 216 l. fall., ma si caratterizzano per il rilievo a fatti commessi in periodo di effettiva insolvenza o di concreto pericolo, rendendosi così attuale l’offesa agli interessi dei creditori.
   Considerate le categorie diversificate di persone assoggettabili alle procedure concorsuali rispetto all’imprenditore individuale o collettivo, per quanto attiene al debitore insolvente che non esercita l’attività di impresa, la previsione penale è fortemente specializzata esigendo una peculiare ed intensa volontarietà lesiva del bene protetto.
   In una prospettiva di semplificazione sono state escluse specifiche ipotesi di responsabilità penale del curatore e dei coadiutori, così come si è fortemente ridotta l’area della bancarotta semplice. Le misure sanzionatorie, pur non vanificate, contemplano una consistente riduzione delle pene oggi previste : ad esempio, per la bancarotta semplice la sanzione è fissata tra due e sei mesi di reclusione. Sono state previste circostanze aggravanti/attenuanti ad effetto speciale: tra queste ultime di grande momento – in un’ottica della tutela patrimoniale – quelle della riparazione del danno (sia a mezzo di restituzione/risarcimento, sia con la consentita possibilità di ricostruzione documentale) per le ipotesi di bancarotta fraudolenta.
   La “Proposta alternativa”, pur condividendo in larga massima l’impianto sanzionatorio del Testo di maggioranza, presenta soluzioni differenziate in relazione a taluni punti qualificanti della disciplina penale, riguardanti, in particolare: i) la limitazione della figura della bancarotta semplice alla sola ipotesi di aggravamento del dissesto conseguente all’intenzionale omissione della presentazione dell’istanza per la dichiarazione di insolvenza, con esclusione delle ipotesi di ritardo, alla luce dei problemi interpretativi collegati a tale nozione, e della fattispecie di mancata presentazione della istanza di composizione concordata, attesa la natura eminentemente volontaria di tale istituto in presenza di generiche situazioni di crisi; ii) la bancarotta semplice impropria, che viene ricondotta alle sole ipotesi configuranti bancarotta semplice propria al fine di evitare ogni ipotesi di punibilità collegata alla mera colpa; iii) la nuova figura di reato finalizzata a tutelare i creditori dagli effetti di condotte fraudolente del debitore che intenda beneficiare degli effetti esdebitatori delle procedure, dirette allo scopo di sottrarre disponibilità patrimoniali all’adempimento delle obbligazioni, circoscrivendone l’ambito di applicazione alla sola nuova procedura di esdebitazione, considerato che, negli altri casi, trovano applicazione altre specifiche disposizioni di tutela; iv) le disposizioni che regolano gli effetti sul piano penale della attivazione della procedura di composizione concordata da parte del debitore, per le quali, considerato il regime di controllo cui è sottoposta l’impresa a seguito della apertura della procedura e la verifica di legittimità assicurata dal giudizio di omologazione, viene esclusa la qualificazione di reato delle fattispecie di bancarotta patrimoniale e preferenziale con riferimento agli atti non fraudolenti posti in essere a seguito dell’apertura della procedura e in esecuzione del piano omologato e si prescrive la non punibilità per bancarotta semplice nei casi in cui, sussistendo lo stato di insolvenza, sia stata presentata la dichiarazione di crisi (lett. b).


6.   Le disposizioni tributarie, previdenziali e assistenziali
Sulle disposizioni tributarie, previdenziali ed assistenziali il consenso della Commissione è stato sostanzialmente unanime.
  Ai fini della accelerazione e della rapida chiusura delle procedure di composizione concordata della crisi e della liquidazione concorsuale e della certezza del debito si è previsto, entro breve termine dall’apertura della procedura, il rilascio, da parte dell’amministrazione competente, di una certificazione dei debiti tributari e previdenziali per il periodo antecedente l’apertura delle procedure; la sanzione per il mancato rilascio entro il termine, è quella – ai fini concorsuali – di non esistenza del debito e dei relativi oneri.
   Per agevolare la speditezza della procedura e per favorire la conservazione del gettito fiscale, si è ritenuto di ammettere la transazione delle liti e, per gli enti previdenziali e assistenziali, di ottenere il pagamento del solo capitale, oltre agli interessi al tasso legale.
   Al fine di definire,sotto l’aspetto tributario, i periodi precedenti a quello dell’apertura delle procedure di cui agli artt. 4 e 5 , la Commissione ha  previsto l’applicazione agevolata degli istituti del ravvedimento operoso, dell’accertamento con adesione e della conciliazione giudiziale.
   Tutte le previsioni ora considerate sono destinate a recare un  notevole vantaggio per l’amministrazione finanziaria e per gli enti previdenziali e assistenziali, che non dovranno più procedere alla presentazione di domande tardive di credito, con beneficio in termini di costi e di eliminazione del rischio di subire mancate distribuzioni di attivo, se effettuate antecedentemente all’ammissione dello stato passivo.
   Per ridurre la formazione e l’incremento del credito IVA nei primi periodi dalla apertura della procedura di liquidazione concorsuale e la conseguente problematicità del rimborso, si propone un versamento ed una liquidazione annuale dell’imposta, nonché l’eliminazione delle ipotesi di esclusione del rimborso e la semplificazione della procedura dello stesso. Tale previsione deve essere collegata alla quella successiva visto che, unitariamente applicate, riducono, nei primi periodi delle procedure, il negativo impatto dell’IVA a credito, e lo eliminano dopo aver proceduto alla liquidazione dell’attivo.
   Considerato che nella procedura concordata della crisi si può far ricorso a diversi istituti giuridici nonché ad operazioni societarie e soluzioni diversificate, si stabilisce ai fini dell’art.37 bis del d.p.r. n. 600/73 la non elusività di tutte le operazioni previste ed eseguite per la riuscita del piano di soluzione della crisi.
   Viene poi confermato l’attuale trattamento tributario di cui agli artt.54-55 e 66 del t.u.i.r. anche se il mantenimento della tassazione delle plusvalenze realizzate in ipotesi diversa da quella del concordato con cessione dei beni ai creditori, renderà necessario un futuro intervento del legislatore, in quanto molte procedure trovano la positiva soluzione anche senza la cessione dei beni ai creditori.
   Si  propone la semplificazione degli adempimenti contabili e fiscali  che il curatore deve eseguire nella tenuta del giornale della procedura.
   Viene reintrodotta, dopo l’esecutività dello stato passivo, l’emissione della nota di variazione ai fini IVA, con l’effetto di consentire al creditore l’utilizzo immediato del credito. Tale credito, senza procedere a ulteriore domanda tardiva sarà automaticamente riconosciuto a favore dell’erario, con collocazione originaria del credito, a seguito della annotazione del curatore.
   Si prevede lo sgravio, nell’ipotesi dell’integrale pagamento dei tributi e degli oneri previdenziali e assistenziali, delle sanzioni ed il mantenimento dei soli interessi al tasso legale. Trattasi di un ulteriore opportunità concessa all’Amministrazione finanziaria ed agli enti previdenziali e assistenziali ed all’impresa in crisi, per definire con certezza l’ammontare della pretesa, mediante il pagamento integrale del debito. In tale previsione gli eventuali acconti e le ripartizioni parziali vengono riprese e considerate parte del pagamento.
   Per i crediti di imposta risultanti alla fine della procedura di liquidazione concorsuale, e che il curatore non provvede a richiedere a rimborso, viene prevista la possibilità di assegnarli in quota parte ai creditori per il loro immediato utilizzo.
   Infine, vengono previste la stabilità della compensazione tributaria anche per le procedure di liquidazione concorsuale se richiesta dal curatore e la preclusione, da parte dell’amministrazione finanziaria di ricorrere all’istituto del fermo amministrativo in presenza di richiesta di rimborso di imposta.